Due lapidi a ricordare i nomi delle vittime del terremoto del 1976 e un’altra, al centro, per tramandare la memoria della ricostruzione. Anche il restauro della chiesetta di San Giuseppe, a Ursinins Piccolo, porta il segno del gemellaggio che ha legato - e mantiene saldi rapporti - Brescia a questa località. Furono infatti abili "marmorini" bresciani - si raccontò sul nostro giornale nel marzo 1979, alla vigilia del completamento del restauro e della benedizione del tempio - a trarre dalla polvere i frammenti lasciati dal duplice crollo (6 maggio e 15 settembre 1976) e ricomporre la soasa «ricamo di barocca pazienza». «Pareva opera impossibile - notò Danilo Tamagnini - ma alacrità e perizia hanno compiuto il miracolo». Il restauro (effettuato sotto l’egida della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia) restituì alla gente di Ursinins Piccolo non soltanto quella che era stata l’opera d’arte più antica della frazione, ma anche (come spiegò il sindaco dell’epoca, Gino Molinaro) «l’approdo ideale» del pensiero che gli emigrati rivolgevano alla loro terra d’origine: «Quando non possono farlo fisicamente, ricorrono all’immagine del luogo sacro per ricostruire, sul filo della memoria, il piccolo centro». Non solo. Come annotò lo stesso Danilo Tamagnini, fu anche «conclusione e suggello di quell’operazione "Il cuore di Brescia in Friuli" che retorica, semmai, è apparsa solo nell’annuncio: dalla nostra provincia sono venuti i coppi che salvarono i tetti pericolanti, poi i soldi utilizzati per costruire il primo villaggio del quale i terremotati hanno preso possesso, e l’ambulatorio medico e i negozi e le scuole». Alla benedizione della chiesetta, il 18 marzo 1979 (officiante mons. Capra, in nome del Vescovo Morstabilini), s’accompagnò, edito dal Giornale di Brescia, il volume di Gian Carlo Menis «Pietà e diritto in una comunità rustica friulana del Seicento - La chiesetta di S. Giuseppe a Buja». La cerimonia fu quindi un avvenimento molto sentito nella comunità, che quel monumento - sono ancora la parole del sindaco Molinaro - «anche quale testimonianza dei nostri avi, era naturale lo rivolesse qual era». La chiesetta era stata il fulcro dell’abitato, molte vicende - ricordate nel libro di mons. Menis - ne avevano cementato le pietre, fino a farne - concludeva Danilo Tamagnini - «un frammento di quella civiltà... ricostruito non per meramente ornamentale proposito: per cogliere un battito antico dentro cuore vivo. E scoprire che la speranza si tramanda nello scorrere delle generazioni». (chi) |