1967 Giugno |
Il vecchio e nuovo San Bartolomeo Notizie e memorie storiche di Pietro Menis |
La sospensione «per un anno del provvedimento», richiesto e ottenuto dal Pievano, metteva tosto nelle condizioni di dover agire con celerità. Difatti, durante la stagione invernale, quando gli emigranti erano in paese, e quindi mano d'opera disponibile, Mons. Bulfoni provvide a far sistemare il terreno riservato «alla costruzione della nuova chiesa». Cioè lo spazio a monte del Cimitero, acquistato appositamente fin dal 1898, quando si aveva ampliato il sacro recinto. Si era previsto che, presto o tardi, quella chiesetta, così malandata, insufficiente alla funzione cui era adibita, era destinala a sparire. Il nuovo S. Bartolomeo si pensava da tempo, fin dalla reggenza di Mons. Venier, ma si aveva dovuto sempre dilazionare il provvedimento perché altri e più presenti problemi avevano avuto la precedenza in Pieve. La nuova chiesa in funerante doveva intonarsi allo schieramento delle arcate costruite sopra le tombe particolari, che dal nord al sud, del muro di cinta, si aprono verso S. Stefano, verso il Capoluogo e perciò venne prescelto il progetto approntato da un Antonio Furlani da Colloredo di Montalbano: un ottagono con cupola. Fu così che in una mite giornata del mese di marzo del 1912, con cerimonia semplice, quasi privata, Mons. Bulfoni benediva la prima pietra della nuova fabbrica. Quasi ogni giorno il Pievano arrivava sul posto per vedere, per incoraggiare, per dare ordinazioni;nessuno più di lui aveva fretta, voleva mantenere la parola data al suo arcivescovo, «di erigere e aprire al culto divino entro un anno una nuova chiesa». Mirando alla praticità a cui la chiesa doveva servire, cioè alle esequie per i morti, si era pensato anche alle campane, vale a dire alla costruzione di un campanilino. Ovviamente la piccola torre era salita assieme alla chiesa, senonchè quando di lontano la si vide spuntare al di sopra della cupola, ci si accorse che era una stonatura, e tanto più palese se guardata di fronte cioè da S. Stefano. La arguzia popolaresca la definì: La pipa di S. Bartolomeo!... Difatti quel campanilino che sopravanzava la cupola, pareva da questa uscire, sicché un avvicinamento c'era davvero colla pipa ecolbocchino... Quelle pipe che erano di moda proprio in quegli anni, importate dagli emigranti dell'Austria e chiamate Chaife, per la loro monumentalità... Soltanto «facendo», avviene di sbagliare e ... «di esagerare... - disse Menis. Bulfoni, e senz'altro ordinò la demolizione del campanile, «la pipa di S. Bartolomeo». La piccola sacrestia della nostra chiesa, dietro l'altare, è quanto ci resta di quella costruzione. Col sopravvenire dell'autunno la chiesa era compiuta nelle sue parti essenziali e troneggiava colla sua bella cupola fra le arcate delle tombe al centro delle quali era, com' è, quella dei Pievani di Buia. Nel pomeriggio del giorno di Tutti i Santi, primo novembre 1912, la solita processione che esce dal duomo dopo la funzione vespertina, forse più che mai imponente, entrò e si raccolse nel nuovo tempio; prima di cantare i Vesperi dei Morti Mons. Bulfoni, a ciò delegato, procedeva alla benedizione. Erano trascorsi otto mesi dalla posa della prima pietra a quella funzione. E tutto era stato pagato quindicinalmente — dirà il capo-mastro — personalmente dal Pievano. In dicembre, il 18, entrava nel nuovo S. Bartolomeo, il primo funerale. Allora scomparve il piccolo sacello che Buia fin dai più lontani secoli aveva dedicato all'Apostolo, che le sacre Scritture affermano fosse stato scorticato vivo e non escludono, anche la conseguente «crocifissione». Fino a qualche anno addietro si trovavano dei vecchi in paese che affermavano come la chiesetta fosse la più antica di Buia, officiata da un prete residente nelle adiacenze dell'attuale Casa di Riposo. Ovviamente la credenza era radicata, non nella tradizione, non nella storia, ma si era formata, come dire?, nella vetustà stessa dell'edificio decrepito... nella sua fisionomia che mai cambiò dal giorno in cui sorse fino a quello in cui scomparve dalla faccia della terra. Tutte le consorelle, sparse nelle varie Borgate, con l'andare degli anni avevano, via via, subito trasformazioni, Ingrandimenti... manomissioni. San Bartolomeo invece qual era rimase, attraverso i secoli. Chi l'aveva edificata la piccola chiesetta, tutto sola sul poggio fra ontani, castagni e vigneti?... Vediamo cosa ci dicono i documenti. Una prima memoria, forse manipolata, la fa risalire al 1300. Nel 1365 invece si ha un testamento di «Domenico Matiusso di Carvacco e di donna Benvenuta sua moglie, col quale lasciavano un conzo di vino, sopra una loro vigna situata presso la chiesa di S. Bartolomeo, ai preti di Buia, perchè ogni anno facessero le vigilie (le esequie) sopra la loro sepoltura». Dov'era la sepoltura dei Matiussi? E' probabile che in quel tempo a Vendoglio, parrocchia da cui attualmente dipende la Borgata di Carvacco, non vi fosse un prete officiante e, dipendendo, come è noto quelle Ville, dalla Pieve di Buia, i testatari abbiano pensato a fare suffragare le loro anime dai Rettori di questa matrice. E qui va detto che la nostra chiesetta, pur nella sua umiltà, nei primi secoli, è stata oggetto di amore e di devozione, poiché molte sono le Ditte che la ricordano nei loro lasciti testamentari. Nel 1528 troviamo, sul Catapane della Pieve, segnata la festa della sua dedicazione, e cioè la domenica seguente a S. Giovanni Battista. Non è però detto se fosse e da chi consacrata. Tre anni più tardi, nel 1561, ecco un importante documento parlarci della chiesa. «Luca Bisanzio, Vescovo di Cattaro e suffraganeo generale della Diocesi di Aquileia, per Rev.mo Sig. Giovanni Grimani, Patriarca di Aquileia, il giorno di S. Giorgio che cade il 24 aprile, assistito dalla Grazia dello Spirito Santo, seguendo il rito il modo e la forma osservati dalla Santa Romana Chiesa, abbiamo riconciliato la chiesa di S. Barlolomeo della Villa di Buia ed abbiamo consacrato il Cimitero» della stessa chiesa, in onore di Dio e della Beata e Gloriosa Vergine Maria sotto il titolo di S. Bartolomeo». Perchè si era riconciliato la chiesa? Come è noto un luogo sacro si riconcilia se in esso viene sparso del sangue per violenza, se ha subito profanazione oppure se la sua struttura muraria sia stata intaccata dopo la consacrazione. Nessun documento ci viene in aiuto a questo proposito. Comunque la chiesetta non doveva presentare, al Vescovo di Cattaro, un quadro edificante se prescriveva, «che sia riparata, nei suoi edifici e forme, che sia più decentemente fornita di libri, calici, illuminazione ed altri ornamenti ecclesiastici». E nonostante tutto, «concedeva 40 giorni di indulgenza, a quanti la visitassero, in tutte le feste della Madonna, della Santissima Trinità, delli Santi Apostoli; della Natività e Circoncisione, Epifania, Resurezione ed Ascensione di N. S. Gesù Cristo e nella festa della Dedicazione». Il citato documento ci parla della benedizione del Cimitero, ma con questo vocabolo crediamo vada inteso il sagrato, poiché nessun documento ci dirà, in seguito, di seppellimenti avvenuti su «quella zolla». Infatti dalla istituzione dei libri Canonici, 1600, fino al 1857 i morti venivano inumati esclusivamente presso S. Lorenzo in Monte, sul sagrato di Santo Stefano e di Madonna; presso S. Pietro di Avilla, avevano il privilegio della sepoltura poche famiglie del luogo. Alla stesura di questo atto, cioè della riconciliazione della chiesa e consacrazione del Cimitero, figurano come testi;«domenico haita di buia massaro della villa e valentino buiani curatore della predetta chiesa». di S. Bartolomeo. Nel 1723 avendo lamentato i Vicari «et intervenienti della Veneranda chiesa di S. Lorenzo», che Ser Zuanne et Angelo fratelli Piuzzi si siano fatti leciti di impiantar diverse sorte di legni attaccati al muro del Cimitero... e dalla parte di mezzo giorno una staleta di porci», il Cancelliere della Giurisdizione, invitava i trasgressori, «a levar di legni sicome hanco a demolir la staleta» entro tre giorni, altrimenti contro di essi fratelli si sarebbe proceduto,«anco criminalmente». A quale effetto abbia sortito la minaccia non lo sappiamo. Quarant'anni dopo il Vicario Ciali, Rettore di S. Stefano, chiedeva al Conte di Colloredo di «poter ingrandire la chiesa posta sulla sua proprietà». «Il Borgo d'Orsinins picolo di codesta Pieve di Buia tiene la chiesa di S. Bartolomeo, eretta su d'una collinetta podere di V. Eccellenza, questa per essere una spelonca, senza coro e senza sagrestia, come anco per essere angustissima, che dentro vi ponno appena capire cinquanta persone, il detto Borgo è passato alla deliberazione di volerla modernare, et ancora ampliare; per tal fine ha bel preparalo alcuni carri di calcina...». La concessione per i restauri e l'ampliamento non avrebbe recato «verun discapito, al Conte, perche «d'ogni intorno e restato infacondo, e li prodotti che si può sperare in detta circonferenza meschini». Probabilmente non si ottenne licenza di por mano all'ammodernamento e restauro di S. Bartolomeo poiché dieci anni più tardi, 1772, nella sua prima Visita Pastorale GianGerolamo Gradenigo, sollecitava «che siano imbiancate le pareti» e che fosse «restaurato ove abbisogna il coperto». Con ciò si capisce che non si erano usati, per la chiesetta, nemmeno quei «carri di calcina» dei quali si è parlato nel documento precedente!... Da qui note e memori si perdono per lungo volgere di anni. Dobbiamo infatti arrivare al 24 novembre 1853 prima di trovare un'altra ordinazione dovuta all'arcivescovo Giuseppe Luigi Trevisanato. Ed è, più delle prime, perentoria sul descrivere le condizioni pietose della nostra chiesa. Dice la nota: «che non si possa celebrare sull'unico altare sino a tanto che si siano provvedute le 3 tovaglie prescritte e la tela cerata; che la pietra sacra sia pi???????aprotondita, che sia meglio assestata la predella, che resti sospeso il messale additato dal Canonico Visitatore». Forse, quando nel 1857, l'antico sacello assumeva il ruolo di chiesa funerante, perché attorno ad essa era sorto «il Cimitero civile» del Comune, si era posto mano ad affrettati restauri che non valsero, come abbiamo visto, a darle prestigio e dignità. Né era possibile altrimenti. Erano quelli gli anni, o meglio il cinquantennio in cui la millenaria Pieve di Buia, dal suo letargo secolare, divenuta demograficamente una Cura fra le più grandi dell'Arcidiocesi, ammodernandosi nelle sue strutture, era intenta a darsi il suo vero volto; quel volto che oggi di lei vediamo... PIETRO MENIS |