| Suor Amelia CIMOLINO
«pal so cûr viert ai fradis, cun pocjis peraulis e tanc' faz, dant iì Crist de salût, dal amôr e de vite, cence mai sparagnâ la fadie, sot il sorêli indian.» |
Nata nel 1912 a Carpacco di Dignano, Suor Amelia Cimolino ha dedicato tutta la sua vita ad alleviare le sofferenze di tanti esseri infelici, soprattutto lebbrosi. Da 64 anni, infatti, lavora in mezzo a povere creature spesso ricoperte di piaghe e di stracci, deformi e mutilate. Uomini che non sembrano più uomini, abbandonati da tutti, eppure capaci di sorridere, di donare quel poco che hanno. Con loro e per loro, Suor Amelia ha desiderato vivere, sin da quando nel 1932 ha lasciato la sua casa per entrare a far parte delle Suore di Carità di Maria Bambina. Nel 1934, arrivata in Birmania, per prima cosa si è data da fare per costruire capanne di paglia e bambù in cui raccogliere ed assistere i malati di lebbra, spesso confinati al limite dei villaggi o all'interno della foresta dai loro stessi parenti. È nato così, un lebbrosario costruito con mezzi di fortuna, dove, però, gli ammalati erano curati, serviti ed amati, dove avevano la certezza di non essere più soli. Arrivavano a gruppetti, spesso sostenendosi l'un l'altro, con dei piccoli fagotti nei quali c'era tutto il loro mondo. In poco più di un anno quasi 2000 lebbrosi hanno trovato qui una casa! “Un numero che può sembrare enorme - dice Suor Amelia - ma quando ci si aiuta a vicenda, quando si vuole stare assieme, quando chi può si adopera a vantaggio di chi è infermo, quando non ci si giudica, quando ci si ama, tutto è possibile”. Suor Amelia, essendo giovane, spesso andava a cercare i lebbrosi anche nella foresta. Stava lontana dalla missione molti giorni, senza avere la possibilità di lavarsi o di cambiarsi, portava con sé solo un po' di cibo ed una borsa con le medicine. Quando si imbatteva nei piccoli capanni dove vivevano i malati di lebbra, si fermava per dare sollievo e conforto a quei poveri corpi piagati e maleodoranti. Durante la seconda guerra mondiale anche la Birmania è stata sconvolta dai bombardamenti, mentre bande di predoni razziavano ogni cosa. Quando, poi, nel 1945 nel Paese sono entrate le truppe cinesi, per i missionari è iniziato un periodo di ulteriori gravi difficoltà. Nei pressi di Taunggyi, sull'altopiano, era nata intanto la "Casa della carità", con un unico edificio in muratura che comprendeva la piccola chiesa con il campanile e l'abitazione delle suore, c'erano poi il dispensario e l'orfanotrofio in bambù e legno. Suor Amelia era Superiora della nuova missione, quando i soldati cinesi hanno dato alle fiamme ogni cosa, costringendo tutti a fuggire. In seguito alle suore è stata concessa l'opportunità di lasciare il Paese, ma esse hanno deciso di restare, soffrendo la fame, la brutalità e le angherie degli invasori. Nel 1970, Suor Amelia, colpita da una grave malattia, è rimasta incosciente per sei mesi. Così, dopo 36 anni di ininterrotto lavoro e presenza missionaria in Birmania, è stato deciso il suo rientro in Italia dove, la tempra robusta e sana, le efficaci terapie e non ultimo l'aiuto divino, le hanno permesso di riprendersi completamente. Ora, da 26 anni vive in India, dove continua a lavorare con rinnovata vitalità, coraggio ed intraprendenza. Stabilitasi a Mangalore, in una comunità di suore indiane, ha creato anche qui un centro di accoglienza per i poveri, per gli emarginati. È nato, così, Olavina Halli, "il villaggio dell'amore", concreta testimonianza di ciò che può la solidarietà. All' inizio era solo un modesto agglomerato di cassette umili, ma solide, dove un gruppo di famiglie cercava di convivere. Sono seguiti lunghi anni pieni di sacrifici e difficoltà. Oggi, Olavina Halli è una vera oasi di pace e di amore. Oltre alle casette ci sono le aule per la scuola, i laboratori, la chiesa, il centro ricreativo, le camerette per gli ospiti, le stalle per gli animali e tutt'intorno tanto terreno dove vengono coltivate palme da cocco, banani, alberi di papaia, di mango, di anacardi e meravigliosi fiori tropicali. Le 150 persone che abitano nel villaggio sanno benissimo che non ci si deve cullare nell'assistenzialismo, che ognuno può e deve dare il suo contributo attraverso il lavoro. Ogni giorno molti poveri percorrono quello che per loro è il cammino della speranza. Sono senza casa, spesso senza nulla. Cercano un tetto sotto cui dormire, cure adeguate ed un lavoro. Nei loro volti suor Amelia vede il Cristo affamato, assetato, malato, per questo ad Olavina Halli nessuno viene respinto, nessuno è solo, nessuno è un numero, tutti sono persone. Solo così ci si accetta, solo così ci si aiuta! |