Al lavoro con Gino Molinaro di Giovanni Fabbro |
Memorie: Giovanni Fabbro, componente della Giunta municipale al 6 maggio '76, Assessore e Funzionario delegato alla ricostruzione fino al 1990 e Sindaco dal'92 al'94 Alla data del 6 maggio 1976 facevo parte della giunta formatasi nelle elezioni di un anno prima, che su 20 seggi a disposizione in consiglio comunale avevano espresso 10 consiglieri della Democrazia Cristiana, 1 del Partito Socialdemocratico, 5 del Partito Comunista Italiano e 2 del Partito Socialista1. La maggioranza contava su 11 consiglieri, 10 della DC e 1 del PSDI ed era guidata da Eddi Giacomini, che alle elezioni del '75 era al secondo mandato amministrativo come sindaco. La vita politica di allora aveva nei partiti nazionali e regionali riferimenti ben precisi, capaci di dare linee di valori e di principi, ma anche indicazioni utili alla gestione concreta del territorio. Era perciò una vita politica coinvolgente, vissuta con passione e anche con forti contrapposizioni, ma le dimensioni delle risorse locali non permettevano, in realtà, di andare molto più in là dei problemi di manutenzione delle scuole, delle strade, o di qualche tratto di fognatura o di illu-minazione pubblica in più o in meno. Le discussioni tra opposte fazioni affrontavano quindi anche grandi temi ideologici e politici, ma a livello locale dovevano assestarsi su problemi molto più spiccioli. In ogni caso erano discussioni sempre portate avanti con reciproco rispetto. Il partito di cui facevo parte, tra l'altro, contava sulla capacità del capogruppo, che aveva fatto esperienza anche come capogruppo DC nel consiglio provinciale. In questo quadro generale, la giunta era composta da persone piuttosto giovani. Giacomini aveva già un'esperienza di sindaco, ma alcuni di noi si trovavano impegnati per la prima volta nell'amministrazione civica quando avvenne il terremoto. È superfluo ricordare che la dimensione della tragedia, che avrebbe colto di sorpresa chiunque, apparve sovrumana a noi che dovevamo affrontarla praticamente senza mezzi organizzativi, economici e psicologici. Ci trovammo dunque in prima linea nel giro di poche ore. Più che raccogliere informazioni su ciò che poteva essere necessario alla popolazione e cercare di organizzare gli interventi per soddisfare le principali urgenze, non si poteva proprio fare altro. Stavamo in piedi per intere giornate, senza ricordarci delle nostre stesse necessità, e proprio in quei frangenti ci erano di conforto cose molto semplici: il té che ogni notte ci Fu in quelle condizioni non certo facili che la nostra giunta cominciò ad essere, prima ancora che un insieme di amministratori, un gruppo di amici. E di una forte coesione ci sarebbe stato bisogno ancora di più col passare del tempo, specialmente quando il sindaco Giacomini fu costretto a rallentare il ritmo degli impegni a causa di problemi di salute. Già in agosto, quindi, anche se la rinuncia di Eddi si sarebbe ufficializzata solo nel febbraio successivo, fu necessario aggiungere buona volontà a quanto stavamo già facendo per non lasciare indietro niente. Fu allora che cominciarono ad emergere con particolare evidenza le qualità umane, politiche ed organizzative di Gino Molinaro, allora vicesindaco. Molinaro non era particolarmente legato agli ambienti di partito. Aveva militato fin da ragazzo nella DC per scelta educativa e di principio, ma non aveva dimestichezza con la linea gerarchica della struttura partitica o con i nomi importanti che essa esprimeva a livello provinciale o regionale. Era intelligente e, forse anche per il passato di emigrante in Francia con la famiglia, amava Buja e la sua gente. All'indomani del terremoto si era messo a disposizione specialmente nei magazzini di distribuzione degli aiuti, dove veniva a contatto con le esigenze più spicciole della popolazione. Nelle sedute quasi quotidiane del consiglio comunale interveniva con competenza e nei contatti con le personalità di ordine locale, nazionale o internazionale che visitavano le zone terremotate era in grado di cavarsela brillantemente. Nella distribuzione degli impegni, quindi, cominciò sempre più spesso ad accadere che lui ed io ci trovassimo a rappresentare le difficoltà del paese presso enti, associazioni, Quando venne il terremoto di settembre fu chiaro più che mai che la gestione dei problemi era ad una ulteriore svolta. Le leggi predisposte dalla Regione, come Il suo elicottero stava volando sopra Avilla, dove una solenne processione riaccompagnava "a casa", cioè nei ripari adibiti a chiesa, la statua della Madonna dei Fornaciai, restaurata dalla comunità di Codroipo. Molinaro ed io venimmo a sapere che sarebbe atterrato a poca distanza e perciò ci appostammo in attesa, insieme ad altri amici. Zamberletti, infatti, nel primo periodo del suo incarico aveva potuto conoscere solo marginalmente i problemi di Buja tra i tanti comuni colpiti. La popolazione riponeva grandi speranze in lui, sia per la fiducia che ispirava come persona, sia perché la sua capacità organizzativa e la velocità operativa con cui poteva agire da responsabile unico degli interventi ritenuti necessari lasciavano intendere che le segnalazioni fattegli non sarebbero cadute nel vuoto. E infatti il Commissario ci ascoltò attentamente: ce la mettemmo tutta a spiegargli che Buja disponeva di forze lavoro e imprese attrezzate e responsabili, che avrebbero agito per il meglio e gettato in brevissimo tempo le infrastrutture necessarie ad ospitare i prefabbricati, che avrebbero dato un tetto alla popolazione in attesa di nuove leggi. Nacque così sulla piazza di Avilla, senza formalità e quasi per caso, l'istituto della Concessione, cioè quel patto per cui, se si fossero rispettati da parte nostra i tempi promessi per l'infrastrutturazione delle aree, il commissariato avrebbe finanziato i prefabbricati. Zamberletti ci pregò di redigere una bozza di capitolato da utilizzare anche con altri comuni. La scommessa fu vinta nonostante le avversità atmosferiche in cui le imprese furono costrette a lavorare e le baraccopoli, parte con finanziamento commissariale, parte con fondi regionali, sorsero in tempo per riaccogliere nella primavera successiva il rientro dei profughi. Il febbraio del '77 rendeva esecutivo, come si è detto, il cambiamento alla guida dell'amministrazione civica, con il passaggio della carica di sindaco da Giacomini a Molinaro. Automaticamente scaturivano altre modifiche, come quella che mi consegnò l'impegno a svolgere il ruolo di vicesindaco. Continuava e si rafforzava così il sodalizio che mi avrebbe portato a lavorare sempre più intensamente a fianco dell'amico Gino, e ad apprezzare la crescita continua delle sue capacità di relazionarsi con tutti, dalle persone più semplici a quelle più importanti, di portare avanti con competenza le idee sulle quali si ragionava insieme, talvolta con pareri contrastanti che ci chiedevano lunghi momenti di confronto, ma sempre con assoluta stima e lealtà. Soprattutto con amicizia. Molinaro ed io, infatti, eravamo diversi per tanti aspetti, ma forse proprio per questo eravamo complementari. Così, quando nei mesi successivi si trattò di seguire da vicino le iniziative legislative sulla riparazione come la L.30/77 e sulla ricostruzione come la L.63/77, per le quali la Regione chiedeva giustamente indicazioni e La maggior parte dei sindaci dei comuni disastrati lo faceva in prima persona, ma lui non lo ritenne opportuno per scrupolo di correttezza, onde evitare interferenze con la professione che svolgeva. Mentre a me, che avevo anche il referato per la gestione delle finanze comunali, spettava quindi il compito di organizzare gli uffici e quanto altro serviva per l'applicazione di queste leggi, lui si sarebbe così dedicato con tutto l'impegno di cui era capace alla crescita del paese, perché potesse essere non solo ricostruito, ma anche fatto rinascere nelle sue tante risorse. Molinaro credeva fermamente nelle risorse di Buja: in quelle culturali, in quelle di intelligenza e capacità imprenditoriali, in quelle politiche, che avrebbero dovuto portare il paese a contare di più anche al di fuori dei confini comunali. Sapeva comunicare agli altri questa convinzione lungimirante e sapeva tradurla in ipotesi e programmazioni. Forse proprio questa sua straordinarietà seppe suscitare intorno a lui grandi collaborazioni o grandi opposizioni. In ogni caso fu un sindaco di massima statura politica, morale ed umana, che a poco meno di dieci anni dalla scomparsa non ha a suo ricordo cippi e intitolazioni eclatanti, ma ha certamente la riconoscenza profonda e personale di tantissimi cittadini di Buja. Alla data del 6 maggio 1976 il Consiglio comunale era così composto: Mauro Aita, Sergio Burigotto, Giacinto Fabbro, Giovanni Fabbro, Eddi Giacomini, Gino Molinaro, Bruno Papinutto, Gerardo Scagnetti, Leonardo Ursella, Valter Ursella del partito della Democrazia Cristiana Claudio Aita del Partito Socialdemocratico Gaspare Calligaro, Renata Cattarino, William Covasso, Emilio Savonitto, Lorino Ursella del Partito Comunista Italiano Aldo Baracchini, Roberto Ganzitti del Movimento Friuli Mario Ragagnin, Adelchi Ciani del Partito Socialista Italiano |