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Pasqua 2005

BREVE STORIA DEI SALETTI 

Con questi appunti pensiamo di far cosa gradita
 a quanti, compaesani e non, desiderano conoscere
 le vicende di questo splendido angolo di Buja.

 

FOTO

 

I Saletti, un angolo nascosto, un po’ dimenticato, sconosciuto a molti, vantano una bellezza e una storia tutte da riscoprire. A distanza di quasi 10 anni dai tragici eventi sismici del 1976, nel 1985 un recupero intelligente ci ha restituito la borgata con tutta la bellezza della sua architettura rurale.

Saletti o Saletto deriva dal latino salictum-salicetum, saliceto, che significa bosco di salici. Da saliceto deriva appunto questo toponimo, abbastanza diffuso e presente nei Comuni di Dogna, Chiusaforte e Morsano al Tagliamento.

La vicenda storica dei Saletti è legata a quella della famiglia Elti di Rodeano che, come più avanti vedremo, ne furono proprietari per un lungo periodo.

Dopo la crisi del Patriarcato Aquileiese che aveva introdotto in Friuli il sistema feudale, la nostra Regione passò nel 1420 sotto il dominio della Repubblica di Venezia e vi rimase fino al 1797, allorché Napoleone se ne impossessò durante la sua campagna d’Italia. Dal 1813 al 1866 il Friuli farà parte dell’impero asburgico e quindi del Regno d’Italia... Queste sono le tappe principali della “grande storia”, quella dei libri di testo. Noi ci occuperemo della “piccola storia”, quella non scritta, quella vissuta dalla gente comune dei nostri paesi...

Nei primi anni del ‘600, Venezia avviò un censimento dei terreni comunali in Friuli per mettervi un po’ d’ordine, ma soprattutto per rimpinguare le sue casse con la vendita all’asta degli stessi. Nel 1647 il Comune di Buja si aggiudicò 345 campi comunali per un importo di 4.900 ducati. Nei beni erano compresi terreni ricordati anche nei toponimi attuali: Saletto, Paluduz, Tonzolan, Almacs, Spiedules, Cuel Vilan...

Per far fronte a questa spesa, il Comune accese un livello (contratto simile all’enfiteusi) al 7% con i Signori Elti di Gemona, ma alla scadenza dei cinque anni per la francazione (riscatto) non si trovò nella condizione di pagare. Fu allora richiesta una perizia per valutare le migliorie apportate, ma queste non furono considerate sufficienti per la francazione: gli Elti si tennero i terreni e gli interessi, al Comune di Buja furono rimborsati i miglioramenti.

Gli Elti risalgono a un Corrado Helt von Hangelsheim i cui discendenti dalla Germania si sarebbero stabiliti a Gemona per motivi commerciali nel XV secolo. Uno di questi, Riccardo (1621-1693) eseguì molte opere a Gemona per abbellire e ampliare la sua proprietà, partecipando fra l’altro alla costruzione del Duomo, nel 1678 ottenne il titolo di conte (pagando, pare, 200 ducati), fu molto attivo negli acquisti e permute di terreni per aumentare il suo patrimonio. Oltre ad acquisire i Comunali sopra ricordati, Riccardo, con opportune permute, accorpa terreni a quelli posseduti e ne acquista altri in località Polvaries, Paludo di Bues, Cuel di Tonzolan..., ne cura le migliorie, mostrando un particolare interesse per il Saletto. Queste terre sono poco fertili per l’inconsistenza dello strato di humus, in parte paludose, poco adatte al pascolo perché non pianeggianti, spesso alluvionate dalle esondazioni del Rio Gelato. Il conte stimola la realizzazione di fossi e argini, la messa a dimora di alberi (scontando ai contadini gli oneri dovuti) con un fervore eccezionale, dedicando le migliorie alla Madonna delle sette Allegrezze. La sua religiosità è provata anche dalla costruzione di una cappella di famiglia e di una mansioneria (abitazione per il cappellano) a Gemona.

I contratti di affitto erano di tipo misto: prevedevano il pagamento in frumento, segale, avena alle scadenze del 25 luglio (S. Giacomo), 15 agosto, 29 settembre (S. Michele), 11 novembre (S. Martino), la metà del vino prodotto, denaro, pollame, servizi di trasporto di fieno, carri di sassi. Questi servivano per erigere case e altre costruzioni (uno “stallone” e il “folladore”...). Quest’ultimo viene appunto citato in un contratto di vendita ai Garzolini (1712). Circa un secolo dopo, nel catasto austriaco, il Saletto si presenta con una pianta a T, dove il “folladore” occupava proprio la parte centrale, l’asta della T (in corrispondenza dell’abitazione di Lido Sangoi). A sud di questo si trova un portico che un tempo metteva in comunicazione i due cortili. Ora il transito avviene attraverso un altro portico, già rimessa per le carrozze. Fino a una trentina d’anni fa, chi attraversava la borgata, sulle pareti di questo portico poteva ammirare delle silhouette: erano i ritratti di profilo degli ospiti del conte, ottenuti coprendo con la fuliggine le ombre proiettate sulle pareti della rimessa.

Mentre Riccardo Elti aveva ben condotto i suoi affari dando lustro e ricchezza alla sua famiglia, alla sua morte le cose non andarono più bene. Screzi, liti, ingiunzioni, incapacità di amministrare costrinsero gli eredi a frequenti e consistenti vendite, causando non pochi problemi agli affittuari che non volevano essere sfrattati e che litigavano con gli aspiranti all’acquisto “iure vicinitatis” (prelazione del proprietario dei terreni adiacenti). Il Comune di Buja, che covava vecchi e non sopiti rancori, rilevato l’eccessivo rincaro dei prezzi e preoccupato per la sorte di 400 famiglie (oltre 3000 persone!), presentò ricorso al Governo di Venezia, contestando un vizio di forma nell’aggiudicazione dei Comunali. Il ricorso venne considerato tardivo e fu respinto. Buja non riebbe più i suoi Comunali.

Nei più recenti anni ’30 ricordiamo le opere di irrigazione condotte dal penultimo fattore (l’ultimo fu Mario Tissino) dei Conti Elti, Macan, che resero i terreni dei Saletti particolarmente fertili. L’affitto venne aumentato: bisognava consegnare 125 Kg di frumento per campo, 170 Kg per ognuno di quelli ritenuti  più produttivi. Dopo il completamento della rete di irrigazione, i Conti pretesero un ulteriore aumento, ma gli affittuari si opposero. Furono quindi messi in vendita i terreni più lontani e gli affittuari divennero gradualmente proprietari.

Nei primi anni ’60 assistiamo alla creazione, salutata con entusiasmo dai molti emigranti, della zona industriale poco a Nord dell’abitato. La sua continua e massiccia espansione ora minaccia seriamente la fertile zona agricola e richiede un attento monitoraggio dei possibili inquinanti.

Ci auguriamo che non venga mai compromessa questa preziosa testimonianza di architettura rurale e che questo piccolo angolo di paradiso possa essere consegnato integro alle future generazioni.     

                       

Bibliografia

 

A. Ciceri – Il “romanzo” dei Comunali di Saletti – Buje pore nuje, 1993

M. Missio – I Salez, un restaur esemplâr.

G. C. Menis – Storia del Friuli – Società Filologica Friulana, 1984.

Enciclopedia del Friuli -Venezia Giulia – Istituto per l’Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia.

 

Nel portico di cui si è parlato più sopra si nota una lapide che ricorda i Caduti della Grande Guerra. Tra questi figurano Zanetto Elti di Rodeano e Giovanni Candussi.

Una preziosa ricerca, condotta dal compaesano Graziano Tonino, ci ha permesso di ricavare preziose informazioni per conoscere questi membri della famiglia Elti.

 

Giovanni “Zanetto” Elti di Rodeano, nasce da Cornelio e Clotilde Biaggini il 2 maggio 1897 a Venezia, dove il padre, ufficiale, si è trasferito. Conclude l’obbligo scolastico (allora fissato alla seconda elementare) alla  “Picchiotti” di Torino, conseguendo all’esame di proscioglimento il primo premio, essendosi distinto per l’intelligenza e la nobiltà d’animo, senza inorgoglirsene, come racconta la sua insegnante Romana Gironi. Frequenta le ultime classi elementari e la prima ginnasiale a Padova e quindi rientra a Venezia dove il padre, ritiratosi dall’esercito, si è stabilito. Qui Zanetto subisce il fascino del mare e nel settembre 1911 entra nell’accademia navale di Livorno, classificandosi 17° su 480 candidati per 40 posti. Imbarcatosi sul “Flavio Gioia”, durante la 2a campagna, al battesimo del fuoco sulle coste della Tripolitania e Cirenaica, viene decorato col nastrino della guerra Libica. Rientrato in Italia, è in pericolo di vita per il tifo, ma si riprende rapidamente e si imbarca prima sulla nave “Etna” nel 1913 e l’anno successivo sulla “Vespucci”, la gloriosa nave scuola, costretta per l’improvviso scoppio della guerra a un precipitoso rientro all’Isola d’Elba da un viaggio nel Mare del Nord. Conclude l’Accademia e l’11 novembre 1915 giura fedeltà alla bandiera e alla causa della liberazione delle terre ancora occupate. Il 25 marzo 1916 si imbarca sulla “Leonardo da Vinci” come aspirante guardiamarina. Pochi mesi dopo, mentre è di guardia a prua della nave, viene segnalato un incendio a poppa. Zanetto non avrebbe l’obbligo di recarsi sul luogo dell’incendio: un tuffo in mare sarebbe sufficiente a salvarlo. Ma lui accorre prontamente, pur consapevole della grave minaccia per portare aiuto ai compagni, e scompare come un eroe da leggenda: soffocato dal fumo o inghiottito dalle fiamme, colpito da qualche pezzo ardente o schiacciato dall’immensa mole di uno dei 13 cannoni di grosso calibro, vanto della “Leonardo”?

In sua memoria sorgerà a Venezia la fondazione “Elti di Rodeano”, intesa a formare lo spirito marinaresco nei giovani e ad avviarli alla marina, e verrà istituita, prima del genere in Italia, una Casa di Riposo per le mamme dei Caduti in guerra.

 

Giovanni Antonio Filippo Candussi di Gustavo e della contessa Enrica Elti nasce a Gemona il 2 febbraio 1895. Residente a Romans d’Isonzo, alunno dell’Istituto negli anni 1911-12, sergente esploratore nel 4° reggimento Bersaglieri, 3° compagnia, combatte nel Trentino e poi sull’Isonzo.

Nell’avanzata dell’ottobre 1915 ad Aiba superiore, presso Canale, un drappello del suo reggimento riesce a passare l’Isonzo, ma la passerella viene distrutta dal fuoco nemico e il fiume è gonfio per le piogge torrenziali: il drappello rimane bloccato e costretto a difendersi disperatamente. La notte del 28 ottobre il generale comandante la brigata fa appello ai soldati del reggimento perché un gruppo di volontari passi il fiume a guado per soccorrere i commilitoni, Un centinaio di uomini si propone senza esitazione e, fra i primi, è il Candussi. Non si sa più nulla di lui. Quando più tardi i nostri riusciranno a passare il fiume in quel luogo, troveranno i resti dei giovani eroi e, in una grotta, nei pressi, una moneta e una medaglia già appartenente al Candussi e come tale  riconosciuta dalla famiglia. L’eroico giovane fu decorato della croce al merito di guerra  e a lui fu intitolata la piazza principale del paese. ll suo nome figura anche sulla lapide che elenca in Piazza Garibaldi a Udine i Caduti della Grande Guerra.