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L'architrave figurato
dell'antica pieve
del Monte di Buja
- I -

di Silvana Sibille-Sizia

 

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 "L'architrave figurato dell'antica pieve del Monte di Buja" - 2 di Silvana Sibille-Sizia

 

La realtà della vita - in tutta l'estensione del termine - non potrebbe essere espressa nella sua complessità, nel suo mistero e nella sua intima profondità, anche inconscia, senza il 'soccorso' dei simboli, in grado di manifestare contenuti interiori che oltrepassano il significato delle parole con cui sono designati.
Per Bachofen il linguaggio sfiora soltanto la superficie della comprensione, il simbolo spinge le sue radici fin nelle più segrete profondità dell'anima. Per Jung il simbolo non è né un semplice segno né un'allegoria, ma un'immagine adeguata a indicare quanto meglio possibile la natura oscuramente intuita dello spirito. Per Eliade la percezione del simbolo coincide sempre con una "epifania simbolica" e dipende più dall'intuizione diretta e immediata che dalla riflessione razionale, alla quale tuttavia è necessario ricorrere ogni volta che la distanza di spazio e di tempo ci rende impossibile comprendere nella sua pienezza il valore di un simbolo senza farne oggetto di una ricerca, per così dire, storica.

È il caso delle figure del Sole, della Luna, dell'aquila e del toro scolpite sull'architrave della porta nell'antica pieve del Monte di Buja (1) - (fig. 1). Gli astri, in quanto corpi fisici, scandiscono il ritmo del tempo e delle stagioni, ma al mantenimento dell'armonia tra l'uomo e la natura, al rinnovarsi delle scadenze astronomiche è stata considerata da sempre necessaria l'osservanza di riti magico-religiosi fondati sull'idea della natura divina del Sole e della Luna, che, come entità metafisiche, rappresentano l'Anima del Mondo, la forza creatrice primordiale, Dio e la Dea Madre, e poi, di volta in volta, Apollo e Diana, Mitra e tutte le divinità maschili e solari del cielo, Iside e tutte le divinità femminili e lunari terrestri e ctonie, Cristo-Sole, Cristo-Luce del Mondo e la Vergine, Stella Diana, Madre Luna, Luna spirituale, e anche il Re e la Regina, lo sposo e la sposa, l'animus e l'anima dei testi alchemici, per fermarsi "a distanza di sicurezza" dalla psicanalisi che al linguaggio simbolico ha restituito tutto il suo valore dinamico ma a cui non è indispensabile ricorrere per comprendere il simbolismo medioevale, almeno nella misura in cui lo conoscevano e lo comprendevano i contemporanei.

Nell'arte italiana l'esperienza 'longobardica' testimonia l'intenzione di riavviare un confronto con la tradizione latina, sia pure attraverso molteplici e differenziati processi di rielaborazione.

La tavoletta in avorio della Crocifissione (fig. 2) databile fra il 674 e il 774, incorniciata da lamine d'argento dorato con pietre dure e madreperle, in origine copertura di Evangeliario e in seguito adattata a "Pace", che Orso, ultimo duca longobardo di Ceneda donò al Capitolo di Cividale (2), è espressione di quest'incontro fra arte classica e arte barbarica. La croce divide lo spazio in quattro zone in cui sono rappresentati, sotto, Maria, Giovanni, Longino e Stephanon e, in alto, il SOL e la LUNA come divinità antropomorfe entro i dischi astrali; il Sole ha un'aureola baccellata; il crescente posato sulla testa della Luna la ricollega alle immagini tradizionali di Diana/Ecate; le due divinità tengono in mano una fiaccola, evidente simbolo della loro natura luminosa.

Nell'arte carolingia le vicende cristologiche si organizzano, rispetto ai tempi dei Longobardi, in cicli, con preferenza per scene della Passione e Crocifissioni, per eventi analoghi dell'Antico e del Nuovo Testamento collocati in corrispondenza "simmetrica", connotazioni del Cristo con elementi di repertorio iconografico come l'aquila, il leone, lo struzzo, il toro, che lo rappresentano simbolicamente a seconda delle caratteristiche che se ne vogliono evidenziare, figure degli Evangelisti, dei 24 Vegliardi, dei Profeti, degli Angeli.

In un ornatissimo avorio della Staatsbibliothek di Monaco (3) datato all'87O circa, copertina di un manoscritto donato al Duomo di Bamberga dall'imperatore Enrico II, la rappresentazione si dipana su tre registri: in quello più alto, sopra al Cristo crocifisso volano grandi angeli e più in alto ancora, entro medaglioni incorniciati da corone di foglie, vi è una dettagliata descrizione del Sole che sale nel cielo su un cocchio tirato da una quadriga di cavalli rampanti e della Luna su un eguale carro a due ruote tirato da quattro buoi/tori quietamente gradienti.

La derivazione da modelli classici (o tardoantichi) si avverte anche nella corona e nel mantello annodato su una spalla del Sole, nel crescente lunare, nelle fiaccole, nella resa degli animali, ma la presenza più singolare e significativa è la mano di Dio, padre onnipotente creatore del cielo e della terra che 'pende' entra una nuvola dal margine superiore della pagina, tra le figure del Sole e della Luna.

Fra il 983 e il 991, nella placca d'avorio della legatura del Codex aureus epternacensis di Treviri (4), sono raffigurati la Terra che, nella posizione dei telamoni, regge il Crocifisso e negli angoli superiori il Sole e la Luna: così la Croce esprime con pienezza il proprio valore simbolico di albero della Morte-Resurrezione che unisce il cielo e la terra. Le teste del Sole e della Luna, con le consuete sembianze antropomorfe, si affacciano dall'interno delle loro dimore astrali, la cui sfericità è qui molto evidenziata, e con le mani avvolte in un lembo del manto fanno il gesto di coprirsi il volto, alludendo, probabilmente, al loro alterno mostrarsi e nascondersi.
Lo stesso atteggiamento, che sembrerebbe una 'invenzione' degli orafi di scuola palatina, si ritrova nel Sole e nella Luna, liberi sul fondo anziché rinchiusi nelle forme geometriche dei rispettivi astri, nella Crocifissione sbalzata in lamina d'oro della legatura di un evangeliario dell'Abbazia di Saint-Denis (5), dono probabilmente di Beatrice, figlia di Ugo Capeto, re di Francia dal 987.

L'antependium in lamina d'oro sbalzata donata dal sacro romano imperatore Ottone III alla Cattedrale di Aquisgrana (6), databile tra gli ultimi anni del 900 e i primi del 1000 e attribuito ai laboratori dell'Abbazia di Fulda, comprende anche storie cristologiche: nella Crocifissione ricompaiono -vorrei dire 'puntualmente' - entro clipei i busti del Sole e della Luna che, anche qui, accennano a coprirsi il volto con il mantello.

Due o trecento anni più tardi le figure allegoriche del Sole e della Luna ritornano, disposte sopra la figura del Cristo sul braccio verticale della croce, nelle lamine d'argento del Crocifisso dei Battuti della Cattedrale di Trieste (7), "immagine * più popolare e umanizzata - osserva la Crusvar (8) - vicina a certi esemplari del tardoromanico renano". Sotto alla figura del Sole si legge in un cartiglio un versetto del Libro di Daniele, SOL ET LUNA LAUDATE DEUM, e sotto la Luna una lunga didascalia: NE PEREAT MUNDUS CONFIGI/TUR IN CRUCE CHRISTUS/ MORTE SUA CULPAM TERGENS/ QUAM CONTULIT ADAM.

Sembrerebbe dunque che l'iconografia romanica del Crocifisso con il Sole e la Luna fosse propria e pressoché esclusiva di un'arte insieme monastica e aristocratica, prodotta in officine legate ai centri del potere politico e religioso, destinata agli esponenti di un clero e di una nobiltà spiritualmente solidali, capaci di comprendere il simbolismo spesso difficile e la raffinatezza formale di rappresentazioni in cui i modelli dell'arte antica ed i contenuti nuovi che essi sono chiamati ad esprimere trovano unità concettuale e figurativa nel richiamo al trascendente.

Raramente questo tipo di Crocifissione passa dall'arte suntuaria delle corti, delle abbazie, delle cattedrali alla scultura in pietra destinata all'edificazione del carnalis populus: nella Deposizione scolpita nel 1178 da Benedetto Antelami per il Duomo di Parma (9), appena sopra la teoria delle figure allineate sul proscenio, respinti ai margini della rappresentazione dagli angeli in volo orizzontale sulle loro teste, il SOL e la LUNA compaiono, sia pure entro voluminosi medaglioni fogliati, in forma abbreviata, ridotti a testine-ritratto identificabili solo grazie ai nomi incisi e niellati nel marmo.

Poi le figure degli astri lasciano definitivamente il posto a quelle degli angeli, degli evangelisti, dei santi nelle rappresentazioni della Crocifissione e nelle Croci lobate - astili, processionali, enkolpion, reliquiari e quant'altro - e si perde perfino la coscienza del loro significato simbolico, tanto che nel crocifisso dei Battuti di Trieste la Crusvar non ritiene di poter identificare con la Luna la seconda delle figure collocate sopra il Cristo, nonostante la didascalia, ma la sente piuttosto come simbolo di un'apocalittica eclissi legata alla Passione (10). Eppure sono proprio le parole di quest'opera "veneto-provinciale con influssi nordicheggianti" la cui collocazione cronologicostilistica è "resa più ardua dall'esecuzione rozza e impacciata" (11)  che ci forniscono la chiave per interpretare i Soli e le Lune contestuali alla Crocifissione - e a essa soltanto - negli splendidi avori scolpiti ed ori sbalzati che ho proposto come termini di confronto.

Il versetto del libro di Daniele "sol et luna laudate Deum" annuncia infatti l'opera divina della Creazione con la formula che sarà ripresa da Francesco d'Assisi: "Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole ... Laudato si, mi' Signore, per Sora luna" (Laudes creaturarum, 5,6,10) ma, "affinchè non perisca il mondo - che Dio ha creato - Cristo viene crocifisso e riscatta con la sua morte il peccato di Adamo" (di cui si vede il teschio ai piedi della croce).

Nella sua sintesi iconografica e nelle parole che, in fondo, ne rappresentano niente più che la didascalia, il Crocifisso di Trieste evoca i due momenti in cui l'amore di Dio ha operato definitivamente nella storia: la Creazione del mondo, quando "fuor d'ogni altro comprender, come i piacque/ s'aperse in nuovi amor l'etterno amore" (Paradiso, IIIX, 17-18) e la sua Redenzione, attraverso il sacrificio volontario di Cristo, unigenito figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, che per amore degli uomini e per la loro salvezza si è incarnato nel seno della Vergine Maria e fu crocifisso.

Il Cristianesimo occidentale - mi dice padre Ermenegildo Zordan, priore dell'Abbazia di Follina - ha poi collocato la figura del Cristo al centro del proprio universo teologico e devozionale. La Chiesa orientale, invece, ha conservato il sentimento della corrispondenza simmetrica di eventi analoghi dell'Antico e del Nuovo Testamento in una "concordanza" che la ha portata a ripetere fino ai nostri giorni lo schema iconografico che unisce nella stessa pagina i simboli della Creazione e della Redenzione, tant'è che ancora nelle icone su vetro dell'arte contadina transilvana dell'Ottocento - quanto di più lontano, in tutti i sensi, dai capolavori d'arte orafa di Cividale, di Bamberga, di Treviri, di Saint-Denis, di Aquisgrana - accanto e sopra al Crocifisso, sia esso protagonista assoluto della rappresentazione o integri l'immagine dell'Addolorata, non mancano quasi mai il Sole e la Luna, nella loro forma astrale antropomorfizzata dal disegno degli occhi e della bocca.

Ma pochi decenni sono bastati perché si perdesse nell'Europa orientale, così come
si era persa nel trascorrere di alcuni secoli - ma per diverse ragioni - nell'Europa occidentale, la percezione istintiva e immediata del loro significato profondo e si dice - e si scrive - che "essi simboleggiano la partecipazione degli astri al destino umano" (12), che è tutt'altra cosa dalla Creazione!

Al Sole e alla Luna del trecentesco architrave di Buia, come al Sole e alla Luna della chiesetta di Sant'Eufemia a Segnacco e agli altri Soli e Lune presenti qua e là anche in Friuli negli edifici religiosi del basso Medioevo credo si possa restituire, attraverso lo studio dei contesti figurativi più colti e complessi in cui i magistri aurifices dell'alto Medioevo li hanno integrati, la pienezza dell'originario valore simbolico (13).

Avendo ampiamente oltrepassato i limiti dello spazio che mi era stato concesso, rinvio a una prossima occasione lo studio delle altre due figure scolpite nell'architrave dell'antica pieve del Monte di Buia, l'aquila e il toro, anch'esse portatrici di significati simbolici che non riusciamo più a cogliere d'istinto, ma di cui siamo in qualche modo 'inconsciamente' consapevoli, segno che essi non sono ancora - come direbbe Aragon "parole desuete il cui antico contenuto è scomparso dalla nostra mente, come da una chiesa dove non si prega più".
Per ciò che i simboli - o certi simboli - hanno rappresentato nella storia, nell'arte, nella letteratura, nella filosofia, per la loro connessione con l"atmosfera' spirituale delle società, delle epoche, degli accadimenti di cui siamo eredi, restituire ad essi, almeno in qualche misura, l'originario potenziale evocativo può rappresentare un'occasione e una modalità di ricerca nella stratigrafia della nostra identità.

Bibliografia


1) A. NICOLOSO CICERI, Tradizioni popolari in Friuli, Reana del Rojale 1983, p. 469.
2) AA.YV., I Longobardi - Catalogo, Milanol99O, pp. 359, 468, 470.
3) C. L. RAGGHIANTI, Medioevo europeo - VIII - XII secolo, Verona 1978, pp. 147-48.
4) F. CARDINI, Europa anno Mille - le radici dell'Occidente, Milano 1995, pp. 174-75.
5)ibid.,p. 219. 6) ibid" p. 167.
7) AA.W., Ori e tesori d'Europa - mille anni di oreficeria nel Friuli-Venezia Giulia - Catalogo, Milano 1992, p. 66.
8) L. CRUSVAR, in Tesori delle Comunità religiose di Trieste - Catalogo, Udine 1978, pp. 50-51.
9) C. L. RAGGHIANTI, Medioevo cit., p. 95.
10) L. CRUSVAR, Tesori cit., pp. 50-51.
11) C. GABERSCEK, in Ori e tesori cit., pp. 66-67.
12) A. RISPOLI FABRIS, Icone su vetro della pittura contadina transilvana, Venezia 1987, p. 38.
13) nota: a chi avesse tra mano il Catalogo della Mostra "Ori e tesori d'Europa" suggerisco di osservare a p. 461, fig. 58 la "notevole croce in bronzo inciso (...) con simboli (0 Sole e la Luna) e scritte greche, attribuibile forse all'XI-XII secolo" della Coll. Perusini.