| A Tarcisio BALDASSI, «Mestri di obietîf Ch'al à piturât la tiere e la int furlane, ch'al à cjantât il so paîs di vite cun rime di popul e spirt di fi.» |
Tarcisio Baldassi è nato a Buja il 29 maggio 1899. Come tanti ragazzi del paese, anche lui ben presto dovette lasciare la famiglia per andare a lavorare in fornace, prima in Austria e poi in Ungheria. Così ricorda quegli anni...... (vedi libro pag 18) Terminata la guerra, assieme a Gusto, emigrò a Strasburgo per lavorare come calzolaio, ma non era certo quello che sognava! Poichè possedeva una particolare predisposizione per il disegno e per la pittura, decise di ritornare a Buja per dedicarsi alla decorazione murale, arte che imparò sotto la guida di Antonio e Vittorino Lucardi. Un giorno, dopo aver terminato di abbellire le pareti di una villa, si sentì fare una strana proposta dal proprietario. “Non ho i soldi per pagarti, se vuoi ti do questa macchina fotografica !” Tarcisio rimase dapprima un pò perplesso, poi accettò perchè, non si sa mai ........ poteva in futuro anche essergli utile ....... Infatti, dopo un pò di tempo, diede addio ai pennelli per iniziare l’allora difficile arte fotografica ! Infatti ai tempi delle lastre, degli apparecchi di grande formato, degli obiettivi poco luminosi e delle emulsioni lentissime, la fotografia era un mestiere la cui padronanza richiedeva alta perizia e lunghi anni di esperienza. Era il 1927 quando aprì uno “Studio” ad Ursinins Piccolo. Ho detto uno “Studio” , in realtà si trattava di un angolo all’aperto, nel cortile di Rosa Tonino, allestito con un tavolino, una sedia ed un portavasi che gli era stato regalato, quando poi arrivavano dei bambini, li metteva in posa su una pelle di pecora ........ Solo alcuni anni più tardi potè comperare d’occasione dei vetri per costruire una veranda in modo da poter lavorare al riparo dal freddo. Un tempo, alla fotografia si ricorreva soltanto in certi momenti particolari della vita : in occasione di un matrimonio, di una nascita, o di un avvenimento veramente importante . La fotografia era lo strumento di un rito, al fotografo si domandava di immortalare, di “fissare” per sempre un volto, una scena, un ambiente, uno stato d’animo in un momento eccezionale, perciò solo a fatica e con grandi sacrifici Tarcisio Baldassi riuscì ad acquistare una “cassetta” con un grande folo che impressionava lastre 18 x 14. Era questa una macchina adattissima per i ritratti in studio e per gruppi di famiglia, ma davvero ingombrante quando ci si doveva spostare per fotografare qualche avvenimento all’esterno. Un giorno, però, vide a Udine, nel negozio di Carlo Pignat, una Leica . Era bellissima e maneggevole, ma costava ben 1500 lire, troppo per il giovane fotografo! Carlo Pignat che conosceva ed apprezzava le capacità artistiche dell’amico, volle a tutti i costi che la portasse a casa. Da allora Tarcisio Baldassi e la sua Leica diventarono inseparabili : (Pag 12 ) da “Simpri indenant .....” a .....” l’aur dal formènt.” Nell’opera di Baldassi, la lettura della realtà è sempre fatta in chiave poetica. Spesso il gioco complicato di luci e di ombre conferisce alle sue immagini un’atmosfera surreale, ricca di suggestioni e di interpretazioni fantastiche, sono immagini che lasciano spazio alla nostalgia, al rimpianto di cose in gran parte perdute, mai raccontate con animo distaccato, ma con commozione sempre presente. Quando nel 1936 fu premiato dalla “Mostra dell’arte fotografica”, i critici dissero di lui :”Come un pittore ruba i segreti della natura, le mutevoli impressioni dei cieli, le fantasie delle nubi e delle nebbie, i riflessi delle luci, la nobiltà delle acque, le pose e le caratteristiche degli uomini e delle creature .....” E Chino Ermacora, il 5 ottobre 1939, su carta intestata de “La Panarie”, gli scrisse : ”Caro Baldassi, questa volta il Vostro nome correrà per l’Italia : le vostre fotografie sono state da me, e da un apposita commissione, scelte per la riproduzione in cartolina e in certi calendari”. Il suo nome, infatti, cominciò ad apparire sempre più spesso sulle riviste della regione ed anche in quelle nazionali . Lo scoppio della seconda guerra mondiale sconvolse però, la sua esistenza. Richiamato alle armi nel 1940, fu dapprima arruolato nella Milizia e poi inviato a Spalato. Ritornato a casa nel 1943, fu nuovamente richiamato, ma lui bruciò la cartolina di precetto e continuò la sua professione nel nuovo studio aperto sulla Piazza del Mercato. E con la pace, Baldassi riprese il suo girovagare per il Friuli alla ricerca di suggestioni nascoste, per fissare con il suo obiettivo il tema antico e sempre nuovo della primavera, la dolcezza triste del crepuscolo nei momenti lentissimi che precedono la notte, gli alberi che disegnano arabeschi nella bruma autunnale, patriarcali figure di vecchi, di contadini costretti tutta la vita a fatiche senza speranza ....... Il primo dopoguerra è stato anche il momento delle foto a colori. L’artista di Buja accolse con entusiasmo la novità, partecipando con successo al III, al IV, al V, “Festival del fotocolor”, organizzato a Torino, dalla Società Fotografica Subalpina. Nel 1952 vinse la medaglia d’oro, l’anno seguente, sempre a Torino espose le sue opere in una personale e “Vita fotografica”, nel numero di aprile-giugno 1953, pubblicò “Ombre della sera”. Dopo il terremoto, Tarcisio Baldassi, ha messo da parte la macchina fotografica per dedicarsi alla poesia che traduce e ferma nelle parole ogni sentimento, ogni nota dell’animo. Come quando era giovane, egli continua a scorgere aspetti nuovi in ogni segno della natura e provare ad ogni tramonto sempre nuove sensazioni. Basta un sole meno intenso, un vento più leggero, un variare del cielo e dei colori per accendere l’animo del poeta, per destare una gioia nuova e diversa. I suoi sono versi semplici che nascono dal profondo del cuore, ma per Baldassi, oggi come ieri, ciò che conta non è il successo, il battimani, ma è saper tracciare una via, nascosta, in mezzo alla nebbia, una via che altri scopriranno e seguiranno; è saper donare agli altri tutto ciò di cui siamo capaci e nel contempo dare un significato, una ragion d’essere, un valore al nostro esistere. |