Quando giunsi a Buja, mandato dal mio direttore, mi colpì la morbida dolcezza del verde primaverile che sembrava voler pietosamente medicare le ferite inferte a quella stupenda plaga dalla furia dell’Orcolat ridesto (come nella favola). Non potrò dimenticare il profilo sottile, leggermente inclinato del campanile di Buja orgogliosamente alto sulle macerie delle case vecchie, sulle puntellature nelle stradine, sulle transenne che vietavano l’accesso, sulle spianate ghiaiose ove si accampavano le stazioni dei soccorsi o si preparavano le gettate di calcestruzzo per la costruzione del “Villaggio Brescia” che fu poi il primo ultimato nella zona. In Friuli gli effetti devastanti della scossa a fine maggio 1976, impressionavano così come la forte compostezza della gente, soprattutto di quanti avevano perso casa o persone: simbolo il meraviglioso Duomo di Gemona incredibilmente pericolante eppure incredibilmente rimasto ritto finché poté essere consolidato e restituito alla sua funzione religiosa e monumentale. Qui da noi avevamo sentito forte la scossa di prima sera; ma più che qualche animale domestico in fuga preventiva o qualche anziano portato a braccia giù dai piani alti, qualche timore di altre scosse che aveva tenuto sveglia a lungo la gente, non avevamo avuto. Era toccato di attendere la primissima mattina per vedere davvero sugli schermi della TV le drammatiche immagini dell’ampiezza del disastro. Bastò perché si muovesse ampia la solidarietà dei Bresciani che si accalcarono agli sportelli delle sottoscrizioni aperte, in particolare a quella del Giornale che fu la maggiore. Tutto si incanalò con rapidità ed efficacia. Ricordo l’affettuosa generosità con cui si mossero i lettori del Giornale e l’intensa assidua sollecitudine con cui si mossero dal Giornale a Buja l’indimenticabile Franco Maestrini, il caro Franco Solina, coordinati dall’avv. Silvio Pelizzari direttore amministrativo e incitati dal dott. Vincenzo Cecchini, direttore responsabile del nostro Giornale. I nostri Alpini, come sempre, furono meravigliosi: andarono di persona, lavorarono, confortarono, furono di esempio, divennero amici. L’amicizia fu il dono con cui quel popolo, dignitoso e composto anche nella sventura, ricambiò la generosità dei Bresciani. A trent’anni di distanza i legami sono rimasti, l’amicizia è stata confermata infinite volte, gli scambi e i contatti non si sono mai affievoliti, almeno finché vivranno coloro che quell’esperienza l’hanno vissuta. Il dolore alla fine ha arricchito tutti. La gratitudine dei cittadini di Buja si spinse fino al punto da far loro trasportare a Solofra - quando il terremoto devastò l’Irpinia e il Giornale di Brescia coi suoi lettori operò anche là un significativo intervento - la scuola prefabbricata avuta in dono che era rimasta in ottime condizioni. Non dimenticherò - posso testimoniarlo ai lettori e agli amici di Buja - quei volti, quelle sofferenze, quelle speranze, quegli scambiati propositi di rinascita, quelle mete operosamente perseguite e raggiunte. Noi Bresciani abbiamo, in fondo, più ricevuto che dato, a differenza di quanto è avvenuto a Solofra in Irpinia ove forse non l’indifferenza, ma certo la passiva attesa e l’oblio sembrarono aver coperto tutto ancor prima che gli interventi fossero conclusi. Frammenti di storia, anche del Giornale e dei suoi lettori, esperienze di vita. Ieri a Buja eravamo, quelli ancora vivi, a ricordare tali pagine. Davvero il Friuli non dimentica. |