Per due anni un flusso incessante di volontari dalle Sezioni Brescia, Monte Suello e Valcamonica Tremila alpini bresciani al lavoro. Ogni cantiere era autosufficiente, con 100 persone divise per specializzazione Oggi a Gemona le braccia forti ed i cuori generosi dei «fratelli alpini» della nostra provincia riceveranno la cittadinanza onoraria di Giancarlo Buizza |
È stata l’adunata più bella e più lunga nella storia degli alpini quella del 1976 in quella terra friulana messa in ginocchio da quel tremendo terremoto del 6 maggio 1976. Non è stata l’obbligatoria cartolina precetto tantomeno un navigatore satellitare ancora da inventare che li ha indirizzati fra quei cumuli di macerie sparse in ogni dove che hanno sepolto un pesante fardello di 989 morti. È stata la generosità del loro cuore e delle loro braccia guidata da quella fede alla loro penna nera che ha fatto da bussola portandoli in questi luoghi martoriati, una presenza che se è stata valida come opera materiale d’aiuto a ricostruire tetti e case non da meno come aiuto morale per lenire quelle sofferenze. Vale la pena sintetizzare in pochi flash (ma sono stati scritti libri con tante testimonianze di sofferenza ma di altrettanta gratitudine) quella che stata certamente la più bella pagina di storia degli alpini che ha valso loro una medaglia d’oro al valor civile appuntata nel 1977 e che brilla sul labaro dell’associazione, accanto alle oltre duecento che ricordano gesti valorosi in tempo di guerra. Da quest’eclatante atto di solidarietà dove gli alpini hanno dimostrato quanto si può concretamente ottenere unendo le forze ed in perfetta autosufficienza i nostri governanti hanno saputo trarne un esempio per costituire il nucleo nazionale di protezione civile. Non ha perso tempo la sede nazionale nel diramare il 15 maggio, esattamente una settimana dopo il terremoto, un invito alle sezioni per una raccolta di fondi e per dare corpo a undici cantieri di lavoro per una copertura capillare esattamente nei paesi di: Artegna, Magnano in Riviera, Attimis, Buja, Carnia Villa Santina, Maiano, Moggio Udinese, Osoppo, Cavazzo Carnico, Vedronza e Campagnola di Gemona e Venzone dove in due anni hanno operato circa tremila penne nere delle nostre sezioni di Brescia, Salò, Vallecamonica. Cantieri che dovevano essere autosufficienti creati con criteri di alpini appartenenti alle stesse regioni, idee molto ben chiare con un organico di 100 volontari composti da una ventina di squadre capaci di mettersi a disposizione dei proprietari. Anzitutto tassativamente cappello alpino in testa poi un esempio di efficienza garantita dall’alloggiamento con servizi relativi, refettorio, servizio sanitario e religioso assicurati. Non si poteva perdere tempo perché un ulteriore disagio sarebbe derivato dalla stagione invernale. Inizio lavori 14 maggio e durata 90 giorni, l’intervento è poi proseguito nel 1977. L’organico così formato: 30 muratori, 8 carpentieri, 1 idraulico, 1 elettricista, 1 falegname e 59 manovali - fra questi ultimi anche il cronista per il trasporto di carriole, assi e tondino per armare, coppi e via dicendo. Ogni specialista doveva portarsi appresso le attrezzature. Poi un camion ribaltabile, 4 impastatrici,2 betoniere a bicchiere, 8 elevatori, 4 carrelli a benne ribaltabili. Poi " veci e bocia" via al lavoro con cazzuola in mano e sorriso sul viso, al loro fianco i laboriosi terremotati con maniche rimboccate. I bresciani hanno fatto la loro parte, lo conferma quel lungo elenco che si trova su quel libro di testimonianze "Dai Cantieri del Friuli". Ma con la gente friulana per molti si sono creati rapporti d’amicizia «..E il tempo non cancellerà il ricordo e la gratitudine. Grazie "Fradi"» è la dedica che ti trovi su un libro donatomi da un amico di Venzone. E proprio perché i Friulani non vogliono e non possono dimenticare quell’atto d’amore ecco che a Gemona oggi ricevono a braccia aperte i «loro» alpini nominandoli cittadini onorari della loro bella città ricostruita come altri paesi pietra su pietra. È bello rivedere quei luoghi che nella memoria erano rimasti come un cumulo di macerie: nessun segno di rovine, un eclatante esempio d’impegno, voglia di rinascere, che ti fa sentire orgoglioso d’essere italiano. Significative risuonano nelle orecchie degli alpini bresciani ancora le le parole dette nell’omelia da un sacerdote durante una Santa Messa al campo. La testimonianza di un alpino raccolta a Villa Santina da una nonnina: «È vero che andate via? Beh allora cominceremo a lavorare noi, ma non per fare altre case, ma per fare un monumento a tutti voi..». |