Acetàiso les mascarutes? di Andreina Ciceri | |
Buia non ha tradizioni particolarmente originali, ma assomma gli aspetti piu caratteristici degli usi di un Friuli medio, per cui si può studiarlo come paese tipo. A Buia gli anni si contano a Carnevali e ognuno ha cari quelli della sua infanzia e giovinezza. Io ne traccerò un prototipo sulla scorta di notizie fornitemi dalle due generazioni precedenti alla mia, Carnevale si apre con l'Epifania: alla vigilia si benedicono la acqua ed il sale; un po' d'acqua benedetta si versa nel pozzo di casa; I'acqua di «tre Epifanie» mescolata dà una mistura preziosa contro tempesta e fulmini; il sale benedetto si mette nel pasto degli animali domestici e, a sera, nell'acqua della polenta, versandolo in tre punti, a triangolo, ed accompagnandolo con le parole: «In non de Santissime-Trinitât». Alcuni fanno benedire anche semola per gli animali e mele da consumare a S. Biagio contro il mal di gola. Dopo questi gentili riti cristiani, a sera si ripete il rito assai più antico del fuoco: si preparano nei campi grandi cumuli di canne di granturco e sterpaglia (cjàpes, tamosses) e, dopo il suono dell'Ave Maria, un vecchio dà loro fuoco (brusâ l'avent). Intorno c'ê un gran correre di bambini, reggenti fasci di paglia accesa al pignarûl: senza averne coscienza compiono un atto di purificazione e propiziazione per la futura annata agraria, mentre i vecchi compiono atto divinatorio, profetando l'andamento dei raccolti dalla direzione del fumo del pignarâl: Se el fum al va a soreli amont-cjape el sac e va pal mont! Se el fum al va a soreli jevât-cjape el sac e va al marcjât! La consapevolezza del valore rituale di molti usi si ê ormai perduta, cosi anche il grido augurale ê diventalo ormai una filastrocca scherzosa: Ven pan, ven vin, le lujanie tal cjadìn el cjadin, al è forât le lujanie sul toglât el toglât al e plen di fen le lujanie sun tun len el len nol à scusse ti metarai su pe musse le musse no à pêl ti metarai sul camêl el camêl ti trai une vesse che ti pare drete a messe messe no à timp ti pare-fûr incurint. (Inf. Angela Pittini)
Dall'Epifania cominciavano a girare le maschere; dapprima in sordina: si presentavano col buio, sulla porta o alla finestra: Aceíàiso les mascarutes? Preferivano le case dove c'erano ragazze con cui ballare, al suono dell'armonica. Era questa infatti la stagione propizia a fidanzamenti e matrimoni. Portavano allegria ed anche un po' la suggestione del mistero, per quelle maschere (moretine) che nessuno avrebbe osato toccare e che spesso mettevano paura ai bambini. Dopo due, tre balli (pulcre, manfrine, mazurche, ponte e tac.) se ne andavano in altre case, a portare i loro lazzi e la loro presenza grottesca. Di regola però accoglieva le offerte uno a viso scoperto. Le mascherate si facevano di sabato, ma andavano infittendosi e crescendo in euforia verso gli ultimi giorni: giovedi grasso, sevrùt (lunedi) e, nel martedi, si concludeva con una pubblica pantomima, con solenni bevute e mangiate di crostoli e frittelle (crofes). In questo periodo, ogni famiglia disponeva di buone scorte e dei soldi degli emigranti, cosi anche i nostri tranquilli e morigerati paesani diventavano per una volta spavaldi: A Carnavâl no mi fas paure
Mascare mascare dal pezzot dàit un pît, paràile sot! Mascare mascare dal tambúr dàit un pît, paràile fûr!
Queste ed altre forme di dismisura, tipiche del sovvertimento carnevalesco, procuravano gran divertimento e inducevano a generose offerte alla compagnia del Carnevale. Del resto un Carnevale ricco di maschere ê sempre stato ritenuto di buon augurio per il paese. Oltre ad assolvere questa funzione catartica, il Carnevale aveva altre implicazioni simboliche, che ha completamente perduto, formalizzandosi. Solitamente sulla piazza di Avilla convenivano le mascherate, a consumare l'atto finale: il processo e la condanna di Carnevale. Gli si muovevano le accuse piú varie, passando in rivista i fatti dell'annata paesana e compiendo cosi, pur nello scherzo, un atto di pubblica autocensura. J lassi i bregons a chei di Strambons J lassi le camisole a chei di Cjasesole J lassi el cjapièl a chei di Saquel J lassi un carantàn a chei di Tonzolan J lassi el gaban a chei di San Florean J lassi le gombe a di chei di Tombe....
-------------------------------------------- Vuê, a vê fan al ê un lusso. Al e parchel che il nestri mont civîl, si preòcupe di plui dal apetìt dai massepassûz che nò de fan de puare int. Puppo |