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Monassi e Pezzetta

a Klagenfurt nel 1951

di Gianfranco Ellero

 

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Dopo la grande tragedia della seconda guerra mondiale, fu più facile ritrovare la strada della pace e dell’amicizia fra stati che fra regioni confinanti, ma il Friuli e la Carinzia furono abbastanza sollecite e determinate, dopo il 1945, nel riallacciare i rapporti interrotti dal conflitto, che duravano fin dai tempi dell’impero romano.

I primi a incontrarsi, stando a quanto scrissero Giorgio Provini e Arturo Manzano,  furono i giornalisti delle due regioni, nel 1948. E siccome il primo era Presidente del Circolo Artistico Friulano di Udine, e il secondo critico d’arte del “Messaggero Veneto”, in loro sorse spontanea l’idea di proporre ai colleghi d’oltralpe una mostra scambio, da inserire nel quadro di un nutrito programma di manifestazioni bilaterali, come la “Mostra dell’artigianato friulano con la partecipazione della Carinzia” nel 1950 a Udine, ripetuta nel 1951, e altre occasioni d’incontro e di collaborazione (accordi commerciali fra le province di Udine e Klagenfurt, concerti e spettacoli teatrali…).

Provini e Manzano erano certi, proponendo la mostra dei carinziani a Udine e dei friulani a Klagenfurt, di compiere un passo importante anche per la storia dell’arte, perché mai prima d’allora era stato possibile gettare uno sguardo, sufficientemente dilatato, sulla contemporaneità artistica delle due regioni.

Ma allora, molto più di oggi, fra il dire e il fare c’era di mezzo il mare, e il progetto fu realizzato nel 1951.

 

Due mostre per ricominciare

In aprile opere di Berg e Boeckl, Mahringer e Clementschitsch, Zunk e Kolig, Graef e Frodl, Lassnig, Schmidt e altri furono esposte a Palazzo Caiselli, in piazza San Cristoforo, e il 17 del mese la cronaca della vernice occupò tre colonne sul “Messaggero Veneto”, che quattro giorni più tardi accolse su cinque colonne la recensione firmata da Arturo Manzano. Pochi giorni più tardi il quotidiano udinese pubblicò anche un saggetto sulla pittura carinziana nel quadro dell’arte austriaca, firmato da Franz Feldner.

Arturo Manzano, riprendendo un concetto espresso sullo stesso giornale nella primavera dell’anno precedente (“La Carinzia pastorale e silvestre non ha paura di essere schietta provincia”, 7 maggio 1950), nella sua recensione scrisse una frase che non piacque agli ospiti, definiti, ma in senso positivo, “provinciali”.

Grande rilievo diede, il “Messaggero Veneto”, anche alla mostra dei friulani a Klagenfurt e alla recensione di Herbert Strutz, tradotta dal tedesco e pubblicata su cinque colonne nel giugno 1951.

A Klagenfurt, già nel corso del vernissage, il Presidente del Circolo Artistico Friulano aveva dovuto motivare, in risposta ai velati accenti polemici del Presidente del Kunstverein, l’allestimento di una mostra che oggi potremmo definire “a largo spettro”. Ma più espliciti, nel rendere la pariglia ad Arturo Manzano, furono i critici, e in particolare la scrittrice Trude Polley che, su “Die neue Zeit”, definì la mostra “asimmetrica”, giudizio confermato, del resto, dal nostro Chino Ermacora: “certe esercitazioni potrebbero restare nello studio degli autori, senza pretendere di figurare nelle linde sale della Künstlerhaus di Klagenfurt, diminuendo il valore delle opere serie”.

Al successo della manifestazione non guastò certo il sale di quella polemichetta, anche perché il valore artistico non esauriva allora il significato della doppia mostra.

Ma oggi, a tanti anni di distanza, è il valore estetico della partecipazione dei friulani a Klagenfurt che ci interessa, non il significato politico della loro partecipazione, resa peraltro problematica da un contesto socio-economico ancora depresso, che non consentiva, ad esempio, la stampa di un catalogo con illustrazioni.

 

Buja anni Cinquanta

E’difficile spiegare oggi ai giovani dal telefonino facile che soltanto nel 1953 Urbignacco, Madonna, San Floriano, Avilla, Ursinins Grande  furono “allacciate telefonicamente al Centro e quindi al mondo. Tra poco – si legge sul “Bollettino parrocchiale della Pieve arcipretale di Buja” del giugno 1953 – la "rete" funzionerà e sarà un grande vantaggio per tanta popolazione”. Naturalmente non si sta parlando di telefono fisso nelle famiglie: si intende telefono pubblico in qualche osteria, per risparmiare la cabina telefonica!

E’ altrettanto difficile spiegare ai giovanissimi dal motorino rombante e ai giovani in automobile che allora ci si spostava in bicicletta, di solito, perché  nel 1946 Buja era collegata con corriera solo con Tricesimo, quattro corse al giorno (andata e ritorno), con partenza e arrivo solo nel capoluogo, cioè a Santo Stefano. Altri punti di fermata furono aggiunti negli anni successivi, ma Tomba, nel 1953, era ancora isolata! (Ricerche di Mirella Comino).

Anche Udine, in simili condizioni, appariva lontana, e a maggior ragione Klagenfurt, dove certo pochi furono gli artisti presenti alla vernice.

La mostra rimane quindi documentata soltanto da un francescano dépliant intitolato “Verzeichnis der Gemälde und Sculpturen der Italienischen Kunstausstellung im Künstlerhaus Klagenfurt”, 9 Juni –30 Juni 1951.

 

L’elenco degli espositori

Questi i nomi degli espositori e, fra parentesi, il numero delle opere esposte e i luoghi di residenza fuori Udine:

Sergio Altieri (3, Capriva del Friuli), Dora Bassi Corbellini (3), Mario Bernardinis (3), Angelo Bortolameazzi (2), Darmo Brusini (4), Marzio Carletti (2), Germano Castellani (1), Giorgio Celiberti (2), Carlo Ciussi (2), Antonio Coceani (3), Umberto Degano (3), Giacomo Della Mea (3), Luigi Diamante (3), Primo Dri (5), Ado Furlan (3, Pordenone), Aurelio Galliussi (2), Ferruccio Lessana (3), Bepi Liusso (4), Alessandro Livotti (3), Ermanno Malisan (2), Luciano Martina (1, Artegna), Luigi Martinis (1), Mario Mattioni (3), Antonio Menossi (2), Aldo Merlo (3), Gino Michelutti (1), Ernesto Mitri (5), Cesare Mocchiutti (3, Gorizia), Guerrino Mattia Monassi (1, Buia), Giovanni Moro (2), Carlo Mutinelli (3, Cividale del Friuli), Pino Passalenti (1), Ottorino Pellegrini (2), Johannes Pellis (4), Enore Pezzetta (3, Buia), Fred Pittino (5), Giulio Piccini (3), Max Piccini (2), Luigi Pischiutti (1), Orlando Poian (2, Ronchi dei Legionari), Teresa Policreti (1, Aviano), Costanzo Schiavi (6), Guido Tavagnacco (4, Remanzacco), Nando Toso (5), Renzo Tubaro (2, Codroipo), Angelo Variola (2, Cordovado), Carlo Walcher (2, Trieste), Giuseppe Zigaina (3, Cervignano del Friuli), Teresa Zuliani Dorigo (1).

In totale furono esposte 131 opere di 49 artisti, invitati, probabilmente, perché iscritti al Circolo Artistico Friulano.

Sorprendente risulta l’esclusione dei Basaldella, già affermati al di là dei confini regionali (che, forse, furono esclusi perché non iscritti) e l’inclusione di alcuni dilettanti, che non hanno lasciato tracce da noi apprezzabili dopo mezzo secolo. Ma sicuramente lodevole appare l’apertura verso alcuni giovani emergenti (Altieri aveva soltanto 21 anni, Celiberti 22, Ciussi 21, Menossi 24, Tubaro 26, Dora Bassi 30…) che avrebbero poi percorso luminose carriere.

A quella prima, storica mostra oltre le Alpi diedero il loro contributo anche due artisti locali, segnalati in grassetto nell’elenco precedente: Guerrino Mattia Monassi, presente con una medaglia intitolata “Der Papst”, ed Enore Pezzetta, che inviò a Klagenfurt tre terrecotte intitolate “Badende” (Bagnanti), “Crotar” (non tradotto in tedesco) e “Der verolene Sohn” (Il figlio perduto o prodigo).

Il primo è indicato nell’elenco pubblicato sul dépliant come G.S. Monassi, il secondo come Enero [sic] Pezzetta: evidentemente l’Austria non era più “un paese ordinato”, ma i due errori non ci impediscono di risalire alla vera identità dei due artisti.

Anche i nostri due artisti, che condividevano lo studio ad Avilla, erano allora abbastanza giovani, o per dir meglio trentatreenni, e non fa meraviglia che nei loro curricula non si trovi memoria della mostra di Klagenfurt, che del resto non appare di solito citata neanche nelle note biografiche degli altri espositori.

Perché, si domanderanno i lettori, una mostra dimenticata dagli stessi artisti, viene oggi presentata come “storica”?

Gli artisti la dimenticarono perché affidarono le opere da esporre al Circolo artistico friulano di Udine, verosimilmente scendendo in corriera fino a Tricesimo e poi a Udine con il tram bianco che veniva da Tarcento, e andarono a ritirarle dopo un paio di mesi; perché molto probabilmente non furono presenti all’inaugurazione (non si viaggiava, allora, “per niente”, cioè per puro piacere, in friulano “par piardi timp”); perché il catalogo era un semplice elenco di nomi e cognomi talora mal scritti, come abbiamo visto, e di titoli tradotti in tedesco; perché non ottennero premi o segnalazioni degne di memoria sui giornali.

In verità i giornali della Carinzia dedicarono largo spazio alla mostra dei nostri artisti, e fra i nomi citati e commentati da Herbert Strutz (la traduzione apparve sul “Messaggero Veneto” alla fine di giugno del 1951, come sappiamo) c’era anche quello di Monassi, che “con una medaglia di metallo come lavoro artigianale ben eseguito mostra il Papa”. Di che vantarsi, allora?

 

La bujesità artistica

Diverso e talora opposto il punto di vista dello storico dell’arte e della società, che vede in quella mostra collettiva, poveramente organizzata e allestita nella capitale della Carinzia, un evento di rilevante importanza, progettato e realizzato con finalità non puramente estetiche.

Eravamo, quindi, convinti, che fosse necessario riportare in luce un evento dimenticato, ma scrivendo questo contributo speravamo anche di trovare e conoscere le opere esposte a Klagenfurt dai due artisti, cioè di colmare, dopo quasi sessant’anni, il vuoto visivo lasciato dal catalogo.

La ricerca, grazie a Mirella Comino, e alla collaborazione della famiglia Pezzetta, ha dato il migliore dei risultati possibili, e ora possiamo guardare con emozione uno spicchio della prima grande mostra degli artisti friulani in Carinzia.

(L’esito dell’indagine ci ha altresì convinti che sarebbe il caso, prima che sia troppo tardi, di allargare la ricerca agli altri artisti presenti a Klagenfurt nel 1951, per arrivare a una completa (o quasi) ricostruzione di un quadro attualmente descrivibile soltanto a parole, ma è una fatica che lasciamo volentieri ad altri).

Concentriamo ora l’attenzione sulle opere esposte dai due bujesi.

Guerrino Mattia Monassi inviò a Klagenfurt la medaglia celebrativa dell’anno giubilare, il 1950, che raffigura Pio XII in un sorprendente profilo nervoso, scattante, quasi dinamico, di non facile ideazione e di non agevole realizzazione, che comunica anche un’interpretazione psicologica dell’effigiato. Siamo ben lontani, quindi, dal giudizio di Herbert Strutz, che parlò di “lavoro artigianale ben eseguito”.

Enore Pezzetta partecipò alla mostra con tre sculture in terracotta, deliziose nelle forme e aderenti al titolo che le accompagnava. Ammirevole, sicuramente, la sua abilità nel dar forma alla terracotta, e deciso il suo linguaggio, già nutrito dalle nuove correnti che percorrevano il mondo artistico italiano nel dopoguerra.

Le tre sculture, in piccolo formato, non appaiono tuttavia omogenee nel linguaggio, perché il gruppo delle Bagnanti/Badende, databile nel 1950, appare troppo lisciato e per due terzi statico (ma la figura “in azione” compie un gesto che ci ricorda Piero della Francesca!). Essenziali e drammatiche appaiono, al contrario, le linee del Figliol prodigo, mentre il Crotâr ci riporta, ma al di fuori dell’oleografia del folclore, a un tipico ragazzo della civiltà friulana prima del consumismo.

Se ben ci pensiamo, i due artisti esposero a Klagenfurt il meglio della loro produzione del primo dopoguerra, e rappresentarono Buja con l’arte che più esalta la microciviltà infracollinare: quella della composizione plastica, che spesso prende la forma e la dimensione della medaglia, o della statua in terracotta, come è ormai noto in Italia e nel mondo.