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Il Carnevale dei Ragazzi 

di Ermes Santi

 

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La storia del Carnevale dei Ragazzi è legata strettamente agli anni ’60, un periodo particolarmente propositivo nella storia del nostro paese che cominciava allora a respirare un’aria di rinnovamento. Eravamo appena usciti dalla ‘guerra del cimitero’ che aveva posto clero e popolazione contro il sindaco, determinandone le dimissioni. Il paese aveva un aspetto dimesso di habitat campagnolo, suddiviso in frazioni che non avevano mai trovato un qualche legame che le riunisse.

L’aspetto dimesso era messo in rilievo anche da altre realtà. Chi passava qui di notte ci diceva: “Adesso capisco perché Buja si chiama così”. Alludeva al fatto che avevamo ancora le lampadinette col piatto che illuminavano solo i bivi delle strade, molte ancora da asfaltare. Quei punti luce erano i bersagli preferiti dei ragazzini; allora il sasso era spesso l’unico loro giocattolo. Non costava nulla ed era a portata di mano.

C’era il desiderio di vivacizzare il paese, rendendo partecipi tutti gli abitanti a questa operazione di modernizzazione.

Era il 1965. Appena rientrato dalla mia trasferta nelle Marche, con tutti i membri del Consiglio Comunale ci trovammo a cena per prendere una decisione che mi stava a cuore. Tutti accettarono la mia proposta e sottoscrissero una quota di avvio per far nascere la Pro Buja, una iniziativa che poteva aiutarci nel coinvolgimento della popolazione, ad eliminare i vecchi dissidi borghigiani e a far decollare il paese. Una cospicua elargizione venne dalla Associazione Allevatori, guidata da Pierino Minòn.

Era il ricavato della manifestazione allestita nell’estate con una interessante mostra avicunicola. L’anno successivo cominciarono le manifestazioni organizzate dalla Pro Loco che inizialmente puntarono su tutto il territorio comunale ma che poi si focalizzarono principalmente sul colle di Monte.

In Monte, per la Festa della Primavera, il nostro Enore Pezzetta organizzò una ‘ex-tempore’ che fu ripetuta negli anni successivi. Il concorso richiamò molti artisti non solo friulani e, alla successiva esposizione, molti estimatori delle belle arti. La gente cominciò a frequentare Buja e ad apprezzarla. Per inciso, la conseguente reclamizzazione che fece conoscere questa contrada, bella per sua natura e ricca di storia, mi permise di far inserire la strada che giunge fin lassù da S. Floreano fra quelle turistiche del Friuli. E la grinta che finalmente dimostravamo ci aiutò ad ottenere dallo Stato un finanziamento a fondo perso per dare una illuminazione moderna ai nostri borghi.

Allora, proprio da Monte, ha inizio la storia del Carnevale dei Ragazzi.

La maestra Annamaria Fanzutto, che ha sempre trasmesso ai suoi allievi il suo amore per l’arte, conosciuta l’iniziativa dell’ex-tempore, aveva pensato di farne partecipe anche i suoi scolari. Così, una bella mattina, con tutti loro, carta da disegno, matite, colori e pastelli, si era recata in Monte e lassù aveva detto: “Adesso scegliete ciò che vi piace di più e disegnatelo”. Aveva poi chiesto se era possibile esporre i disegni in un angolino, accanto alle opere realizzate dagli artisti partecipanti.

Educatamente ma recisamente le era stato detto di no. Un po’ tanto dispiaciuta per questo diniego (probabilmente per suscitare entusiasmo aveva ventilata la proposta ai suoi ragazzi) venne da me per sapere se era possibile trovare un posto espositivo. Non ci pensai due volte e le misi a disposizione l’atrio del Municipio. Nel centro del paese, luogo di transito per tutti coloro che dovevano recarsi nei vari uffici comunali, quale posto migliore per far vedere la bravura dei minipittori?

Un’altra iniziativa aveva suscitato il mio interesse. Ogni anno a carnevale le suore dell’asilo di S. Stefano organizzavano una festicciola per i loro assistiti. Nel ’66 avevano realizzato una gondola. Vestiti i bambini da gondolieri e le bambine da damine, erano sfilati per il centro del paese con grande successo.

Mi trovai di fronte due suggerimenti che non potevano essere trascurati. I bambini costituiscono una parte rilevante della popolazione, sono le persone che un giorno prenderanno i nostri posti nelle famiglie e nelle comunità. Devono abituarsi a convivere, ad aiutarsi a socializzare, non solo per obbligo, come avviene nella scuola, ma anche al di fuori nelle loro ore di svago. Chi conduce un paese deve occuparsi non solo dei ‘grandi’ ma anche di questi piccoli cittadini in formazione.

S’era stabilito tra l’Amministrazione Comunale e la comunità sacerdotale un buon rapporto, che proveniva dalla reciproca stima e dal convincimento che ogni autorità deve agire nel suo precipuo campo. Questo produsse momenti di reciproco aiuto che permisero realizzazioni per la comunità ancora oggi di notevole importanza. Vicario era don Valerio Zamparo; insegnante di religione nelle scuole medie, impegnatissimo soprattutto nel seguire la gioventù. Parlai con lui delle mie proposte e ne fu entusiasta.

Dapprima tutti i centri scolastici poi tutti i borghi furono invitati a partecipare al Carnevale dei Ragazzi, che prevedeva una mostra del disegno e una sfilata di carri allegorici. Quanto s’è dato da fare don Valerio per organizzare, assistere, spronare, aiutare i partecipanti! La risposta delle scuole, grazie anche all’adesione completa del direttore didattico dott. Guerrino Zanoni, e delle famiglie superarono ogni aspettativa. Il successo ottenuto ci spinse ad allargare la partecipazione, sì che il concorso del Disegno del Fanciullo divenne regionale, Furono invitate tutte le scuole elementari e medie del Friuli-Venezia Giulia e larga fu la partecipazione. Col tempo il concorso non si rivolse solo al disegno ma a qualunque forma d’arte figurativa, con risultati a volte sorprendenti.

La commissione giudicatrice, tutta esterna, era composta dagli architetti Alberto Tondolo, Enrico Micelli, Patrizia Santi, Renato Petrei, dal ceramista Enore Pezzetta, dai professori Crosetto (designato dal Provveditorato agli studi) e Schiavi, docenti di storia dell’arte.

La costruzione della Casa della Gioventù da parte della Parrocchia, col concorso indiretto e pur decisivo dell’Amministrazione Comunale, permise non solo di portare l’esposizione e le premiazioni all’interno di quell’edificio, ma di aggiungere un’altra manifestazione in contemporanea. Buja è un paese d’arte e finalmente avevamo a disposizione un valido ambiente per esporre le opere prodotte. Fu così che ci dedicammo ogni anno alla presentazione di uno dei nostri artisti.

Venne realizzata la mostra antologica del pittore Enrico Ursella, a cui dedicammo poi la scuola media. Furono presentati autori ancora poco noti da noi: Pierino Gallina allora residente in Svizzera e che, dato il successo ottenuto, si decise a rientrare a Buja. Andrea Molinaro scultore in ferro, residente in Liguria. In seguito a questa mostra gli furono commissionate opere da più fruitori; un suo crocifisso si può ammirare nella Chiesa di S. Stefano. Furono presentati autori ancora alle prime armi, alcuni dei quali riuscirono poi a farsi conoscere anche al di fuori del Friuli, come Bruno Aita.

Alta fu l’affluenza dei cultori alle nostre mostre d’arte e ancor di più alla mostra del Disegno del Fanciullo. A tagliare il nastro furono presenti le più alte cariche regionali e ecclesiastiche che si fermavano ben volentieri oltre il momento dell’inaugurazione e partivano con l’omaggio della ceramica-souvenir che ogni anno Enore Pezzetta creava in esclusiva per noi.

Col passare degli anni la mostra del Disegno del Fanciullo si fece più interessante per le realizzazioni e più ricca di aderenti. Nelle ultime edizioni si vide la partecipazione di scuole del Veneto e della Slovenia. I migliori disegni furono esposti in mostre didattiche a Klagenfurt e a Nova Gorica. Mons. Giancarlo Menis fece pubblicare una raccolta di leggende scritte dal padre Pietro, illustrata con tavole presentate in una precedente edizione della Mostra del Disegno, il cui tema era appunto ‘favole e leggende del Friuli’.

Molti altri comuni più tardi seguirono il nostro esempio, pur se in ambito più ristretto. Qualche anno dopo la nostra partenza il “Corriere dei Piccoli”, allora il più diffuso settimanale per i ragazzi, lanciò un concorso nazionale analogo al nostro, che durò per qualche anno.

Per quanto riguarda le sfilate allegoriche il ricordo è altrettanto significativo per i risultati ottenuti. La gara per i carri allegorici fra le varie frazioni divenne sempre più serrata. A dicembre i gruppi preparatori si riunivano per scegliere il tema, per disegnare il soggetto, per stilare l’elenco dei materiali necessari, per distribuire gli incarichi.

Tutto si svolgeva in un’atmosfera ‘Carbonara’. Non doveva trapelare nulla sulle loro decisioni. Occorreva un ferraiolo per la struttura, chi sapeva lavorare la cartapesta per la copertura, il pittore per la coloritura, le sarte per i costumi e poi e poi... Per il carro Miguel i sombreri vennero fatti venire dal Messico! Per realizzare la caravella di Colombo vennero consultati vecchi testi nella Biblioteca Comunale di Udine e copiati disegni che la riproducevano.

Queste riunioni di lavoro erano quanto mai allegre, allietate da panini, crostoli, vino, barzellette, canti e risate. A volte, in azione di ricupero, venivano le mogli a ricordare che era ora di rientrare per andare a dormire perché il giorno dopo bisognava tornare al lavoro.

Ricordare tutti i carri e tutti i gruppi impegnati è troppo impegnativo. Solo qualche accenno: una grande bianca conchiglia che si apriva a mostrare una bella bambina vestita da Sirenetta; una grossa rana gracidante che ogni tanto spruzzava pipì su quelli che le andavano troppo vicino, finita come simbolo all’ingresso della sagra delle rane a Bueris, un gigantesco Gulliver, il toro simbolo di Buja, i deliziosi Aristogatti e tanti altri carri che prendevano spunto da fatti d’attualità. Ma non solo, c’erano anche i gruppi mascherati. Ricordo una ventina di signore di S. Stefano che si erano travestite da pinguini; pinguini che più pinguini di così non se ne sono mai visti.

Don Valerio, vulcano di idee, pensò che tanto lavoro e così belle realizzazioni meritavano qualcosa di più di due giri per Buja e perciò i carri avrebbero dovuto esibirsi anche in città con una più vasta partecipazione di pubblico. Ottenute le autorizzazioni prefettizie, alla mattina presto partivano i trattori che trainavano i carri per giungere a sfilare in città più o meno lontane. Arrivammo così a Pordenone, a Monfalcone, a Udine, dove, tra una marea di folla festante, facemmo man bassa di primi premi.

Questo dimostra che veramente i bujesi avevano raggiunto un’alta quota di perfezione e di brillantezza d’idee. Mezza Buja accompagnava i carri in quelle trasferte; tutti i ragazzi della scuola d’obbligo venivano trasportati con apposite corriere. La seconda volta che andammo a Monfalcone trovammo che gli organizzatori avevano cambiato il metodo di giudizio. Onde evitare che i premi finissero quasi tutti ad una sola componente (Buja), dato che partecipavano anche altri comuni (fino a Muggia) che forse si erano lamentati, avevano abolito i premi di graduatoria sostituendoli con altri di partecipazione.

E questo non ci ha deluso, anzi era la dimostrazione che i jerin masse bulos! L’esito della nostra iniziativa evidentemente è stato talmente buono che ha suggerito la sua riproposta in altri paesi del Friuli, in cui da anni non si faceva più, come ad esempio Udine. E, scusate la nostra immodestia, di questo siamo orgogliosi.

L’organizzazione ha funzionato nel migliore dei modi per l’aiuto di tante persone, in particolare insegnanti tra i quali desidero ricordare Tarcisio Piemonte che ogni anno si è impegnato a decorare con piante e fiori il palco della premiazione. Molte mamme hanno contribuito a confezionare i costumi, alle pulizie e a regalare i crostoli che venivano offerti al festino preparato per i ragazzi. L’impegno era tale che una maestra commentava: “Ce tantes pastesutes cule spongje...” perché tanto era il tempo assorbito (e con entusiasmo) dalla preparazione del carnevale che ben poco ne restava per il menage familiare.

I trattoristi si sono dimostrati sempre disponibili a portare i carri non solo in giro per Buja ma anche attraverso le strade del Friuli, salutati dappertutto festosamente e trovando il conforto di tajùts offerti e il colore dei coriandoli e delle stelle filanti.

Mi piace rammentare che alla manifestazione era stata associata l’edizione di un numero unico “Monede di Buje” che raccoglieva articoli e poesie di autori bujesi e dei più noti scrittori friulani. Fra questi ricordo Carlo Sgorlon che mi affidò un estratto dal suo primo libro edito da Mondadori, allora non ancora pubblicato e che vinse il premio Campiello.

Cosa ripetuta in anni successivi; Sgorlon mi considerava il suo portafortuna, anche perché il premio Campiello lo rivinse. Biagio Marin, squisitissimo ospite mio e di mia moglie nella sua casa di Grado, mi affidò una sua composizione poetica. Pietro Menis mi diede da pubblicare un suo racconto inedito su un ignorato episodio dell’ultima guerra esaltante il coraggio di una nostra concittadina. Meni Ucèl, Riedo Puppo, Maria Forte, Andreina Ciceri, Nadia Pauluzzo ed altri contribuirono a queste pubblicazioni.

Fu possibile realizzare questa iniziativa editoriale grazie a due simpaticissimi amici: Romano Aita ed Eligio Piemonte. Al pomeriggio, liberi dagli impegni scolastici, facevano il giro programmato di negozi, alberghi, industrie e bar dei dintorni per raccogliere inserzioni pubblicitarie da pubblicare sul numero unico che trovava così le sovvenzioni necessarie, divertendo con la loro simpatia e divertendosi. Qualche volta li incontravo la sera al loro ritorno sempre felici come se fossero reduci da chissà quale festino.

Quando fummo colpiti dagli eventi sismici del ’76, eravamo tutti impegnati nelle cose pressanti ed urgenti imposte dalla necessità della ricostruzione. Le scuole erano alloggiate nei prefabbricati regalati dal Giornale di Brescia a Ursinins Piccolo, il municipio in due prefabbricati costruiti sulla piazza del Mercato, pochi erano quelli che potevano abitare ancora in una casa, la maggioranza della popolazione viveva in baracche o roulottes; non pochi ragazzi vivevano lontano, ospiti di generose famiglie che avevano offerto la loro disponibilità.

Il Carnevale dei Ragazzi non faceva parte di certo dei nostri pensieri. Proprio allora dalle scuole di Caneva di Sacile giunse una delegazione a dirci che una così bella manifestazione non poteva, non doveva morire perché anch’essa era il simbolo della continuità della vita; faceva parte della storia, anche se minore, di Buja e doveva esistere perché serviva a dimostrare che noi non permettevamo neanche all’ira della natura di distruggere i nostri sogni, i nostri desideri di ritornare alla normalità.

Ci offrirono non solo la loro solidarietà, disposti ad aiutarci nell’allestimento, ma ci donarono i tabelloni necessari per la mostra; i nostri erano finiti sotto le macerie. Avevano ragione e noi ci attivammo a cercare ritagli di tempo per ripristinare almeno la mostra del disegno che trovò collocazione in uno dei prefabbricati scolastici e fu inaugurata tra la commozione generale da mons. Battisti, arcivescovo di Udine.

Le ultime edizioni furono accolte nella palestra delle scuole medie, appena costruite, frutto di una donazione della Provincia di Udine. Ed è necessario ringraziare il preside d’allora dottor Raspi, sempre molto disponibile nelle manifestazioni che coinvolgevano la scuola. A lui voglio unire nel ricordo il professore Marino Rossi che collaborò con entusiamo durante tutti gli anni in cui visse questa iniziativa.

Come per tutte le cose di questo mondo anche il Carnevale dei Ragazzi giunse, dopo qualche tentativo di mantenerlo in vita, alla sua conclusione. Erano mutati i tempi, erano mutate le persone, quell’invisibile filo spirituale che univa le persone a realizzare se stesse nella comunità si è spezzato con un raggiunto miglior tenore di vita, per la distrazione operata dall’evoluzione tecnologica, per la scomparsa degli antichi valori umani, che non hanno trovato ancora validi sostituti.

Noi ricordiamo quei tempi non con rimpianto, perché si deve sempre vivere il tempo attuale, ma con tenerezza perché rappresentano un periodo di operosità appagata dal sorriso di chi ne gioiva, sperando che sia così anche e soprattutto per i ragazzi di allora, la cui allegria si sprigiona ancor oggi a rallegrare i nostri cuori dalla vasta documentazione fotografica che conserviamo.