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di Gemma Minisini Monassi

 

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Da tempo Tinut Scarpàn (Valentino Di Giusto) aveva stabilito che anche l'ultimo dei suoi figli da grande avrebbe fatto il muratore, Elio Modesto, però, sognava per sé un futuro ben diverso...

Ogni giorno andava al pozzon di Zegliacco per riempire la carriola di argilla con la quale modellava poi figure e bassorilievi nello "studio" improvvisato, sotto l'ampio portico della casa di Treppo Grande. Qui si astraeva dal quotidiano per concedersi al fantastico, qui usciva dal proprio mondo verso nuovi orizzonti di vita! Spesso anche mia mamma e le sue sorelle, allora bambine, aiutavano barbe Modesto a spingere la carriola, poi si sedevano in silenzio all'ombra del portico, affascinate dalle mani che plasmavano mascheroni, busti, volti, ma soprattutto un personalissimo zoo popolato di leoni, cavalli, gatti.

"Pipinoz!" diceva Tinut Scarpàn sconsolato, scuotendo la testa davanti a quel figlio che non voleva proprio saperne di malta e cazzuola! Erano anni difficili quelli, anni di miseria, ma la forza di volontà, il desiderio di seguire la propria vocazione, di migliorare e potenziare le doti naturali che possedeva, hanno fatto sì che il giovane superasse mille ostacoli, sino a vincere la "Borsa di studio Marangoni", grazie alla quale potè frequentare l'Accademia di Belle Arti di Venezia.

Elio Modesto non aveva mai un soldo in tasca, quando ritornava a Treppo Grande cercava in tutti i modi di guadagnare qualche lira, spesso par une ventine aiutava anche mia nonna a stirare i pantaloni... e lo faceva molto bene, ricorda la mamma! All'inizio della Grande Guerra non partì con gli altri per il fronte, lo scoppio di una capsula, infatti, gli aveva troncato di netto due dita, potè così continuare gli studi presso l'Istituto Superiore di Belle Arti di Roma, dove seguì il corso libero di scultura.

Agli esami di licenza, sostenuti nella sessione di giugno del 1920, ottenne 10/10 e lode.

Durante il suo soggiorno nella capitale conobbe lo scultore brasiliano Ettore Ximenes che lo volle come proprio collaboratore per innalzare il monumento all'Indipendenza, sulla piazza maggiore di San Paolo.
Si è svolta, così, lontano dal Friuli e dall'Italia l'esperienza artistica di Elio de Giusto, come amava firmare le sue opere...

L'ottima manualità di cui era dotato gli consentiva di scolpire, modellare, curare fusioni, esprimersi nella calda nobiltà del bronzo, nella vivacità cromatica delle terrecotte dipinte, nella severa purezza del marmo.
Compagno ricercatissimo di tutte le simpatiche riunioni, pronto sempre a tutti gli scherzi, esuberante e loquace, il giovane scultore diventava riservato e taciturno ogni volta che si parlava della sua arte. Per lui plasmare la creta era un lavoro, un impegno di serietà, ogni sua opera era un mondo a se stante, frutto di sensazioni, di studio accurato, di sofferenza, di partecipazione.

L'esuberanza sensuale che sapeva trasfondere nei nudi femminili, si accompagnava ad un'acuta intuizione nella ritrattistica dove, con grande sintesi psicologica, riusciva a mettere a nudo l'anima di chi posava per lui.
Nel 1928 fu incaricato dal direttore della Companhia Constructora de Santos, dott. Mario Freire, di preparare dei bassorilievi per il "Pantheon dos Andradas", sono nati così otto bellissimi mascheroni in bronzo nei quali l'artista ha esaltato la gloria dei tre fratelli Santisti.

È stata questa la consacrazione pubblica della sua arte, il suo essere moderno e propositivo!
Larghi consensi di critica e di pubblico ottenne anche la grande esposizione che lo scultore organizzò in un ampio salone di via Barao De Itapetininga, alla vernice era presente anche il Console d'Italia, Commendator Gaetano Vecchiotti.

Su "Fanfulla" di Venerdì 13 ottobre 1933 si legge: "L'artista si dimostra nelle opere di grande mole e nei bozzetti quasi decorativi, padrone assoluto delle esigenze tecniche della sua arte, modellatore sicuro, capace di trasmettere senza sforzo, al marmo o al gesso, quel particolare e prezioso spirito, per cui le opere d'arte destano emotività..... Un grande Cristo in gesso, rivela veramente tutte le belle qualità e le notevoli possibilità di questo artista al quale l'arte può dare e darà senza dubbio nuove e maggiori soddisfazioni. Dove, però, Elio de Giusto fa dell'arte pura, senza indugiarsi, anzi rifuggendo da ogni minimo ed anche lecito dettaglio decorativo, è nei marmi. Sul marmo, de Giusto più che lasciarvi l'impronta della sua tecnica, vi fa trasparire l'ardore della sua passione..."

E sul n° 34 di "Vanitas", rivista pubblicata a San Paolo nell'ottobre del 1933: "La mostra d'arte di Elio de Giusto è di quelle che restano per sempre nella memoria della gente di buon gusto. Il suo grande talento riscopre nella bianchezza dei marmi un'anima nuova e dà alla terracotta una forza e un'espressione veramente notevole".

E ancora il critico d'arte Jean Coquelin sul "Correio de S. Paulo" del 25 ottobre 1933 scrive: "Nei suoi lavori in gesso, bronzo, marmo e terra cotta, Elio de Giusto si rivela un artista vero e quando un artista ci suggerisce tante profonde emozioni di bellezza, quando suscita in noi ammirazione e ci fa raccogliere in noi stessi davanti la vita e davanti la morte, sentiamo la necessità di cercare, nell'albero genealogico dell'arte, il legame di parentela che lo unisce alla famiglia dei maggiori scultori contemporanei, la famiglia dei Meunier e dei Rodin".

Nel 1934 è stato di Elio de Giusto il 1° premio di scultura al Primo Salone di Belle Arti di San Paolo, il successo si è rinnovato e confermato l'anno seguente con l'opera "Preoccupazione".

Da mesi lo scultore si era intanto trasferito con il suo studio negli ampi saloni del Palazzo di Giustizia, in costruzione nei pressi del Largo da Sé. Il dottor Ramos de Azevedo, infatti, gli aveva affidato l'incarico di scolpire quattro enormi statue per la facciata del grande edificio: l'Ordine, la Sicurezza, la Legge, la Giustizia.

A questo proposito ha scritto il dott. Alfonso de E. Taunay, direttore del Museo Ypiranga: "Le due prime statue sono già pronte, in gesso: sono opere della maggior bellezza, che concentrano in sé un aspetto di forza, di fiducia, di tranquillità che trascinano all'entusiasmo; figure di imponente, impressionante virilità. Si può dire senza esagerazioni che la facciata del nostro Palazzo di Giustizia s'adornerà di alcune delle migliori opere della statuaria del Brasile ed ancora una volta, in esse, si consacrerà l'arte di Elio de Giusto".

Contemporaneamente a questi lavori, l'artista aveva progettato delle enormi ed originalissime cariatidi, anch'esse destinate al Palazzo di Giustizia, aveva scolpito un grande e bel medaglione con l'effigie di José Bonifacio, destinato al Banco do Brasil di Santos ed i busti del Presidente Washington Luis, del Ministro delle Comunicazioni Victor Konder e quello dell'Ispettore generale della Compagnia Paulista Francisco Manlevade.

Dopo tredici anni di vita artistica e di successi in Brasile, Elio Modesto, però, sentiva nostalgia per il suo paese, voleva ritornare in Friuli, voleva riabbracciare i suoi cari ai quali mandava costantemente le fotografie delle sue opere e le pagine dei giornali che lo riguardavano, ma il suo è rimasto solo un bel sogno...

Nel 1936 è arrivata, invece, a Treppo Grande la notizia della sua morte improvvisa!

Non so dove barbe Modesto sia stato sepolto, non so dove siano finite le molte opere del suo studio, non so se le grandi statue modellate per il Palazzo di ustitia di San Paolo siano state fuse in bronzo, di lui, nella nostra famiglia, oltre al ricordo, rimangono solo un bronzetto, le fotografie di tante belle sculture e un fascio di articoli di giornale, ormai ingiallito dal tempo...