A Gianandrea GROPPLERO 
di TROPPENBURG 

«Che l'antighe nobiltât patriarcâl al à unide ai valôrs profonz di solidarietât e dal amôr viers i pûars di Diu te Indie lontane.»

 

Gianandrea Gropplero di Troppenburg, discendente da una nobile famiglia friulana, è nato a Udine nel 1921.

Dopo aver compiuto gli studi presso il Liceo classico Stellini, si è iscritto alla facoltà di Ingegneria a Bologna, ma allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, ha  dovuto abbandonare l’Università per arruolarsi in  Aereonautica ed è a Gorizia che lo ha sorpreso l’armistizio dell’ 8 settembre 1943.

E’ stato quello un  momento di grande confusione per tutti, ma non per il giovane allievo ufficiale che anni prima aveva conosciuto  Benedetto Croce e, attraverso le sue parole aveva capito il vero, autentico significato della parola ”Libertà” ed imparato  ad amare questo valore sopra ogni cosa.

Raggiunta Roma e preso contatto con il Centro Militare del Partito d’Azione, Gropplero svolse attività informativa e organizzativa, mantenendo anche i collegamenti con le formazioni partigiane del Reatino.

Dopo la liberazione della Capitale, ha inizio la sua missione in Friuli per potenziare il coordinamento militare tra gli uomini della Resistenza.

Assieme a due compagni, Dumas Poli e Paola Del Din, fu, infatti,  paracadutato dagli inglesi vicino a Lauzzana, su uno spiazzo illuminato solo dai fari di alcune biciclette di partigiani.

Durante uno spostamento, fu catturato dai Cosacchi e consegnato alle SS di stanza a Farla di Maiano.

Dopo un lungo interrogatorio in cui subì anche la tortura, fu condannato alla fucilazione, ma proprio mentre il plotone stava per sparare, una granata partigiana colpì i soldati tedeschi che furono così costretti a rimandare l’esecuzione.

Racconta oggi l’ingegner Gropplero: “Vedevo i fucili puntati contro di me ed ero certo di morire, invece la fortuna mi ha assistito.......... e,  dopo diverse peripezie, sono riuscito  a fuggire e a nascondermi.

In questo mi ha aiutato  tanta gente, anche di Buja!  Pur sapendo che su di me c’era una taglia di ben 75.000 lire, nessuno  mi ha tradito  mai, anzi mi hanno aiutato  in tutti i modi “.

Per questi fatti Gianandrea Gropplero di Troppenburg è stato insignito della medaglia d’Oro al Valor Militare.

Terminata la guerra, potè completare gli studi universitari a Bologna, il suo, però, evidentemente è sempre stato uno spirito avventuroso, infatti ,  da questo momento iniziò a girare il mondo:  prima in Spagna per due anni, poi in Venezuela, dove rimase a lungo, quindi in Africa dove costruì la superstrada Nairobi-Addis Abeba.

In quel periodo  la Comunità Europea, si mise in contatto con lui per affidargli alcuni lavori ed è così che, l’ingegnere friulano costruì in Congo e in tutta l’ex Africa Francese ben l’ottanta per cento delle strade.

Diede vita, poi, ad una grande impresa di progetti e costruzioni  operante in Venezuela e in Messico,  attraverso le conoscenze precedentemente fatte, mise anche in contatto vari governi per la costruzione di alcuni centri turistici.

Verso la metà degli anni ottanta l’ingegner Gropplero cominciò, però, a ridurre la sua attività, si sentiva stanco e desiderava fare qualche cosa per gli altri.

Quando lavorava in Africa aveva conosciuto il Dottor Albert Scweitzer che a Lambaranè, in Gabon, aveva costruito un lebbrosario.

Il ricordo di quell’esperienza continuava ad affascinarlo, anche lui cominciò così a pensare seriamente a quello che avrebbe potuto fare anche lui per aiutare i più poveri.

 Decise perciò di partire per l’India .

Si mise in contatto con Madre Teresa di Calcutta, con Padre  Maschio a Bombaj e  rimase nei loro lebbrosari per circa quindici giorni.

Nel periodo in cui rimase in questi luoghi di dolore, Gropplero capì  che il  milione circa di lebbrosi che vi erano ospitati, in fondo, non aveva bisogno delle sue cure, mentre avevano bisogno di tutto i  nove milioni di ammalati che erano fuori, per le strade. Decise di andare a cercare proprio quelli!

Si recò nell’Amdhra Pradesch, una regione del sud dell’India, grande circa come l’Italia: è questa l’India più povera e con più lebbrosi.

Andò di villaggio in villaggio cercando di capire quali erano le necessità, annotando tutto quello che vedeva per rendersi conto di che cosa avesse realmente bisogno la gente.

Da questa analisi capì che, dove non c’era l’acqua  pulita per bere e lavarsi, lì c’era la lebbra,  bisognava quindi lavorare  per dare innanzitutto  l’acqua a quei villaggi.

In India l’acqua c’è, e ce n’è in abbondanza, il problema è quello di estrarla dal sottosuolo, si impegnò perciò a preparare un progetto per costruire pozzi da cui far sgorgare l’acqua.

Dopo sei mesi trascorsi nell’Amdhra Pradesch, Gianandrea Gropplero tornò in Italia con il suo progetto, dove lo aspettava la parte più complessa: trovare i fondi necessari per realizzarlo.

Grazie alle conoscenze ed ai contatti  che aveva avuto durante i suoi  precedenti lavori, ottenne aiuti dalla CEE , da “Manitese” e dalla CEI.

Gli venne garantito un fondo di un miliardo e mezzo, che da allora gli viene rinnovato ogni anno e che gli ha permesso di iniziare la sua opera.

Cominciò così a portare l’acqua  nei villaggi, acqua pura e buonissima che sgorgava dal sottosuolo, ma che gli abitanti, in un primo tempo, non volevano saperne di bere! Non avevano mai visto, infatti, l’acqua “trasparente” e per convincerli il missionario laico dovette  bere ..... bere.... e bere!

Sono bastati, però, pochi mesi per non vedere più i bambini con il pancione, per non avere tanta mortalità infantile, dissenteria, infezioni, in una parola per avere “la salute”.

In pochi anni venne distribuita l’acqua in 332  villaggi, si costruiscono 99 scuole, 7 dispensari e un ospedale.

Tutto questo venne fatto usando rigorosamente e soltanto manodopera e materia prima del posto.

Racconta l’ingegnere: “All’inizio fu duro, ero solo e dovevo occuparmi di tutto, a volte dovevo insegnare anche a tenere la cazzuola in mano, ma piano piano la gente ha imparato e oggi posso tornare in Italia e trascorrervi dei mesi sapendo che laggiù ci sono persone responsabili e qualificate che mandano avanti il lavoro”.

Dopo aver provveduto ai bisogni primari di questi poveri villaggi, bisognava studiare il modo per rendere le persone autosufficienti, in grado cioè di vivere, di mangiare e di condurre una vita dignitosa.

E’ nata così l’idea di organizzare delle cooperative per l’allevamento del pesce, delle bufale, dei gamberi,  per la confezione di manufatti artigianali, assumendo i più poveri dei villaggi.

Per istituire queste cooperative il Conte Gropplero dovette fare una vera e propria campagna di villaggio in villaggio, mandando gente preparata a spiegare che cos’era e come funzionava una cooperativa.

Ora, però, questa operazione sta dando i suoi frutti; la gente sta bene, lavora e riesce a riscattarsi dalla miseria.

Da alcuni anni, inoltre, Gianandrea di Troppemburg si occupa e fa da tramite per le adozioni a distanza.

In India vi sono molti orfanotrofi gestiti dal clero cattolico, che accolgono i bambini più poveri, a volte veramente orfani, a volte semplicemente provenienti da famiglie che non sono in grado di occuparsi di loro.

Non è semplice provvedere a tutti questi bambini, così gli è venuta l’idea di farli adottare a distanza.

Si è messo  in contatto con la signora Carla Faison, una amica di Venezia che gestisce una compagnia di viaggi e che ha messo a disposizione i suoi uffici per organizzare l’iniziativa.

Adottare un bambino indiano a distanza significa spendere centoventi dollari l’anno (circa duecentomila lire), che gli garantiscono riso due volte al giorno, vestiario e l’insegnamento, importantissimo, della lingua inglese.

Sono già più di 1600 i bambini adottati in questo modo nel nord est dell’Italia e a volte alcuni di questi “genitori ” vanno fino in India per conoscere i bambini e per rendersi conto delle condizioni di vita laggiù.

Quando l’ingegner Gropplero parla dell’India, dei bambini, dei suoi progetti, gli occhi gli si illuminano, è veramente incredibile pensare come quest’uomo di settantaquattro anni, riesca a lavorare e a sopportare una vita così intensa, piena di preoccupazioni e scomodità, evidentemente lo spirito che lo anima gli dà la forza per superare ogni cosa.  La gioia e la soddisfazione che si leggono nei suoi occhi e si intuiscono nelle sue parole, sono la migliore ricompensa per tutti i disagi che deve sopportare.