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Otto D'Angelo: 

una memoria 

friulana

di Domenico Zannier 

 

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L'incontro della mia penna con l'arte pittorica di Otto D'Angelo data da diverso tempo. Presentazioni e prefazioni con cenni biografici dell'artista sono stati pubblicati nel corso degli anni. Chiederei di poter venir dispensato dal tracciare una carriera di Otto D'Angelo con i soliti dati della nascita, della scuola frequentata e delle accademie, dei suoi maestri.

Dalla precoce vocazione artistica in un clima di autentica povertà, Otto ha costruito passo a passo la sua carriera, pagando talvolta lo scotto di comuni incarichi pubblicitari, di impegni fumettistici e illustrativi, ma sempre nobilitando con il suo tocco abile e ispirato il proprio lavoro. I soggetti delle sue opere sono molto vari, come pure le tecniche che egli impiega: gli oli, gli acquerelli, la tempera, la grafica.
Quanto a formazione e ascendenze culturali potremmo definirlo un eclettico perché in lui è avvertibile il passato classico, le correnti ottocentesche e novecentesche, l'attenzione al nuovo. Oscilla fra un realismo vaporoso e sfumato con influssi impressionistici e un figurativo netto con calligrafie fiamminghe. In campo ritrattistico imprime ai volti, resi nel loro chiaro aspetto fisico, il sigillo interpretativo della loro anima e della loro sostanza interiore.

Accanto a una produzione pittorica che potremmo definire dotta, Otto D'Angelo, innamorato del Friuli, come solo un emigrante che per anni ha conosciuto la lontananza dalla propria terra può essere, ha via via sviluppato una pittura di ricerca storica. La fantasia libera si è adattata a convivere con la realtà della gente e del paese.

Andando ancora oltre D'Angelo ha esplorato lo ieri del suo popolo: campi, abitazioni, lavoro, costumi, tradizioni, sentimenti religiosi di una cristianità dimenticata, la famiglia e l'amore. E così sono nate sequenze di quadri che sembrano altrettante resurrezioni di un Friuli che solo i più anziani ricordano. Si è parlato tanto di miseria friulana. E vero che c'era, ma non sempre le annate erano disastrose e il livello delle esigenze non era eccessivo e ossessionante come attualmente.

Ed era vero anche l'altro Friuli, quello della serenità, della solidarietà tra ceppi parentali e paesani, della comprensione e del rispetto, il senso delle gerarchie sociali, visto come ordine, pur criticabile nelle sue punte oppressive. In fondo questo Friuli suscita un senso di calma quasi irreale, un muoversi nell'immoto, dove il mondo non ha fretta e i ritmi dell'uomo sono quelli degli alberi e degli animali, delle sue stagioni, delle sue albe e delle sue notti. In questo Friuli aprono un varco i primi ritrovati tecnici dell'agricoltura i trenini che corrono da Udine verso Tarcento e San Daniele. 

La prima guerra mondiale non altera la fisionomia della regione. La svolta avviene dopo il secondo conflitto mondiale e si concreta a metà anni Sessanta.

È questo il limite temporale del nostro artista. Puntigliosamente e caparbiamente ascolta le descrizioni degli anziani, rispolvera documentazioni fotografiche d'altri tempi, studia mappe, guarda i luoghi mutati e intravede al di là di essi le forme antiche, i colori scomparsi, la vita e la presenza delle persone.

E tanti, tanti bambini, quella ricchezza umana che i Friulani continuano a inaridire, perché inariditi nell'anima. Borghi, castelli, chiese, visioni montane e marine, contadini al lavoro, bozzoli e animali domestici d'ogni tipo, parroci e chierichetti, giovani donne dai lineamenti dolci e robusti, stoppie che si perdono all'orizzonte vivono nelle tele e fanno storia. 

C'era la civiltà contadina, che non era solo contadina, ma molto di più. Otto ce l'ha recuperata in una specie di memoria visiva. I volumi che raccolgono la gran parte delle sue opere sono ormai la certezza che quel mondo è risorto e non scomparirà più dalla memoria del Friuli.

Le generazioni future lo sentiranno come un sogno, come una fiaba. Cos'è infatti la storia se non la sagra dei sogni e dei miti perduti? Ci sono verità incancellabili per un soffio. L'Associazione "Chei di Ursinins Pizzul" ha voluto allestire una rassegna di dipinti di Otto D'Angelo nella circostanza annuale di San Giuseppe, patrono della borgata, che si affaccia sull'Osovana. Sono opere che rispondono ad un unico tema della produzione di D'Angelo, quello del paesaggio abitativo. I quadri riguardano aspetti e scorci della Buja dei primi anni del Novecento. Abbiamo un termine di paragone per renderci conto, confrontando l'aspetto attuale con quello d'un tempo, dei cambiamenti avvenuti in un secolo.

Senza entrare nel merito artistico vero e proprio della rappresentazione pittorica, appare evidente il valore storico e documentario della mostra e dell'operazione di D'Angelo, il cui lavoro ha appunto questa finalità. L'arte ci offre un tuffo nel passato. I quadri restano naturalmente dei quadri, delle opere vive, non vanno interpretati come reperti archeologici, ma come rappresentazione esistenziale. Entriamo nel terzo millennio e nel nuovo secolo con un patrimonio che fa parte della nostra identità. 

Otto da anni opera infaticabilmente per questa identità friulana, storica e popolare. E nota la sua predilezione per Buja. È stato insignito del Premio "Nadâl Furlan". Non sono molti coloro che amano il Friuli come lo ama Otto D'Angelo.