Ricordo del professor Giulio La Volpe

di Paolo Lenarda

 

I più anziani si ricorderanno certamente del Prof. La Volpe.

Teneva le sue lezioni generalmente alle 14.00 e bisognava andare con giacca e con cravatta. Con il sole che batteva implacabile alle finestre dell’aula Besta.

Non era facile seguire il suo ragionamento: il caldo, l’ora, il torpore, la non felice comunicativa rendevano le lezioni un esercizio di faticosa attenzione.

Quando riuscivi a capire il suo concetto, ti rendevi conto che ti aveva dato una nuova conoscenza. Ma non era così facile.

Con goliardico rispetto veniva chiamato “mi spezzo ma non mi spiego” e appariva un uomo duro, rigido, che non dava alcuna possibilità di  una qualche confidenza.

Mi ricordo che assieme a Gibi Pettenello facevo le dispense di economia delle assicurazioni.

E’ uno dei periodi che ricordo con maggior ansia, forse alla pari degli esami di maturità, quando, a quei tempi, si portava il programma dei tre anni di liceo.

Con il consenso del Professore, portavamo in aula uno dei primi pesantissimi e gracchianti registratori “Geloso”, a filo.

Tradurre in un italiano comprensibile il ragionamento del Prof. La Volpe, non era cosa facile. E lui correggeva, modificava, rifaceva le nostre bozze, mantenendo con noi un rapporto di cortese distacco.

Questa persona che ho avuto la fortuna di frequentare per due anni nel suo laboratorio, e che guardavo come se fosse un essere dell’altro mondo, senza emozioni e senza nessun legame con la realtà umana, ha scritto una serie di poesie che mettono in mostra una infinita sensibilità.

Ne sono venuto a conoscenza solo in questi mesi, grazie al pregevole lavoro della dottoressa Valeria Di Piazza, dell’Università di Siena, che ha catalogato tutta l’opera di La Volpe.

Pensavo di riportarvene una, ma è soltanto il complesso delle poesie che ci permette di apprezzare la sensibilità del Prof. La Volpe.

Valeria che, con delicata sensibilità, è entrata nel mondo privato del professore, lasciandosi guidare dalle emozioni e dal sentimento, così inizia la prefazione alla raccolta:

 “Tra le migliaia e migliaia di carte, Giulio La Volpe ci ha lasciato diciotto poesie.

Le ho trovate nel fascicolo “Metodo” già nella primissima fase di ricognizione del fondo, quando ancora mi accorgevo che estraevo quei fascicoli di carte incomprensibili, raccolte con ordine meticolosissimo dal suo autore, lentamente, con lo stomaco strizzato e il fiato bloccato in gola. Li aprivo, soprattutto quelli di dimensione più piccola - quelli delle prime due scatole che ad altri erano parsi corrispondenza - ancora più lentamente, titubante, perché avevo come la sensazione di invadere la vita privata di qualcuno, senza averne avuto il suo permesso”.

Grazie, Valeria, il tuo lavoro è un omaggio, un ricordo, un ringraziamento ad un Uomo che, pur senza mai confondersi  con noi studenti, ha lasciato in ciascuno di noi qualcosa di molto importante.