L'architrave figurato di Silvana Sibille-Sizia | |
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Ho pubblicato nel n. 17 di questa rivista con riferimento all'architrave dell'antica pieve del Monte di Buja, una mia ricerca sul significato simbolico del Sole e della Luna nell'arte religiosa dell'Europa cristiana1. Prendo ora in esame le altre due figure che vi sono scolpite, quelle dell'aquila e del toro che presentano non minori difficoltà di interpretazione soprattutto in assenza di quei termini di confronto che per il Sole e la Luna ci erano forniti da alcuni splendidi lavori dell'arte medioevale di destinazione aulica e dello strettissimo nesso concettuale che, associando in un unico contesto figurativo i simboli della Creazione e della Redenzione, ci consentiva di riconoscerli in quanto tali grazie alla corrispondenza simmetrica tra gli eventi vetero e neotestamentari rappresentati. Arriveremo, comunque, a conclusioni che credo convincenti ma vorrei soffermarmi, per una questione di metodo e per dar conto del percorso seguito nella formulazione di successive ipotesi di lavoro, su alcuni dati preliminari. Scrive Andrée Leroi-Gourhan che gli atti concreti e le manifestazioni orali che hanno accompagnato i riti liturgici delle antiche religioni sono scomparsi insieme agli uomini che li hanno celebrati e i simboli che ne rappresentavano i contenuti sono diventati talvolta indecifrabili o hanno assunto significati diversi e spesso per noi incomprensibili: "basti pensare al tema eurasico dell'aquila, del leone e del toro che in Mesopotamia, nella Scizia, in Egitto, in Cina, in India, dovunque ha rispecchiato contenuti mitologici diversi e oggi per noi è il simbolo degli evangelisti"2 (fig. 1), ma, anche in quanto tale, nel momento del suo generalizzarsi e 'volgarizzarsi' in quella sorta di "prediche scolpite" che sono i portali maggiori delle cattedrali francesi attraverso cui il popolo dei fedeli accedeva alla contemplazione delle verità teologiche, rivela un immaginario cabalistico poiché le creature che circondano il Cristo apocalittico della lunetta sono quelle di cui parla il profeta Ezechiele: l'angelo è l'uomo cosmico che rappresenta le sefirot, l'aquila è il livello aereo della creazione dell'universo, il leone il livello acqueo del cuore, il toro il livello terrestre del mondo dell'azione. Coerentemente con questi contenuti cabalistici, nella cattedrale di Chartres, per esempio, nella strombatura della porta centrale del Portico Reale (1145-1150) (fig. 2) le ieratiche statue-colonna dei re e regine dell'Antico Testamento, antenati del Cristo in maestà nella lunetta, costituiscono gli antefatti delle scene evangeliche rappresentate negli architravi, nei capitelli, nei timpani e negli archivolti in cui si individua un programma concettuale rigorosamente concatenato e certo non estraneo al pensiero filosofico-religioso della locale scuola vescovile, nella corrispondenza "simmetrica" tra episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento. L'aquila che può alzarsi in volo sopra le nuvole e fissare il sole senza abbassare le palpebre né bruciarsi gli occhi è considerata universalmente un simbolo celeste e solare. Nell'antica Grecia era l'uccello sacro a Zeus con cui talvolta veniva identificata. In America come in Siberia, in tutto l'universo sciamanico è un simbolo della forza uranica; uccello mantico e iniziatico è l'unica creatura capace di volare dal mondo dei vivi a quello dei morti e di rigenerare l'eroe per restituirlo alla vita. A Roma, durante il consolato di Mario, fu scelta come emblema delle legioni e in seguito quando si celebrava l'apoteosi degli imperatori un'aquila veniva liberata nel cielo con il preciso incarico di rapire e portare nel regno degli dei l'anima del sovrano defunto. Nei Salmi è simbolo della rigenerazione spirituale, nel Cristianesimo è simbolo e messaggera del Verbo e per questo veniva rappresentata nei leggii su cui si collocavano i libri sacri durante le cerimonie del culto5. Nei primi secoli è stata messa in relazione con il neofita che rinasce nell'acqua del battesimo: come l'aquila guarda senza timore il sole in faccia, così il cristiano può guardare la luce eterna se il suo cuore è puro; nel Medioevo è stata identificata con il Cristo stesso di cui rappresenta l'Ascensione, ossia la vittoria sulla morte e la regalità. In seguito ha aperto le ali su un imprecisabile numero di stemmi, insegne, vessilli, compresi quelli del Sacro Romano Impero. Il toro non ha mai smesso, dalla preistoria in poi, di essere protagonista di miti e oggetto di venerazione (ancorché in principio fosse l'uro, il bos primigenius). Simbolo della forza creatrice, divinità il cui seme rende fertile la terra e genera ogni forma di vita, è attestato fra gli Egizi, i Sumeri, i proto-Ittiti; è l'Enlil babilonese e il Vitello d'oro il cui culto, condannato da Mosè, persistette fra gli Ebrei fino al regno di Davide. Nei Veda il toro Vrishaba è colui che dal centro immobile mette in movimento la ruota dell'universo e la Vacca "è tutto ciò che è, Dio e uomini, Asura, Mani e profeti"4 in rappresentanza, per così dire, di tutti i bovidi e in nome di una maternità cosmica necessariamente femminile. Creatura ambigua e ambivalente il toro è stato messo in relazione, fin dal Neolitico, con la divinità femminile lunare. Benché sia Mitra, divinità solare di origine iranica, che uccide il toro sacrificale, esso, in quanto simbolo di un dio morto e resuscitato, è, anche per questa via, connesso alla Luna nel suo aspetto di divinità ctonia. Gli eserciti romani avevano diffuso in tutto l'Impero il culto di Mitra, dio Salvatore, Vincitore invitto, nato da una roccia il 25 dicembre, dopo il solstizio d'inverno, quando i giorni ricominciano ad allungarsi e si celebrava la rinascita del Sole. È abbastanza ovvio, dunque, che anche il toro sia stato assunto a simbolo del Cristo che ha sostituito Mitra prima negli eserciti e poi tra i popoli dell'Impero romano. Alle connotazioni di Cristo con elementi di repertorio iconografico di origine precristiana come l'aquila e il toro accennavo nel precedente articolo sull'architrave del Monte di Buja5, così come al recupero simultaneo della rappresentazione pagana della Luna e del toro nella copertina d'avorio da Bamberga alla Staatsbibliothek di Monaco6 (fig. 3) dove la Luna antropomorfizzata percorre il cielo su un cocchio tirato da tori, o buoi o più probabilmente giovenche cornute (le corna dei bovidi richiamano l'immagine del crescente lunare). In base a queste premesse mitologiche e storiche le figure scolpite sull'architrave del Monte di Buja si potrebbero anche leggere come la duplicazione, con intendimenti rafforzativi, degli stessi simboli rappresentati alternativamente nella loro forma astrale e nella corrispondente forma animale secondo la sequenza aquila/sole - luna - sole - toro/luna, sebbene non ve ne siano, per quanto ne so, altre testimonianze, ma non di questo si tratta. Potremmo chiederci o i miei lettori potrebbero chiedermi se abbia un senso avventurarsi tanto lontano per cercare il significato simbolico di un'opera "d'arte povera", di esecuzione impacciata, di committenza locale e di fruizione rurale come l'architrave della pieve di Buja. E poiché mi sembra una domanda legittima vorrei dare una risposta corretta prima di arrivare alle conclusioni. I repertori iconografici medioevali in cui confluivano esperienze di varia desunzione, figurativa anzitutto, ma anche scritturale, filosofica, letteraria, liturgica, politica, hanno determinato i modelli congruenti al programma didattico-anagogico della Chiesa divulgati dalla cultura monastica tramite la rete vitalissima dei conventi e dei luoghi di pellegrinaggio, ma fra XI e XII secolo si moltiplicano le testimonianze di una committenza minuta riconoscibile nelle forze cittadine artigiani, coltivatori, mercanti in seguito organizzate nel Comune. Il ceto medio emergente si allinea alla committenza aulica e curiale nell'adozione dei modelli formali e negli orientamenti del gusto, ma tende di solito a identificarsi con le maestranze locali per comunità di orientamenti, interessi, esperienze e lascia affiorare in modo sempre più esplicito una cultura fortemente autoctona che in Friuli, ad esempio, può esprimersi nell'opera del 'mitico' Magister Johannes di Venzone e Gemona ma anche in quella dell'anonimo lapicida che nel Trecento ha scolpito l'architrave del Monte di Buja per la cui comprensione essendo escluso che l'aquila e il toro rappresentino Giovanni e Luca se non altro perché al toro mancano le ali e nessuno dei due è connotato dal libro del rispettivo Vangelo diventa fondamentale il confronto con un'altra opera d'arte antica bujese, sia pure anzi appunto perché più tarda, la cassaforte di ferro datata 1595 e dipinta sul lato anteriore che Andreina Nicoloso Ciceri ha riprodotto nello stesso n.17 di questa rivista7 (fig. 4). Sotto la data un grande cartiglio reca la scritta COMUNE DI BUJE e il Comune è simboleggiato da un toro tipologicamente vicino a quello dell'architrave del Monte e, come quello, collocato a destra rispetto all'osservatore (sulla posizione delle figure all'interno di contesti iconografici caratterizzati da una forte valenza simbolica vi sarebbe molto da dire). A sinistra, dove sull'architrave c'è l'aquila, sul forziere se ne sta un leone, indubbiamente marciano e serenissimo, accanto a un libro privo di spessore e simile piuttosto a un foglio di pergamena che reca, su due colonne, come d'uso, la scritta pax-tibi-mar-ce/eva-ngeliSTA-MEUS. Questo leone ne è un divertentissimo unicum eseguito - si direbbe - a memoria e approssimativamente da un impacciatissimo pittore che non solo gli ha dato un volto umano più che ferino, ma, non sapendo come fargli reggere con una delle corte zampette anteriori, del resto poggiate a terra, il Vangelo quasi più grande di lui, si è tolto d'impaccio con la 'trovata' dell'ala sinistra che, con una torsione di 180 gradi, arriva a far presa sul margine superiore di esso. Nell'architrave dell'antica Pieve in cima al Monte di Buja, tra il cielo - come spazio metafisico a cui rinviano i simboli della Creazione che probabilmente aveva riscontro in una Crocifissione o in una Deposizione dipinta nella soprastante lunetta - e la terra - come spazio fisico geograficamente compreso entro i confini della Patria del Friuli - si realizza sul versante dell'arte la convergenza fra le tipologie iconografiche di origine colta divulgate in prevalenza dai libri-campione e una loro versione 'dialettale' e semplificata ma capace di esprimere gli stessi contenuti simbolici e sul versante della storia la documentazione figurata di una realtà umana e sociale che si rende percepibile nella sintesi tra la fede religiosa, un potere politico neppur pensabile come servizio anziché come arbitrio, e una nascente coscienza democratica della comunità civile.
Bibliografia: 1 - S. SIBILLE-SIZIA, L'architrave figurato dell'antica Pieve del Monte di Buja, in "Buje, pore nuje! Numar unic pe sagre di Sant Josef, Ursinins Pizzul 1998, n. 17", pp. 26-29. 2 '– A. LEROI-GOURHAN, Le religioni della preistoria, Milano 1993, pp. 175-76. 3 - Cfr. per es. il pilastrino unito in monoblocco a un capitello collocato in guisa di leggio nel Tempietto longobardo di Cividale (sec. VIII-IX?) in A. TAGLIAFERRI, Cividale del Friuli, Pordenone 1988, p. 57. 4 - J. Varenne, L. Renou ed altri, Le Veda, Paris 1938, pp.262-63. 5 - S. SlBILLE-SlZIA, Architrave, cit., p. 27. 6 - Ibid., pp. 27-28. 7 - A. Nicoloso Ciceri, Appunti per una storia delle fornaci di Buja o di Buiesi, in "Buje", cit., p. 76. |