A Carlo SGORLON 

«Pai siums antîcs di Friûl
che invénin la sô opare leterarie
e pal so servizi di intelet di penâl
a la cause di un mont plui just,
a misure di umanitât.»

 

Carlo Sgorlon: è nato il 26 luglio 1930 a Cassacco, dove, nella casa dei nonni materni, ha trascorso gli anni felici dell’infanzia.

Il nonno, Pietro Mattioni, un maestro ormai in pensione, passava i giorni curando l’orto, scrivendo articoli per il quotidiano di Udine, nonchè poesie in friulano e “pezzi” di folclore locale, ma dedicava anche parecchie ore a quel nipotino che si entusiasmava sentendolo recitare brani della “Divina Commedia ”, dell’ “Orlando Furioso”, della “Gerusalemme Liberata”  e i “Canti”  del Leopardi.

Le donne di casa,  poi, la sera, attorno al fuoco, gli raccontavano fiabe e leggende popolate di orchi, di streghe e di mille altri esseri fantastici ..........

Sono stati questi, anni importantissimi per la formazione della personalità e del carattere del futuro scrittore, anni nei quali ha imparato a conoscere un mondo fatto di realtà e di immaginazione, ma soprattutto ad amare la vita semplice e laboriosa dei contadini, radicati alla terra, che nel cielo vedevano solo i segni premonitori della buona o cattiva stagione, forti delle loro credenze e dei loro pregiudizi.

Ma l’incantesimo si è rotto quando il piccolo Carlo è stato costretto a ritornare a Udine, presso i genitori, per frequentare, per la prima volta regolarmente, la scuola.

E’ stato questo un impatto tutt’altro che facile, che non gli ha impedito, però, di scoprire, già alle Medie, la vocazione di scrittore.

Dopo gli anni del Liceo, grazie ad una borsa di studio, Sgorlon ha potuto frequentare la Scuola Normale Superiore di Pisa dove, nel 1953, si è laureato in letteratura tedesca con una tesi su “Kafka narratore”, tesi che verrà stampata in volume da Neri Pozza alcuni anni più tardi.

Dopo aver trascorso un anno a Monaco di Baviera per la specializzazione, è iniziata per lui la carriera di insegnante, prima presso l’Istituto Agrario di Pozzuolo del Friuli, poi in quello Tecnico “Antonio Zanon” di Udine, contemporaneamente sono nati i suoi primi romanzi “Il Vento nel Vigneto“ e  Il rovescio della medaglia”, opera tuttora inedita.

In entrambi il mondo rappresentato è contadino e popolare, la grande suggestione degli anni trascorsi in campagna ha segnato, infatti, il destino dello scrittore.

Dice Claudio Toscani: “Le sue storie, Sgorlon, non può immaginarle che in campagna, nei paesi dalle case di sasso, nei cortili  invasi dagli odori e dagli afrori degli animali, dentro la ruvida mentalità dei contadini, fatta, però, di buon senso, di saggezza, di diffidenza verso le autorità e il potere, di senso del lavoro, del risparmio, del bisogno “.

Dieci anni dopo la stesura in Italiano, “Il vento nel vigneto  verrà riscritto in lingua friulana con il titolo “Prime di sere” .

La poltrona “ del 1968 e  La notte del ragno mannaro” del 1970 nascono sotto il segno di Kafka, scrittore esistenziale come Sgorlon.

Si tratta di due romanzi in cui predomina il tema della nevrosi, l’esigenza di conquistare un punto fermo, una stabilità nella vita pratica e nello spirito, stabilità che, però, riesce impossibile raggiungere.

I miti, le leggende, le superstizioni contadine e popolari hanno continuato ad affascinare lo scrittore ormai adulto, così come lo avevano affascinato da bambino nella casa di Cassacco ....

Nella “Luna color ametista” del 1972, Sgorlon afferma che la realtà è un gioco di specchi, un carosello di illusioni, una sequenza di miraggi sotto i quali c’è il nulla, e nel “Trono di legno” , Premio Campiello 1973, egli riprende ed approfondisce questa concezione negativa della vita, che però, dice, può essere superata nel racconto e nel mito.

In quest’opera la vita è concepita come “un‘ immensa cisterna di sorprese”; come “un palcoscenico sopra il quale può accadere qualunque cosa” e nel quale hanno gran parte il “Grande giocatore”, cioè il destino e il “Grande illusionista” cioè il tempo che passa .

Ma la vita, la realtà è anche ripetitiva, ossia ricalca sempre dei modelli preesistenti, sicchè si può dire che nel mondo non accade nulla di nuovo.

Regina di Saba” del 1975, ”Gli dei torneranno” del 1977 e “La carozza di rame” del 1979, sono opere in cui domina il mondo di Sgorlon, quello del sogno, della fantasticheria, del mito, della poesia, o meglio quello della fusione di realtà e mito, di vero e di fantastico, di concreto e di fiabesco, di naturale e di magico.

In queste pagine l’autore esalta le tradizioni friulane, quelle del vivere contadino e patriarcale di un tempo, l’antico Friuli con la sua mitologia e i suoi valori.

A due brevi romanzi per ragazzi “Il paria dell’universo“ e “Il colpo di pistola”, Sgorlon fa seguire “La contrada” scritto nell’80, dove è rappresentata in toni di accorata e struggente malinconia, l’inevitabile fine della civiltà artigiana che, nel mondo contadino e paesano dello scrittore, è un aspetto essenziale.

Tra il 1980 e il 1981, dopo la parentesi della scrittura in friulano del romanzo “Il dolfin”, Sgorlon compone “La conchiglia di Anataj”, che nel 1983 lo porterà per la seconda volta al Premio Campiello.

E’ questa la storia di un ristretto gruppo di friulani che partecipa alla costruzione della mitica ferrovia transiberiana, riconoscendosi con la popolazione locale in un comune destino di fatica e in una identica radice contadina.

La Siberia, immensa e sterminata, con qualcosa di enigmatico e di misterioso, è contrassegnata come il piccolo, lontano Friuli, da alcuni valori universali: la famiglia, l’amore, l’amicizia, il lavoro, la religiosità arcaica, intessuta di fatalismo e di superstizione.

Nel 1983 lo scrittore dà alle stampe “L’armata dei fiumi perduti”, Premio Strega 1985, centrato su un particolare episodio della seconda guerra mondiale: l’insediamento in Carnia, nell’estate del 1944, di un’armata Cosacca .

A questo pittoresco esercito di uomini, donne, bambini, cavalli, cammelli, scimitarre, tende ed icone, i tedeschi avevano promesso una patria nella Kosakenland friulana.

Con una maestria che si accresce di romanzo in romanzo, Sgorlon trasfigura in queste pagine una delle tante invasioni del Friuli in una epopea di vittime.

Segue “L’ultima valle”, del 1986. Più che nei libri precedenti l’autore proclama qui la sua ideologia ecologica, la sua paura per l’eccesso di industrializzazione, il suo incessante appello per il rispetto della natura.

E’ poi la volta de “Il Caldéras” scritto nel 1987, storia di uno zingaro che arriva nel Veneto da bambino e finisce col rimanervi poichè si lega alla cultura di questa gente ed avverte la forte attrazione della loro antica ed epica civiltà.

Altri titoli della bibliografia creativa di Sgorlon sono: “Racconti della terra di Canaan” del 1989, dove, in una vivacissima ricostruzione storica ed insieme fantastica di battaglie, regge, passioni e tradizioni religiose, rivivono dieci grandi personaggi biblici, “La tribù” del  1990, in cui lo scrittore disegna una metafora sulla crisi dei valori, aggrediti e corrosi dai veleni del consumismo che costituisce la vera, grande malattia del nostro tempo, “La fontana di Lorena” anche questo pubblicato nel 1990, dove, dice Giorgio Luti, “vive il richiamo al grande codice della natura, alle leggi eterne e inviolabili che governano il mondo di contro alla frenetica corsa all’annullamento e alla distruzione che caratterizzano la nostra epoca”.

Il patriarcato della luna” del 1991, è una elaboratissima fiaba sospesa tra utopia e documento, mentre con “La foiba grande” del 1992, Sgorlon ci porta nel vivo di una lunga “Via Crucis “ fatta di sangue e di brutali furori.

Le ultime fatiche di Sgorlon sono “Il guaritore” , “Marco d’Europa “ , “Il regno dell’uomo” ed il recentissimo “Il Costruttore”, ascesa e caduta di un imprenditore siciliano in Friuli.

A questi romanzi, tradotti in varie lingue, devono essere aggiunti numerosi racconti, pubblicati soprattutto sulle pagine del “Gazzettino” e della “Nuova Antologia”, molteplici radiodrammi, saggi di critica letteraria ed articoli di ordine etico e politico.