1967 Febbraio

L'Arcivescovo interdice al culto 

la chiesa funerante di S. Bartolomeo

di Pietro Menis

 

UNA VISITA PASTORALE... BURRASCOSA

L'Arcivescovo interdice ai culto la chiesa funerante di S. Bartolomeo

Provate per un momento a dimenticare le belle e comode strade che dalla Statale N. 13, la Pontebbana. adducono a Buia e tornate indietro nel tempo...

Meno di cinquantanni fa — fino al 1920 — per arrivare nel nostro paese, chi veniva da Udine, aveva una sola possibilità: superato Tricesimo. prendere la strada per Cassacco e da qui raggiungere Treppo Piccolo. In questa località, proprio dinanzi all'antica chiesetta, la strada si biforcava e allora il viandante doveva scegliere, o salire a Treppo Grande e, passando per Zeglianutto e Zegliacco, arrivare ad Urbignacco, oppure, per l'altro braccio, scendere a Vendoglio e, per Carvacco, toccare la borgatella di Arba. Quindi, dai due punti di arrivo nel nostro territorio — Urbignacco e Arba — attraverso l'intrico delle strade e straducole interne, si raggiungevano le varie e sperdute borgate del Comune.

Ordinariamente il primo braccio della biforcazione era preferito dagli abitanti della parte superiore del paese e la seconda da quelli delle borgate di sud-ovest.

Strade ne comode ne facili; pensate al «deserto» fra Cassacco e Treppo Piccolo, alle curve e controcurve ad ogni pie' sospinto, allo salire e scendere continuo sulle gobbe delle colline, alle strettoie fra le case dei borghi che si attraversava; tuttavia erano strade sufficienti al traffico del tempo.

E un buiese che volesse scendere a Udine con un suo mezzo trainato doveva passare per queste vie obbligate. Altrettanto dovevano fare i «pedoni» quando non andavano a prendersi il treno alla Stazione di Artegna, superando in precedenza i quattro o cinque chilometri che separano Buia da quella località. Per la sua prima visita pastorale alla Pieve di Buia l'arcivescovo Mons. Antonio-Anastasio Rossi aveva scelto la strada diVendoglio.

Ed era stata una scelta felice! Difatti, appena superato l'abitato di Carvacco, al Presule si sarebbe presentato tutto l'arco collinare che, come in un amplesso, raccoglie le borgate rimaste sotto governo della antichissima chiesa matrice di S. Lorenzo, che dall'alto, dal suo trono di verde, occhieggia da lungi al viandante che su quella strada avanza!...

Era il pomeriggio del 2 gennaio 1911; il cielo era scuro di nubi dense turgide, basse, immote nel cielo come fosse una fosca cappa di piombo.

Ciononostante un' animazione insolita si notava nel paese. Da tutte le strade la gente vestita a festa si dirigeva verso Ursinins Grande, verso Arba; andavano ad incontrare il nuovo Arcivescovo.

Partendo dal duomo l'arciprete Mons. Bulfoni, assieme al clero, con accompagnamento di stendardi e confaloni, com'era uso a quel tempo, con croci e baldacchino, si dirigeva verso quella località. Non mancava ovviamente la Banda cittadina!...

Ora, nel cielo, le nubi sospinte dal vento correvano verso il nord, ondeggiando, accavallandosi come le onde del mare, foriere di burrasca, ma la gente resisteva nell'attesa... Forse il solenne ingresso sarebbe avvenuto senza la pioggia! Le campane di tutte le chiese suonavano a festa.

Ma la speranza e l'attesa andarono deluse per una fortuita combinazione.

L'autista dell'arcivescovo, non pratico delle strade, quando fu a Treppo Piccolo, prese la via per Treppo Grande anziché per quella di Vendoglio, com'era convenuto in precedenza.

Ad Arrio si accorse dell'errore e il Presule fece fermare l'auto, mandando a chiamare l'arciprete per fare l'ingresso rituale. A quel tempo non c'erano i mezzi rapidi di oggi per fare una corsa fino in Arba e perciò passò alcun tempo.

In attesa, l'Arcivescovo restava in macchina perché la pioggia intanto aveva cominciato a cadere a rovesci con raffiche di vento diaccio.

Immaginarsi la confusione che successe, lo smarrimento e il disordine! La gente in gran parte si disperse. Forse non era mai successo un fatto simile nella storia della vita religiosa della Pieve!...

Mons. Bulfoni soleva dire poi sorridendo che quella visita, incominciata così male, era anche finita... male!

Difatti, l'Arcivescovo, che aveva chiuso la visita pastorale nel Cimitero, tornato a Udine, fra le «cose necessarie» che considerava prescrivere per la Pieve di Buia, figurava anche l'interdizione al culto della chiesetta del Cimitero.

«Considerato che detta chiesa nel Cimitero trovasi in istato indecente, né è possibile che si facciano immediati restauri, interdiciamo in essa chiesa il culto divino».

Il drastico provvedimento arcivescovile non aveva tenuto conto delle conseguenze che esso provocava nell'ordine prestabilito per i funerali in parrocchia.

Difatti, quella di S. Bartolomeo era la chiesa funerante della Pieve di Buia. Erano i tempi che le esequie non si facevano nelle chiese filiali; per nessuna ragione a Tomba, ad Avilla, a S. Floriano od a Ursinins Grande e men che meno in Monte si sarebbe celebrato un funerale e nemmeno un matrimonio. Vigeva una regola medievale e l'unità della parrocchia esigeva il rispetto di questa consuetudine.

E di più, i funerali erano suddivisi in classi, prima seconda e terza. E queste suddivisioni si conoscevano per il numero dei sacerdoti che accompagnavano il morto, per gli stendardi che si portavano al corteo funebre, per la Messa cantata o meno ed altri particolari di minore importanza. 

 

In Duomo accedeva soltanto un «funerale di prima» e comportava un certo complicato meccanismo spettacolare.

Per primo avrebbe dovuto partecipare tutto il clero presente in parrocchia e la celebrazione del rito spettava al Parroco con Diacono e Suddiacono in pompa magna: i sacrestani delle filiali avevano il diritto ed anche il dovere di partecipare con gli stendardi delle singole chiese; la sera precedente al funerale l'ordine contemplava che tutte le campane della Pieve suonassero il doppio immediatamente dopo il segnale dell'Ave Maria; nelle ore che precedevano la cerimonia funebre ancora in tutte le Chiese si doveva suonare per tre volte a debita distanza l'una dall'altra.

Un funerale di prima comportava la partecipazione della cantoria al completo che cantava, lungo il primo tragitto del corteo, il «Miserere», quindi la Messa con accompagnamento d'organo e dalla chiesa al Cimitero il «Benedictus».

In chiesa veniva innalzato il catafalco, una specie di castello di cattivo gusto, con macabre figure e iscrizioni di versetti che ricordavano il trionfo della morte e la fine di tutte le vanità umane.

All'accompagnamento funebre, in queste circostanze, gli iscritti alle Confraternite intervenivano, indossando le sgargianti «cappe» nei colori che le distinguevano. Anche i ceri o torcie, che si usavano portare nei funerali, erano più numerosi.

La bara,infine,le povere bare che in quel tempo venivano fatte, di volta in volta, da mo­desti artigiani del legno, rivestite di carta da parato, era coperta dalla coltre o tappeto funebre tutto frangie e ricami di oro e d'argento.

Storia di ieri che par vecchia di secoli!

Ovviamente, tutte queste prestazioni comportavano una spesa e aggiunta a questa la tassa d'ingresso al Duomo, la cifra saliva di molto, per cui i funerali di prima erano pochi, riservati ai più danarosi.

Le altre due classi, cioè la seconda e la terza, si celebravano nella chiesetta del Cimitero,dedicata a S. Bartolomeo.  

E anche se questa consuetudine non fosse delle più felici era stata imposta dalle circostanze, dirò meglio dalla conformazione geografica del paese.

In quei tempi la Cura di  S. Lorenzo comprendeva anche le attuali parrocchie di Avilla e di Tomba ed il Cimitero serviva come serve tuttora, per tutta questa vasta zona del territorio comunale. Da qui. tenuto conto quanto più sopra elencato, la impossibilità di fare confluire tutti i funerali nella chiesa comparrocchiale di S. Stefano che aveva, come ha, la funzione e le prerogative della chiesa matrice, per le circostanze che tutti conosciamo.

Difatti, far confluire tutti i funerali a S. Stefano, avrebbe comportato una serie di lunghi e inutili cortei attraverso le borgate. Pensate a un funerale che fosse partito da Tonzolano o da Andreuzza o ancora da Saletti!...

Mons. Bulfoni, allarmato per il provvedimento preso dall'Arcivescovo, cioè l'interdizione della chiesetta del Cimitero, scriveva a margine del documento stesso quanto segue:

«I restauri, anzi l'erezione di una nuova ampia chiesa, si farà tra breve tempo. Quindi si prega Vostra Ecc. a sospendere per intanto l'interdetto di detta chiesa al culto divino».

scovo la dichiarazione ed espose a voce le sue ragioni e preoccupazioni.

Il Presule allora, sotto la «supplica» dell'Arciprete, tracciò di proprio pugno, in data 20 ottobre:

«Ponderate le ragioni anzidette dell'Ill.mo e Rev.mo Arciprete e preso atto della promessa che entro un anno sarà aperta al culto la nuova chiesa che si intende erigere nel cimitero, si sospende per un anno l'interdetto della sunominata chiesa di S. Bartolomeo. XXXXXA. Anastasio,Arcivescovo».

Non occorreva di più a Monsignor Bulfoni!

PIETRO MENIS

(In un prossimo numero come sorse la nuova chiesa del Cimitero e come scomparve l'antico sacello di S. Bartolomeo).