A Roberto Ongaro

 

Roberto Ongaro nasce a Majano nel 1930 dove vive tuttora.

Giovanissimo parte per Torino e lavora alla Fiat. In seguito sarà emigrante, prima in Svizzera, poi in Germania e Danimarca. Al rientro in Patria intraprende l’attività artigianale di fabbro. E’ stato eletto per due mandati alla carica di consigliere comunale del suo paese.

Da pensionato inizia a vivere la sua seconda giovinezza, ricca di soddisfazioni.

A chi lo definisce "scrittore friulano" lui obietta sempre di essere solo “un friulano che scrive”, e, con modestia, aggiunge "Per rispetto di quelli che hanno studiato, vedete di non esagerare con i complimenti, dopo tutto nella vita ho fatto il fabbro, ho incominciato a scrivere solamente dopo essere andato in pensione".

Scrive di lui Domenico Zannier ".....Il messaggio di Ongaro, prima di essere linguistico o letterario è umano. ....La sua anima si rivolge a un passato di guerre e di emigrazioni, a una conflittualità tra sentimenti vecchi e nuovi non sempre componibile e suscettibile di mediazione. Unica pace, quando è sincero, l'amore e massima felicità immergersi e lasciarsi avvolgere dall'ambiente naturale, domestico o selvatico che sia, trasmutato dal lavoro di generazioni o rimasto intatto da sempre come le nostre più profonde radici. Avvertiamo, per quanto abilmente mascherata, una nostalgia per un mondo che non c'è più e la gioia per le poche reliquie rimasteci. Il resto è l'umanità di sempre, di ieri, di oggi e di domani. E tutto questo, è scritto in lingua friulana …." Aggiunge ancora Zannier: "Se la matematica non è un'opinione (io però sono del parere che qualche volta lo sia), il lavoro realizzato dal nostro scrittore è ampio e consistente."

Il suo primo libro del 1987, si intitola "De Poime al Cuâr" , la data di pubblicazione spiega il perché non lo troviamo nelle antologie della letteratura friulana, dal momento che la più recente è del 1982.

Subito dopo, nascono i racconti "Dôs peraules e un quart" (1988), e “’O volti a zampe” (1999).

Seguono i romanzi "Destin" (1989), quasi uno specchio della vita friulana della prima metà del secolo passato, "Il Muc" (1990), una storia a cavallo fra le due guerre mondiali, dove emerge, fra tanta cattiveria e pochezza, qualche luce di amore e di bontà. 

A distanza di due anni pubblica "Cretevierte" (1992), dove un fatto drammatico turba un piccolo paesino di montagna che resiste al progresso, perchè strettamente  legato ad un'antica leggenda. 

Questi ultimi due romanzi sono stati premiati con il "Premi San Simon" di Codroipo 1990 e 1992.

Segue "Il Grant Lavio" (2002), un romanzo dove tangenti, sotterfugi e tradimenti portano il protagonista in situazioni drammatiche che saranno leva al ravvedimento delle sue colpe, anche quest'opera sarà segnalata al “Premi San Simon” nel 1995.

"Blanc e neri" (2001) è un racconto antirazzista: la storia di un giovane immigrato senegalese che vuole insediarsi stabilmente nella società friulana, parla della sua volontà e solitudine, dei ricordi della famiglia lontana e dei conflitti di coscienza per averla abbandonata.

"Il Pecjât di Mosè" (2004), pure segnalato al “Premio San Simon”, è la storia della ribellione degli animali del bosco, in guerra contro gli uomini che vogliono “invadere” il loro territorio. Un libro che possiamo definire come “scuola di vita” con due chiavi di lettura: una per i bambini, una per gli adulti.  

Infine l’ultima fatica: "Trente Pas a Misdì" (2005), la storia di un tesoro nascosto che fa mutare il carattere di chi lo cerca. Un racconto che mette in evidenza come anche solo il pensiero della ricchezza, possa rovinare i sentimenti dell’uomo e portarlo a giudicare il prossimo con un altro metro.

Questo elenco rappresenta di sicuro una delle liste più lunghe di tutta la produzione letteraria friulana.

Cristian Romanini dice dell’autore: "Leggendo Ongaro sono due gli elementi che mi colpiscono: un realismo che lo ha fatto definire più volte promotore del romanzo storico friulano e uno spiritualismo di fondo che denota una fede nel soprannaturale, nella coscienza dell'esistenza di una Divinità che nasce da una maturità venuta col tempo che lo ha portato a riscoprire la fede, la bellezza della natura, la presenza di una Mano che ha già disegnato e scritto il nostro destino”.

Un altro amore di Ongaro è il teatro, con una preferenza per la commedia, che rappresenta l'altra faccia della medaglia, visto che i suoi romanzi hanno risvolti spesso drammatici.

I suoi lavori teatrali si pongono su un versante consolatorio, volutamente comico e a volte perfino esilarante. Dialoghi e battute hanno la loro efficacia. Anche qui i titoli si infoltiscono: "San Laurinz - Zero a Cinc" (1990) – “Consei di 'zonte" (1993), "Ricercje di marcjât", premiato al 2° concorso dell'Associazione Teatrale Friulana del 1992.

“Mai cjalâ lis aparincis" (1992), "Il mûr" (1995), "Il cjan" (1996, segnalato al 4° concorso dell'Associazione Teatrale Friulana), "La gambiâl" (1998),  “Il frutat dal ‘99” (1999), “Atri che furminants!” (2000), “Il magnific” (2000) è stato premiato al concorso dell'Associazione Teatrale Friulana.

Ai più piccoli ha dedicato "La stagjon dai sium". Ha tradotto in friulano "La bottega dell'Orefice" di Karol Woityla e "La metamorfosi" di Kafka, in collaborazione con Gianni Nazzi.

E’ stato segnalato sia al premo letterario “La torate” del 2001 con il racconto “Bahnhof”, sia al “Premio San Simon”di quest’anno per la traduzione di “Il Varmo” di Ippolito Nievo, in collaborazione con Cristian Romanini.

Suoi scritti compaiano ormai regolarmente da diversi anni su "Buje pore Nuje", su "Majano Nuova", su "Festival di Majano", sulla rivista majanese "Exodus", su "Sot La nape" della Società filologica, sul "Strolic" e su numerose altre riviste culturali della regione.

Ci sono inoltre due romanzi inediti, che Roberto Ongaro ha scritto, ma non ancora pubblicato. Si tratta di “ Il ladri dal lôf” e “ Il sanc nol è aghe”.  

Racconta spesso Ongaro: “Nella mia vita ne ho viste tante e Dio ha voluto che arrivassi dove mai avrei creduto. Per questo mi ritengo un uomo fortunato, con un solo dispiacere datomi tanti anni addietro da un bambino che, invece di rimanere a studiare, scappava regolarmente dal collegio di Pordenone, per correre a giocare nelle paludi di Casasola!”

A chi, poi, ovviamente gli chiede chi fosse quel briccone, risponde: “Quel bambino si chiama "Berto" e nella vita mi hanno detto che poi ha fatto il fabbro”.