1968 N°1 |
In margine al movimento protestante in Friuli SINGOLARE STORIA DI UNO STEMMA RIVERSO di Pietro Menis |
Di sigûr tes famèes di Buje 'e son inmò riserves di fotografies, ch'e vignaran in lûs un pôc a la volte. Cumò, intani, j ài cjatât une miniere là di Neva Eustacchio (n. 1922) che sta a Dartigne, ma 'e jere di Solaris.
Quando raccolsi gli antichi stemmi tutt'ora esistenti nelle vecchie contrade di Buia, dinanzi a quello antichissimo della famiglia Rizzardi posto sulla parete della Pieve di S. Lorenzo in Monte, rimasi perplesso. Lo scudo infatti, scolpito in pietra, si presentava capovolto, o meglio, in linguaggio araldico, riversato e ciò significa diffamazione (fig. 1). Escludevo tuttavia che si potesse dare una tale interpretazione nei riguardi di quella stirpe. « I Rizzardi, — soggiungevo — per testimonianza del Catapane della Pieve, furono insigni benefattori delle chiese di Buia » (1). Ma leggendo la interessante tesi di laurea del dott. don Luigi De Biasio sui « fermenti ereticali in Friuli nella seconda metà del secolo XVI », m'imbattei in una vicenda, di cui fu protagonista un membro della famiglia buiese e che potrebbe dar piena ragione all'inconsueta collocazione dello stemma di Monte (2). La famiglia Rizzardi, ormai scomparsa dalla nostra Contrada, godeva del titolo comitale di Conti di Codesio e Signori di Udine (3). Codesio è un piccolo Borgo sito a nord-est del territorio di Buia, sul promontorio che si eleva dall'antica palude verso Artegna. Qui la nobile famiglia aveva il suo « palatio » o «castro», che consisteva, più che in una costruzione monumentale, in una serie di case rustiche, recinte da mura (4). Le proprietà terriere dei Conti erano invece sparse un po' in tutto il territorio comunale. Lo si deduce dai numerosi lasciti pii che singoli membri della famiglia lasciarono in favore delle chiese buiesi, dei Vicari Rettori della Pieve, del popolo che partecipava a certe processioni, ed uno (1527) anche in favore « dei cantori di S. Maria di Melotum », l'attuale chiesa di Madonna, dalla quale dipendevano ecclesiasticamente (5). I legati ci offrono anche la testimonianza più antica riguardante la famiglia Rizzardi. Il primo legato infatti risale al 1300 ed è attribuito a « Ser Guidolo qm. Endricho de Codes » il quale lasciava « quadraginta denarios » alla chiesa di S. Lorenzo «sopra una sua Braida sita in Silisans», modernamente Cinisans, della quale si specificano i confini, « ab una parte here-des qm. Comitis possident, ab alia parte possidet Ser Flebus de Sancto Daniele, a tertia et quarta sunt pubbliacae viae » (6). Quando nel 1371 in «castro Buia», davanti ad una solenne assise «et moltitudine copiosa», furono approvati gli Statuti della Comunità buiese «et Villarum subiectorum», tra l'altre personalità presenti, c'era un «Ser Rizzardus de Codesio Massarius » (7). Nel 1431 nella chiesa di Madonna veniva istituita una Fraterna denominata di Santa Maria. Nel lungo elenco dei presenti, tra i soci fondatori, troviamo come presidente dell'assemblea « Ser Johannes e Ser Rizzardi de Codesio », e fra gli iscritti una « Venuta relicta Ser Antonius de Codesio » (8). Poco distante dall'avita abitazione della famiglia Rizzardi un « Ser Corrado » aveva fatto costruire una chiesetta in onore di S. Caterina d'Alessandria. Non si conosce l'anno esatto della erezione, ma non si va errati fissando il tempo che corre tra il 1358, epoca in cui sappiamo che la santa aveva il suo altare in Monte, ed il 1372, anno in cui moriva il devoto costruttore del sacello (9). I morti della nobile casata Rizzardi, com'era uso in quei tempi, per le persone di particolare riguardo, trovavano sepoltura in sepolcri propri costruiti nella chiesa di Madonna in « loco ante ianuam » e nella matrice « ai piedi dell'altare di S. Antonio Abate » (10). Nel secolo XVI, forse, la famiglia Rizzardi ebbe il periodo della sua maggiore floridezza. Troviamo infatti in quel periodo ben sette Notai della casata, segnati così di seguito: Tomaso Comina Rizzardi, Costantino Rizzardi, Alloisio Rizzardi, Giorgio Rizzardi, Valerio Rizzardi, Marcio Rizzardi e Gasparo Rizzardi (11). Tutti «scrissero in Buia». La tomba « Rizzarda » nella chiesa di S. Lorenzo si può individuare tuttora presso l'altare di S. Antonio Abate. Fra le lastre pavimentali, a poca distanza dalla parete, all'osservatore attento appare una parte del riquadro dell'apertura con la sua lastra di chiusura, mentre il resto è coperto dagli scalini dell'altare, costruito nel 1695. Non si scorgono segni, decorazioni o scritte, solo lo stemma murato sulla parte soprastante sta a testimoniare la appartenenza della tomba alla famiglia. E' questo appunto lo stemma capovolto di cui ci occupiamo nel presente scritto. Fra gli eretici sottoposti a giudizio dal S. Ufficio, nel capitolo che il De Biasio dedica alla zona di Gemona e della Carnia, appare una figura di primo piano, ossia Marc-Antonio Pichissino. Costui nel 1558 venne arrestato assieme ad « un orefice veneziano, un eretico fra i più convinti ed attivi vissuti in Friuli». Il S. Ufficio — avverte l'autore — seguì costantemente il Pichissino per oltre un ventennio, senza riuscire mai ad impedirgli di svolgere una sottile ed intelligente propaganda eretica-le (12). Non seguiremo le vicende e le peripezie di questo pertinace eretico che nel 1581, buscatosi la condanna a morte, riusciva a fuggire dal carcere ed a far perdere le sue tracce per sempre. A noi interessa sapere che fu proprio questo Marc-Antonio Pichissino che nel corso di un interrogatorio, denunciò all'Inquisitore, come eretico Dionisio Rizzardi, « vissuto a Gemona per molti anni e poi trasferito a Buia, ove viveva la sua famiglia ». Questa denuncia ci dà la chiave della vicenda. Perchè Dionisio Rizzardi era « vissuto » a Gemona? La cittadina allora era ricca di traffici, popolata di mercanti italiani e tedeschi, e costituiva, per la sua posizione geografica, un punto obbligato di passaggio di tutte le merci che provenivano o erano dirette in Germania. E' probabile quindi che il nostro si fosse dato lassù a qualche attività commerciale e in tal modo sia entrato in relazioni di amicizia col Pichissino, membro, come il Rizzardi, di una famiglia nobile e distinta per censo. Forse già da prima tra i membri delle due famiglie erano intercorsi vincoli di amicizia e collaborazione. Sul ricordato elenco dei Notai che «scrissero in Buia», a breve distanza dai Notai Rizzardi, troviamo ben tre Pichissino. E precisamente Biasio, Francesco ed Eusebio Pichissino. Quest'ultimo in un documento che possediamo, datato al 1563, così si autentica. « Haec ego natali Glemonae / eductus urbe / qua rapidas volvit Tiliamentum aquas / et Pichissino prognatus sanguine probis / cesareae Euse-bius numere fultus opis / legitime scripsi Buianensi a gente rogatus / ex-scripsique meis sedulus inde notis » (fig. 2). Il 15 marzo 1558 Dionisio Rizzardi comparve dinanzi al tribunale dell'Inquisizione di Udine. Seguendo una tattica comune a tutti gli altri eretici, cercò innanzitutto di negare, Poi tentò di minimizzare la sua colpa, alla fine confessò di avere aderito all'eresia. Fra l'altro nella sua deposizione si legge: «Alquanti giorni avanti il Carnevale passato, essendo a desinare a Buia, invitato da alcuni contadini, dove c'era anche prè Jacomo Pezzeta di Buia, il quale mi provocò a rinsa-vimento, si ben col pregassi, per amor di Dio, di lasciarmi in pace». Colui che lo « provocava a rinsavimento », era il Rettore di Sopramonte, l'attuale Madonna, e cioè il suo Parroco, don Giacomo Pezzeta, che governò quella chiesa dal 1534 al 1576 (13). Il Rizzardi alla «provocazione» del suo Vicario scoppiò; talmente era invasato dalle nuove teorie luterane che, confessa lui stesso, « trasportato da grandissima collera, maledissi le Messe... » e quasi non bastasse soggiungeva: «La Messa è idolatria». Ed ancora, da perfetto protestante, continuava: « Poi dicono la Messa in una lingua che non si intende » ed infine chiede che «lo volesse comunicare in utroque specie». Se il Vicario fosse stato chiamato a testimoniare contro il Rizzardi, non lo sappiamo, ma durante il processo l'imputato affermerà che il sacerdote è « un pubblico concubinario da 20 e più anni in zò... et zogador pubblico... » ed altre «accuse che non vuole elencare». Il Rizzardi, rinchiuso nelle carceri di Udine, tenne una condotta irreprensibile; ai giudici che gli offrivano la possibilità di difendersi, rispose che non si sarebbe difeso ma si sarebbe messo nelle loro mani. Passò alcuni mesi in « arcto carcere, patientissime degens », ove lesse molte opere dei Padri della Chiesa inviategli dall'Inquisitor perchè si convertisse. Durante il periodo trascorso in carcere, si mostrò sempre disposto alla conversione». Il 30 novembre 1558 fu promulgata la sentenza di condanna. « Fu una condanna mite » scrive il De Biasio, senza dirci quale fosse, e tale non fu perchè fosse superficiale l'eresia del Rizzardi. Forse egli era un maestro in materia di eresia quanto il suo accusatore, il Pichissino, giacché questi, in un suo ennesimo interrogatorio, elencando i suoi compagni eretici afferma: « Dionisio Rizzardi ricordo praticava in Alemagna et portava di quà libri proibiti, et io inanci non havea alcuna cognitione di Martin Lutero et dopo che praticai con lui l'hebbi». In favore della sentenza mite, con ogni probabilità, giocarono la buona condotta dell'incriminato tenuta in carcere, la sua disposizione alla conversione. L'abiura, prima della quale dovette comporre « manu propria » un elenco dettagliato delle proposizioni ereticali che aveva seguito, sono una conferma della sua profonda preparazione spirituale. Vediamole assieme queste proposizioni e ne avremo conferma. — Chel Corpo et sangue di Cristo non sia realmente ne si ricevi nel Sacramento dell'Eucaristia se non quando si ricevi sotto l'uno e l'altra specie. — Che siano giustificati prò Cristo senza opere, le quali seguitino poi la giustificazione, come frutti della fede. — Che non ci sia niuno merito humano et che siano salvi solo per Cristo et le opere della fede siano solo grate a Dio et non meritorie. — Che non habbiamo libero arbitrio al bene per il peccato originale il quale sia stato causa alli nostri primi Padri di perdere ogni perfectione che haveano et così anche il libero arbitrio. — Che dopo la morte non si trovi il Purgatorio. — Che la chiesa sia solamente la congregazione dei fedeli et chi non osserva li precetti di Cristo sia fora della chiesa. — Che la chiesa non possa aggiungere nulla alla scrittura divina. — Che il Papa sia l'Anticristo. — Che l'indulgenze non siano vere. — Che la confessione auricolare non sia necessaria. — Che l'intercessione dei santi non sia necessaria (14). Dopo l'abiura, del Rizzardi non si hanno notizie sul suo conto. Che la sua discendenza fosse a Buia è innegabile; ce lo prova un atto notarile redatto da suo figlio nel 1569 nel quale si legge: « Valerius Rizzardis D(ominis) Dionysii filius publicae / Caesarea auto-ritate Notarius, et incola Buiae / rogatus scripsit efscripsit et subscripsit / apposito tabellionatus in fidem signo » (fig. 3). Non è quindi per caso o per ignoranza che lo stemma dei Rizzardi in Monte è posto viver sol La condanna di Dionisio Rizzardi certamente menò scalpore in paese e quando verso la fine del sec. XVII, nella chiesa matrice si fecero radicali modifiche e restauri e la tomba non era più di proprietà della famiglia che l'aveva ceduta alla Fabbriceria, lo stemma che era sulla parete venne capovolto in segno ed a ricordo di un avvenimento eccezionale negli annali della chiesa buiese. PIETRO MENIS
NOTE (1) P. Menis, Stemmi buiesi, (S. Daniele 1951), pg. 15. (2) L. De Biasio, Fermenti ereticali in Friuli nella seconda metà del sec. XVI, (tesi di laurea), Padova 1957. (3) Catapane della Pieve di Buia, Cod. membranaceo sec. XIV-XV, (Archivio Arcipretale di Buia), f. 4 r. (4) Un'ancona in pietra si conserva tutt'ora sulla casa Rizzardi di Codesio. Mons. Venier in una nota d'archivio lasciò scritto che anticamente l'edicola era su di un muro di cinta della proprietà Rizzardi. Sullo scudo dello stemma della famiglia ivi scolpito si leggono le iniziali « S.R. », cioè Simone Rizzardi. Cfr. P. Menis, S. Caterina di Codesio, (S. Daniele 1937), pg. 14. (5) Catapane cit., ibidem. (6) L'area corrisponde all'attuale « Braide di scoi », posta ad oriente del duomo di S. Stefano. (7) Stampe al taglio, vol. 1, pg. 1. (8) Rotolo membranaceo della Fraterna di S. M. di Melotum, a. 1431 (Arch. Arcipr.). (9) P. Menis, S. Caterina di Codesio, cit. pg. 13. (10) Vedi Registri dei Morti, (Arch. Arcipr.) anni diversi. (11) Stampe al taglio, vol. 1, pg. 3. (12) De Biasio, Fermenti cit., pg. 70 e seg. (13) Elenco dei Vicari di Madonna (Arch. arcip.). (14) De Biasio, Fermenti cit., pg. 77. |