Natale 2007 |
Ermes Taboga, "il mestri" di Mirella Comino |
Il "mestri" ci ha lasciato Non scriverà più su queste pagine, che erano lo spazio nel quale testimoniava il suo affetto accorato per la comunità di Tomba, la sua storia, gli eventi della vita di borgo e di Parrocchia. "Il mestri di Tombe" per tutti, "il maestro" per le centinaia di alunni che hanno ricevuto da lui gli strumenti di conoscenza indispensabili per affrontare la vita, "il Maestro con la M maiuscola" per i colleghi insegnanti, che gli riconoscevano la rara capacità di saper essere leader amico ed autorevole: non era necessario qualificarlo per nome e cognome, Ermes Taboga, per richiamarsi a lui. Portava con orgoglio quel titolo professionale che aveva sempre interpretato con passione e competenza, ai confini della missione culturale ed educativa. Quel titolo, oggi tanto sfilacciato da normative che lo costringono in ruoli di insegnamento sempre più specialistici, standardizzati ed impersonali, aveva mantenuto per lui il valore pedagogico e la creatività didattica del magister, colui che sa di avere la responsabilità irrinunciabile di proporre agli allievi percorsi di apprendimento, ma più ancora modelli di riferimento in termini educativi, culturali, umani. Prima la vecchia scuola di San Floreano distrutta dal terremoto, poi quella ricostruita di Avilla lo hanno visto interpretare questo ruolo per oltre 30 dei 35 anni di carriera, conclusa di malavoglia nel 1996 con il pensionamento. Il ritiro ufficiale dalle aule scolastiche non ne ha comunque segnato un distacco effettivo, avendo continuato ad essere "maestro" nel prestare generosamente il suo tempo ai ragazzi, ai colleghi insegnanti e agli adulti dell'Università della Terza Età per rendere accessibili e trasmettere i complessi segreti dell'informatica, che era stata una sua personale passione nata quando i personal computers muovevano i primi passi, divenuta poi competenza ad altissimo livello, quindi risorsa da rendere disponibile agli altri. Era ciò che per altro aveva fatto senza mezzi, ma con coraggiosa lungimiranza, fin dalla metà degli anni 80, quando aveva avviato una prima alfabetizzazione informatica con gli alunni della scuola di Avilla. I primi passi da maestro Era ancora un ragazzo quando aveva cominciato a prendere confidenza con il ruolo di docente, assistendo nelle attività di doposcuola gli studenti, di poco più giovani di lui, che frequentavano le scuole e il collegio dei padri Stimmatini di Gemona, dove per altro aveva ottenuto a sua volta la licenza di scuola media. Ma la vera e propria investitura all'incarico tanto atteso aveva preso consistenza nelle scuolette uniche pluriclasse, che negli anni 60 si annidavano ancora tra le montagne. Irraggiungibili se non a piedi e peggio che mai con la brutta stagione, erano il prezzo da pagare per cominciare stabilmente la carriera di maestro elementare: a lui toccò in sorte la Val di Lauco e ne fu conquistato come nelle storie dei cartoni animati, trovandovi tra l'altro quella metà del cuore con cui avrebbe formato la sua famiglia e condiviso l'intera vita, fino all'ultimo respiro. Di quelle lontane giornate, delle avventurose marce nella neve alta per raggiungere il paese prima del buio, della semplicità fragrante della gente e specialmente dei pochi alunni affidatigli aveva ricordi limpidi e vivi, spesso spassosi, che noi colleghi amavamo ascoltare dalla sua voce quasi impercettibile e soprattutto dal suo parlare acuto, capace di pennellare le descrizioni con efficacia fotografica e di commentare le situazioni con inimitabili punte di umorismo. "Le devi scrivere, quelle storie, altrimenti vanno perdute" insistevamo con lui, suggerendogli persino un titolo: "I racconti del maestro". Prometteva che l'avrebbe fatto...quando avesse avuto un po' di tempo. La sua professionalità Il tempo non gli era amico. Era una coperta sempre troppo corta per soddisfare tutte le necessità: quelle assolutamente prioritarie di fare scuola e di dedicare la dovuta attenzione a Rosellina, Rossella ed Alessia, le sue amatissime donne di casa, ma anche la detestata necessità di buttarsi giù dal letto in tempo utile al mattino, i conti della latteria, gli amici che chiedevano aiuto per un nuovo software, il servizio come assicuratore, che l'aveva aiutato ad arrotondare le prime magre entrate e che non aveva più abbandonato del tutto. E poi il catechismo, la Pro Loco, le iniziative culturali e ricreative per Tomba, l'UTE, la collaborazione con le associazioni e con chiunque gli chiedesse: "Ermes, potresti...?" Le sue lezioni scolastiche, dense di attività, di iniziative, di discussioni, di impegni, erano lo specchio fedele di tanta operosità e non di rado bisognava andare a sollecitare la sua classe perché, rimasta inascoltata la campanella di fine giornata, i ragazzi si sbrigassero a raggiungere lo scuolabus che li stava aspettando. Era sua precisa convinzione che il livello di difficoltà da proporre agli alunni dovesse essere sempre di un gradino più alto delle loro risorse in atto: un gradino solo, né di più, né di meno. Di più avrebbe reso incolmabile la distanza tra le loro capacità e l'obiettivo didattico da raggiungere; di meno li avrebbe abituati ad appiattirsi sui traguardi già raggiunti, spegnendo la tensione indispensabile a superare un passaggio più alto. Perciò il suo linguaggio e le sue richieste di prestazione erano graduali ma non sempre semplici, le correzioni essenziali ma rigorose, le valutazioni incoraggianti e tuttavia severe. Un umorismo fine e intelligente alleggeriva i vari momenti suggerendo un sorriso o abbozzando squarci di vita di classe che diventavano aneddoti pieni di arguzia. L'impostazione su cui fondava l'insegnamento valeva anche per il comportamento: ogni alunno doveva acquisire la consapevolezza che a scuola, come nella vita, bisognava sempre fare i conti con la responsabilità di impegnarsi per diventare migliori. Le famiglie ne erano adeguatamente informate e venivano messe di fronte alla richiesta esplicita di collaborare sostenendo il lavoro scolastico soprattutto con la puntualità dello svolgimento quotidiano di piccoli impegni domestici: poche righe di lettura e studio, indifferibili! Ed era curioso ascoltare i suoi scolari che, a ridosso delle operazioni di sistemazione dei banchi e degli zaini per l'uscita, quando in molte classi serpeggiavano motivate riserve per l'assegnazione di un minimo compito da svolgere alla fine di una giornata a tempo pieno, gli chiedevano spontaneamente: "Maestro, che pagina per domani?" E, ricevutane l'indicazione, si facevano precisare se dovevano "leggere, leggere bene o saper ripetere", cioè come e a quale livello di profondità affrontare il testo assegnato. La parabola dei talenti, insomma, era il punto luce pedagogico, metodologico e didattico che illuminava il suo lavoro: nessuno doveva poter essere tentato di trovare scuse per non aver fatto fruttare le proprie risorse. D'altra parte, era nato professionalmente sotto la legislazione del 1955, quando i programmi ministeriali- La sua fede disponevano che l'educazione religiosa fosse "fondamento e coronamento" di tutte le attività scolastiche. La successiva laicizzazione della scuola imposta dai programmi del 1985 non turbò, ovviamente, l'orientamento delle sue metodologie: rielaborati i contenuti sulla base della nuova normativa, i valori cristiani di promozione della persona e di collocazione della stessa al centro dell'attività didattico-educativa restavano intatti, semplicemente perché erano gli stessi valori umani su cui si fonda il meglio di questa nostra civiltà, che crede di poter fare a meno dei crocifissi alle pareti, dimenticando di avere acquistato dignità nella storia attraverso le radici culturali delineate da Cristo duemila anni fa. Anche la sofferta battaglia che nei primi anni 80 divise la scuola elementare di Buja contrapponendo una fazione ampiamente maggioritaria, favorevole al tempo pieno, ad un gruppo di famiglie che volevano per i figli l'orario classico di 24 ore settimanali, non gli impedì di tirare dritto per la strada dei suoi convincimenti fondamentali. Soffrì per le tensioni che si crearono tra scuola e famiglie e tra famiglie, fu amareggiato dall'esasperazione di certi toni, dovette far quadrare il cerchio con grande e intelligente dispendio di energie per far funzionare, proprio nella sua classe, i due modelli scolastici che avevano molti punti di incompatibilità organizzativa, ma non perse mai di vista la priorità assoluta del suo essere maestro: quella di aiutare a crescere i bambini nel rispetto dei grandi valori di ogni tempo. Memore, tra l'altro, dell'esperienza vissuta con i giovani ospiti del collegio degli Stimmatini, sapeva benissimo che non era certo la quantità delle ore passate a scuola o a casa a fare la differenza in termini educativi, e che ben più dannosa era la frantumazione dei rapporti umani in nome di quella che chiamava "l'arroganza del diritto". Anche quella bufera, comunque, gli passò sopra, lasciandolo sempre padrone di se stesso, di un equilibrio di modi e di ragionamenti che tutti gli riconoscevano con stima crescente. Il saggio coordinatore Non per niente ad inizio di ogni anno scolastico i colleghi della scuola "Maria Forte" lo pregavano di assumere l'incarico di coordinatore del plesso, mentre l'intero Collegio dei docenti lo votava regolarmente a maggioranze quasi "bulgare" nel ruolo di vicario del direttore didattico. E chi altri? Dopo aver affrontato lo storico appuntamento con l'introduzione dei Decreti Delegati che nei primi anni 70 videro la formazione degli organi collegiali della scuola, in quel ruolo sostenne alla grande e in prima persona i problemi dell'emergenza post-sismica. Con l'intera rete scolastica inagibile, si trattò allora di riorganizzare in tempi record lo svolgimento delle attività didattiche in due prefabbricati del Villaggio Brescia, predisponendo mezzi, trasporti, organico docente e non docente. A stretto contatto con gli amministratori comunali, e senza il supporto né formale né sostanziale di un direttore in carica, essendo che il titolare dott. Guerrino Zanoni era andato in pensione, "il maestro" lavorò giorno e notte. L'8 novembre 1976 il paese distrutto vedeva però rianimarsi la vita all'interno delle sue scuole, provvisorie ma efficienti. E nella scelta delle sedi scolastiche da progettare per la ricostruzione, "il maestro" non mise al primo posto i conti economici, né le razionalizzazioni che sembravano avere i numeri per imporsi sulla storia del paese con l'accentramento dei plessi. Considerò piuttosto quello che gli storici di oggi riconoscono come un bene culturale "di tipo orizzontale" cioè legato alla conservazione del tessuto sociale e della sua distribuzione geopolitica sul territorio. Sostenne allora, con la maggioranza consiliare che guidava il comune, la scelta di ricostruire anche le scuole "dov'erano, com'erano". Con i dovuti aggiornamenti tecnici e logistici, certamente, ma sulla base dello stesso principio didattico e pedagogico che assegnava loro la funzione di servizio e punto di riferimento locali nel vasto mosaico delle borgate di Buja, nate da una storia millenaria. Se tutto andrà come è nei desideri di alcuni insegnanti Un ricordo indelebile che lo hanno conosciuto, stimato e amato, la scuola, oggi Istituto Comprensivo, intitolerà ad Ermes Taboga l'aula multimediale della scuola secondaria di primo grado, cioè, per dirla alla vecchia maniera, della scuola media. È un riconoscimento simbolico che si propone di parlare al cuore dei ragazzi di tutto il paese che frequenteranno quelle classi nel percorso dei loro studi obbligatori. È un promemoria per spiegare loro che Buja ha avuto tanti personaggi importanti: pittori come Enrico Ursella, scrittori come Pietro Menis e Maria Forte, incisori, fotografi, scultori. E poi quel Maestro, che il 5 luglio di quest'anno ci ha lasciati nel ricordo, nella nostalgia, nella riconoscenza. Un Maestro così grande da meritarsi davvero, per quel che si può sulla scena precaria di questo mondo, una M maiuscola per l'intelligenza, la lungimiranza, la capacità, la serietà, lo spirito di servizio, la passione, l'affetto profondo con cui ha alimentato ogni giorno il suo lavoro. "...ed ora verranno le stelle" gli ha annunciato Martina, sua alunna, citando l'amatissimo Pascoli delle loro lezioni di italiano per dirgli l'ultimo grazie nella chiesa di Tomba. Un grazie che per mille e una ragione tocca il cuore di chissà quanti di noi. Un grazie a lui e a Colui che ci ha fatto il dono prezioso di metterlo sulla nostra strada.
(vedi anche INT DI TOMBE - di Ermes Taboga (BPN1994) - indice --- V ) |