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Cimeli paleocristiani

aquileiesi conservati a Vienna

Di Gian Carlo Menis

 

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Durante l'autunno scorso, in occasione del VII Congresso Internazionale di studi sull'alto medio evo, fu organizzata a Vienna un'esposizione che fu denominata: «Dall'antichità al medio evo ». Lo scopo era quello di offrire all'attenzione degli studiosi convenuti quanto di meglio il Kunsthistorisches Museum conserva fra le raccolte d'arte tardo-antica e altomedievale (IV-IX sec). Tutti sanno come quell'immenso Museo raduni monumenti provenienti non solo dall'Austria, ma anche dai territori dell'antico impero austro-ungarico e da altre regioni dove gli archeologi austriaci condussero importanti campagne di scavo. Il materiale che fu così possibile esporre nella mostra venne a costituire un complesso notevolissimo, sopratutto per la rarità di non pochi oggetti; sussidio veramente prezioso per la conoscenza dell'arte e della cultura di un'epoca ancora per tanti aspetti oscura. Quest'impressione riceve anche chi scorre le pagine e le illustrazioni dell'accurato e distinto catalogo edito per l'occasione, al quale spesso rimandiamo durante questa breve nota (1).

Tra gli oggetti esposti facevano bella mostra di sé anche alcuni cimeli che, come segna il catalogo, provengono da Aquileia. Non si tratta per il vero di oggetti di eccezionale interesse, ma sono pur sempre manifestazioni d'arte e di vita che assumono le loro vere dimensioni quando siano debitamente ricomposte nel grande quadro della nostra antichità aquileìese. Questi oggetti ci appariranno allora come suggestive testimonianze di un momento storico in cui la nuova fede andava permeando ogni forma di vita, operando in profondità quella decisiva trasformazione della società che determinerà la civiltà medievale. Presenteremo dunque questi cimeli senza nulla aggiungere al loro schietto linguaggio; essi sono una grande croce monogrammatica, due lucerne fittili ed un'epigrafe funeraria.

La croce monogrammatica bronzea (Fig.1 - Catal. p. 26 - Inv. Khist. Mus. V 612) è senza dubbio, per la sua purezza stilistica e per le sue dimensioni, una tra le più belle che conosciamo di questo tipo e di quest'epoca. Essa fu scoperta verso la fine del secolo scorso presso le rovine dell'antichissima chiesa aquileiese dei SS. Ilario e Taziano dal barone Ritter von Zahony che la donò al Museo di corte di Vienna (2).

Essa è ricavata da una piastra di bronzo spessa circa 7 mm., che ha assunto col tempo una bella patina verde-scuro; misura complessivamente in altezza cm. 54,7 (45,6 senza il maschio per l'inserimento nel supporto). La croce è del tipo latino, ansata ed apicata alle estremità; la parte destra dell'apice superiore si piega a riccio in modo da formare la lettera P (rho) dell'alfabeto greco. E' questa la forma della cosiddetta croce monogrammatica dove la X (chi) si apre e si dispone a forma di croce e la P si fonde col suo braccio verticale: si ottengono così la croce e le iniziali del nome di Cristo (XPicttò:). Dal braccio orizzontale della croce pendono (per mezzo di un anello a 8) l'alfa e l'omega, ossia la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco: evidente traduzione plastica della affermazione attribuita da S. Giovanni a Gesù: «Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine» (Apoc. 1,8; 21,6; 2,13). La croce monogrammatica diventa così l'esaltazione del Cristo risorto, dominatore dalla croce della vita e della morte (3).

E' difficile precisare esattamente a quale uso questa croce fosse destinata. Il Dostal pensa ad un coronamento di qualche oggetto o monumento (4); il Noll pensa invece, argomentando dal suo carattere monumentale e dalla forma e robustezza del maschio metallico che porta al piede, che la croce fosse inserita in un blocco di pietra quale oggetto di culto a sé stante (5). Così infatti la croce è attualmente ricomposta nel Museo viennese. Non si può però dire che tale soluzione annulli ogni dubbio (6). Per la datazione lo Swoboda pensa

alla seconda metà del IV sec., forse a ciò addotto principalmente dalla cronologia della chiesa ove la croce fu trovata (7); il Noll invece la assegna al V sec. (8). Certo la croce monogrammatica si diffuse in occidente durante la fine del IV sec. e soprattutto durante il V sec; allora essa compare anche in Aquileia dove la troviamo abbastanza frequentemente su lucerne fittili e su iscrizioni risalenti appunto a tale epoca (9). Oggi però noi conosciamo ormai diversi esempi risalenti ad epoca anteriore, precostantiniani ed una recente scoperta ha rivelato un esempio che si deve ritenere addirittura degli inizi del II sec. (10). Una indicazione più precisa ci offrono forse i caratteri paleografici delle lettere. Non può sfuggire infatti la notevole affinità che esse presentano con la grafia filocaliana o damasiana (366-384): suggestione monumentale, lo spessore delle aste e soprattutto la forma ricurva degli apici; non si nota naturalmente la tipica forma ondulata al centro come nelle famose iscrizioni romane, si osserva tuttavia un singolare andamento a triplice curvatura (particolarmente nell'apice superiore della P e negli apici dell' A e dell' Ω) (11). Il trattino trasversale dell'A infine, posto diagonalmente, è un elemento che troviamo in iscrizioni del V sec. (12). Così, per concludere, ci sembra che non si vada troppo errati assegnando questa croce alla prima metà del V sec.

Le due lampade fittili (Fig. 2, 3 - Cat. p. 31 s. - Inv. Khist. Mus. V 1278, V 910 b) provenienti da Aquileia sono inedite e presentano una tipologia decisamente cristiana. La prima misura in lunghezza cm. 11,3; la seconda cm. 11,1. Ambedue hanno gli stessi caratteri e si debbono senz'altro attribuire alla stessa fabbrica ed alla stessa epoca: terracotta lucidata rossa, recipiente centrale circolare con la parte centrale superiore concava munita di due infundibuli e limbo circolare ornato, becco tozzo e prominente con largo foro per lo stoppino, presa non forata, appuntita ed arrontondata, i fondi non hanno bollo. E' la forma che il Leclercq classifica del terzo tipo, ossia quella definitivamente cristiana diffusasi ovunque dalla seconda metà del IV sec. (13).

La decorazione è molto sobria ed è limitata al limbo ove è composta di semplici figure geometriche (riempite di palline, segmenti, trecce e dischi) alternate (quadrati e triangoli nella prima lucerna, cerchi e triangoli nella seconda). Al centro della faccia concava invece sono modellati a basso rilievo simboli cristiani comunissimi: sulla prima il monogramma di Cristo, cioè X e P sovrapposti secondo la disposizione più comune (le aste sono ottenute con bande decorate a trattini trasversali; il riccio della P è staccato dall'asta verticale e sporge fortemente verso sinistra); sulla seconda invece c'è

il pesce, simbolo di Cristo in quanto le lettere componenti il sostantivo pesce corrispondono alle iniziali delle parole contenute nell'acclamazione:Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.

Ma quello che qui interessa maggiormente rilevare è che il particolare gusto decorativo e la tecnica del modellare che riscontriamo in queste lucerne sono quelli che incontriamo più frequentemente in simili oggetti di epoca cristiana ad Aquileia (si veda la Fig. 4 riprodotta dai manoscritti del Bertoli e la bella serie esposta al Museo Naz. Aquil.) (14). Erano quelli i prodotti di una fornace locale? Sappiamo come l'esportazione di questi piccoli manufatti, come delle anfore, abbia avuto grande sviluppo nell'antichità e come sia difficile localizzare i diversi tipi. Ma non c'è dubbio che c'erano delle fabbriche anche in Aquileia e la persistenza di un determinato tipo nella regione può esserne un indice decisivo. E' opportuno inoltre notare come questo tipo decorativo presenti molte somiglianze con lampade orientali (15). Che sia anche questo un altro indizio di quegli stretti rapporti economici, culturali e religiosi che legavano Aquileia all' Oriente nell'antichità e sui quali andiamo facendoci un'idea sempre più definita?

Per la determinazione cronologica delle lucerne di questo tipo torna opportuno ricordare un singolare esemplare proveniente dagli scavi di Aquileia (Fig. 5). E' una lucerna che presenta le stesse caratteristiche tipologiche sopra notate; sulla faccia concava è modellata una croce monogrammatica  (la P è  rovesciata) fiancheggiata dalle lettere apocalittiche e da due colombe. Sul limbo però, in luogo della solita decorazione a motivi geometrici, sono stati impressi nel recto e nel verso, quale atto di omaggio verso il legittimo sovrano, quattro aurei commemorativi dei voti ventennali di Teodosio II (monetazione iniziata a Costantinopoli verso il 423 e continuata anche in Italia negli anni seguenti) (16). Abbiamo dunque un esemplare datato, riferibile con sicurezza al secondo quarto del sec. V. Non molto lontane da questo interessante monumento sono da collocarsi senza dubbio anche le due lucerne aquileiesi del Museo di Vienna.

Come proveniente da Aquileia infine è segnata anche l'epigrafe funeraria di un certo Paulus (Fig. 6 - Catal. p. 25 - Inv. Khist. Mus. III 385), incisa su una lastra marmorea di cm. 48,5 x 17,5. Essa è edita dal Mommsen, CIL V 8280, il quale dopo aver notato che « Aquileiae rep. esse dicitur », aggiunge che si trova « hodie Baden prope Vindobonam apud Carolum de Bernuth ». Evidentemente da Baden è passata, dopo il 1877 (ediz. del Corpus) al Kunsthistorisches Museum di Vienna. E' probabile inoltre che il Mommsen non abbia visto l'originale ma che si sia fidato della trascrizione dell'Henzen e del Rossi, poiché l'esame diretto dell'iscrizione non dà alla seconda riga: ET MILEX, come nel CIL, bensì: DI MILIX. La trascrizione esatta del testo risulta dunque essere la seguente :

+            +            +

HIC REQVIESCET IN PACE PAVLVS VRL SERBVS DI MILIX DE NVM ZAL QVI BIXIT ANNIS PLVS MINVS XX DEPOSITVS EST IN PACE SVD DIE TERTIV KAL.

FEBRVAR

PER IND XI       +

La lettura non presenta difficoltà: Hic requiesc[i]t in pace / Paulus v(ir) r(e)l(igiosus) ser[v]us D(e)i mil[es] / de num(ero) [S]al(iorum) qui [v]ixit annis / plus minus XX depositus est / in pace su[b] die tert[o] Kal(endas) februar(ias), per ind(ictionem) XI.

Vale a dire: Qui riposa in pace Paolo, uomo religioso, servo di Dio, soldato del numero dei Salii, che visse più o meno 20 anni, fu sepolto in pace il 30 gennaio, correndo l'indizione undicesima.

In favore della provenienza aqui-leiese di questa epigrafe un buon indizio è offerto dal formulario: Hic requiescit... qui vixit... che ritroviamo in diverse epigrafi cristiane di Aquileia (17), che altrimenti presentano grandissima varietà di formule. Naturalmente è soltanto un indizio perchè la formula è diffusa in tutta Italia nelle iscrizioni del V e del VI sec. Più sicura ci sembra la lezione: servus Dei, di quella un po' di singolare di: servus et miles, anche perchè nelle epigrafi cristiane raramente troviamo la qualifica di: servus, mentre frequentissima è la formula tutta cristiana di: servus Dei, famulus Dei, ecc. (18), la quale inoltre meglio s'attaglia col titolo precedente di: vir religiosus. Anche la forma: milis per: miles, è ben nota alle epigrafi aquileiesi (19). Non sapremmo invece trovare un altro numero per sciogliere la sospensione della terza riga: de numero Sal(iorum), anche se l'abbreviazione: Zal può lasciare aperta la strada ad altre soluzioni. Le altre sospensioni e contrazioni non presentano difficoltà. Ci sono due soli segni d'interpunzione, il punto tondo alla quinta riga dopo la abbreviazione: Kal e la foglia d'edera alla fine. Notevoli sono le scorrettezze ortografiche: requiescrt, serbus, milix, bixit, sud, tertiu. Le lettere in capitale attuarla presentano i caratteri paleografici propri delle iscrizioni tarde; l'andamento generale tuttavia è ancora abbastanza sostenuto ed appena accennati sono gli elementi corsivi (si veda la D e FA).

Tenendo conto anche della forma onomastica, dell'espressione: sub die, della presenza delle quattro crocelline (tre disposte superiormente ed una alla fine) e dell'indicazione del numero cui apparteneva Paulus, incliniamo a datare l'epigrafe alla fine del V sec. -inizi sec. VI. Tutti i numeri infatti trovati finora ad Aquileia come pure a Concordia ed a Grado appartengono al V-VI sec. e la presenza di queste truppe ausiliarie nella regione non si spiega altrimenti che con le ultime e tardive resistenze dell'impero contro le invasioni barbariche (20). Ciò potè avvenire in Aquileia dal V fin verso la metà del VI sec., comunque anteriormente alle invasioni del 568.

 

Note

(1) R. NOLL, Vom Altertum zum Mittelalter (Wien 1958) pp. 84 con 1 tav. e 57 illustr. - Rimandiamo a questo vol. con l'abbrev.: Catal. In questo catalogo é segnata anche come proveniente  da Aquileia una piecola misura, un'oncia del peso di 25.58 gr. (pag. 34) ; come proveniente da Aitino invece è segnata una piccola statua bronzea di Costantino che figura anche sulla copertina del catalogo (pag. 12).

(2)   H. SWOBODA, Der Dom von Aquileia (Wien 1906) 66 e fig. 39; G. BRUSIN Aquileia paleocristiana: Aquileia Nostra 2 (1931) 151 s. e fìg. 21. Il NOLL (Catal. cit.) erroneamente nota: « Fundort: Monastero bei Aquileia »; la chiesa paleocristiana a pianta centrale dei SS. Ilario e Taziano stava all'interno delle mura, presso Porta Udine; v. G. BRUSIN, Chiese paleocristiane di Aquileia: Aquileia Nostra 22  (1951)  46.

(3)   Cfr. C. CECCHELLI, Il trionfo della Croce (Roma 1954) passim. Non é il caso di vedere nelle lettere apocalittiche — come fa lo SWOBODA — una allusione alle lotte contro l'arianesimo in quanto esse esalterebbero l'onniscienza e quindi la divinità di Cristo.

(4)   J. DOSTAL, Ein Bronzemonogramm Christi aus Emona: Romische Quartalschrift 28 (1914)  194.

(5)   Catal. 1. c.

(6)   Un monogramma di Cristo con alfa ed omega ai lati, proveniente anch'esso da Aquileia, si conserva nel Museo estense di Modena (G. BRUSIN, Aquileia paleocrist. cit. 162 s. e fìg. 29) ; esso serviva da sostegno decorativo di una gabata o lampada ed é molto simile ad un altro trovato ad Emona (J. DOSTAL, artic. cit.).

(7)   1. c.

(8)   1. c.

(9)   V. fìgg. 4 e 5; cfr. CIL V 1645, 1663, 1697, 1670, 1729, 8585, 8591, 8603, 8621, 8628; C. GREGORUTTI, Le antiche lapidi aquileiesi (Trieste 1877) nn. 737. 738, 756 (frammenti di epigrafe privi dì iscrizione e trascurati dal CIL).

(10)   I. CECCHETTI, Un interessante documento... il papiro «T. Gr. 1 » del Museo Egizio di Torino: Miscellanea G. Belvederi (Città del Vaticano 1954) 557 -577.

(11)   Cfr. A. FERRUA, Epigrammata Damasiana (Citttà del Vaticano 1942).

(12)   Cfr. A. SILVAGNI, Inscript. Christ. Urbis Romae vol. 2 (Roma 1935) tav. 23,2; id., Monumenta epigraph. christ. vol. 1 (Città del V. 1943) tav. 2,1; vol. 2, tav. 3,6.

(13)   H. LECLERCQ, Lampes: DACL vol. VIII   (1928)   1087  -  1089,  1100.

(14)   G. D. BERTOLI, Delle antichità d'Aquileja... Tomo II (ms. sec. XVIII Bibl. Semin. Arc. Udine) n. DCCCLVI; G. BRUSIN, Aquileia   (Udine 1929)   217 ss.

(15)   Cfr. H. LECLERCQ, 1. c. 1086 ss. passim; oppure le lucerne apparse nei recenti scavi in Terra Santa: P. B. BA-GATTI - J. T. MILK, Gli scavi del « Dominus flevit » (Gerusalemme 1958) fìg. 25.

(16)   O. ULRICH-BANSA, Note sulla zecca di Aquileia romana: Aquileia Nostra 5-6   (1934-35)   28 s.

(17)   CIL V 1637, 1663, 1673, 1699, 8591, 8595.

(18)   Cfr. P. TESTINI. Archeologia Cristiana (Roma  1958)   375.

(19)   CIL V 1591, 1593; epigrafe della protesi di S. Maria di Grado: G. BRUSIN -P. L. ZOVATTO, Monumenti paleocristiani di Aquileia e di Grado (Udine 1958)  436.

(20)   Cfr. A. CALDERINI, Aquileia Romana (Milano 1930) 210 s.; G. BRUSIN -P. L. ZOVATTO, 1. c.