DIARIO DI UN VIAGGIO IN INDIA - Capitolo 3
Lunedì 22 gennaio 1996 Quella di oggi è stata una giornata che non dimenticherò per tutta la vita. Siamo partiti di buon mattino da Hyderabad attraverso una strada talmente dissestata da non permettere una velocità superiore ai 50 Km orari. A mano a mano che ci si allontanava da Hyderabad, alle case in muratura si sostituivano casette di fango con tetti in paglia o rami di cocco. Nei villaggi più grossi il cortile era delimitato da grosse lastre di pietra conficcate nel terreno, alte circa un metro, che fungevano da divisorio fra le capanne. Durante il percorso un paesino si succedeva all’altro con cadenza quasi costante, e in tutti, ai bordi della strada, la scena era la stessa: si vedevano infatti capanne e tettoie adibite al commercio. Quattro pali sostenevano un tetto fatto di rami di cocco polverosissimi e scuri come la ruggine, nello spiazzo c’era di tutto, dalle capre alle galline, e decine e decine di maialini dal pelo lungo e scuro, dalle bufale alle mucche, che periodicamente invadevano la carreggiata e bloccavano il traffico. Nel mezzo decine e decine di persone, e tanti bambini al pascolo con gli animali, decine di carretti a due ruote alti circa un metro e mezzo e ancora gente, tanta gente, un vero formicaio. Sui carretti c’erano i venditori di verdura, cocco, mandarini, (molto più grossi dei nostri), che allargavano i loro prodotti a terra sopra dei teloni, l’impressione che si poteva trarne era comunque di gente che si dava da fare, che lavorava, che si muoveva (mai comunque con fretta), naturalmente sempre col sorriso sulle labbra. Il traffico era molto sostenuto, non dalle auto che sono una rarità, ma da centinaia di camion, che ai nostri occhi apparivano come dei reperti storici di antiquariato, ammaccati in ogni punto, con ruote che sembrava andassero ognuna per una direzione diversa, ma che comunque andavano avanti. Quando si guastavano, il che ovviamente succedeva spesso, dei sassi sulla strada circondavano l’area di sosta e riparazione. Verso mezzogiorno, passando nei villaggi, abbiamo visto diversi bambini con i libri sotto il braccio (legati da quella cinghia di gomma che usavamo anche noi ai nostri tempi) che tornavano dalla scuola che in molti casi è posta sotto un albero di cocco. Durante un sorpasso abbiamo rischiato un incidente e Redento ha commentato “Vioditu Celso...., i vin sbagliât dut, no i vevin di fa le sigurasion de machine, no che dal apparecchio!”. Poco dopo, quando eravamo al centro di un grosso villaggio, il nostro Taxi improvvisamente si è guastato, (sinceramente spesso ci eravamo chiesti, dopo i primi chilometri, quanto avrebbe resistito). Esteticamente l’auto era come quelle che si vedevano 50 anni fa da noi, tipo la “Balilla”, non molto pulita internamente (per essere buoni), i sedili erano protetti da un lenzuolo che originariamente avrebbe dovuto essere bianco. Il guidatore era costretto dalla disposizione dei comandi a guidare quasi schiacciato verso la portiera di destra e leggermente di traverso, tanto da lasciare ai viaggiatori posti sui sedili posteriori una visuale in avanti quasi perfettamente sgombra. Visto che l’auto non aveva intenzione di ripartire siamo scesi, improvvisamente siamo stati circondati da una marea impressionante di curiosi, tutti naturalmente con il sorriso sulle labbra. L’auto di Gianandrea non vedendoci arrivare aveva nel frattempo fatto marcia indietro e ci aveva raggiunti. Al sopraggiungere di Mirella, la curiosità degli abitanti del villaggio si è fatta ancora maggiore, probabilmente in quel villaggio dell’interno lei era la prima donna bianca che vedevano così da vicino. Con la coda dell’occhio li osservavo divertito, mentre allungavano il collo cercando di guardare il contenuto della borsetta; la loro era naturalmente solo curiosità, infatti non abbiamo avuto mai, benché attorniati da decine e decine di persone, la minima sensazione di paura o di timore che volessero derubarci. L’accorrere della gente aveva bloccato l’intera carreggiata e un autobus che non riusciva a passare suonava continuamente il clacson avanzando a passo di lumaca. Quando ci ha affiancato, Israeli, l’autista dell’auto di Gianandrea, ha chiesto all’autista del pulman dove fosse diretto e quindi, dopo aver trasbordato tutte le valigie sull’auto di Gianandrea, siamo saliti sull’autobus che fortuna ha voluto avesse tutti i vetri nei finestrini: era uno dei migliori che avessimo visto fino a quel momento. Ero appena salito quando una ragazza vestita di un bel sari, dai capelli nerissimi e lunghi, con in mano un paio di occhiali da sole, dopo aver liberato la sedia a lei vicina, mi ha fatto un leggerissimo cenno con gli occhi e chinando leggermente la testa mi ha invitato a sedere accanto a lei. Ero troppo preso dal paesaggio che vedevo fuori del finestrino e che probabilmente non avrei più rivisto, così ho fatto finta di niente e dopo aver depositato lo zaino su un sedile, sono andato a posizionarmi in testa alla corriera. Qui la visuale era ancora più bella, mi sembrava di vivere in una società della fine del milleottocento e se poi si toglievano la strada asfaltata ed i veicoli circolanti a motore, qualsiasi data anteriore poteva essere buona e ripetevo in continuazione a Carlo “Filme, Filme!!“. Man mano che andavamo avanti, il paesaggio era mutato da un terreno piuttosto arido, a una sempre maggiore quantità di verde a far da ala alla strada; ad un certo punto hanno cominciato ad apparire dei giganteschi e bellissimi alberi dai rami molto contorti, li avevo visti solo qualche volta in fotografia, a volte pareva di passare in una galleria dalle pareti verdi, il paesaggio era di una bellezza tale da dare delle sensazioni che non si riescono a descrivere. Se i giorni che seguiranno saranno come questo, penso che il viaggio che faremo sarà indimenticabile, penso che probabilmente a parte pochi missionari, pochi occidentali abbiano visitato questi luoghi. Il viaggio in autobus di due ore circa (cento Km) ci è costato 22 Rupie a testa (880 lire). In prossimità di un ponte l’autista si è fermato, è sceso e lo abbiamo visto salutare un signore vestito di bianco: era il Vescovo Jogi, che assieme a Gianandrea ci stava aspettando ai bordi della strada. Siamo quindi saliti su due macchine per percorrere non più di duecento metri, all’ingresso dell’arcivescovado sventolava uno striscione con su scritto “Benvenuti amici Italiani“. Abbiamo depositato i bagagli nelle camere che ci erano state messe a disposizione in un edificio attiguo all’arcivescovado. Sopra la porta di una camera c’era un cartello con su scritto : ”Gianandrea Gropplero”, lui ci ha spiegato che usa questa stanza frequentemente quando si sposta per andare a controllare i vari lavori che intraprende. Dopo aver pranzato con il Vescovo, Gianandrea ci ha mostrato quanto sta facendo all’interno dell’Arcivescovado. Sono a buon punto infatti i lavori per la costruzione di un seminario che ospiterà circa 200 novizi. Abbiamo così appreso che in India il lavoro pesante di manovale viene svolto dalle donne, che non si usano montacarichi o altro, ma tutto viene portato su un canestro posto in equilibrio sopra la testa; ad esempio, quando si deve fare un getto in cemento, una cinquantina di donne forma una catena e si passano i cesti. L’arcivescovado è strutturato in modo da essere autosufficiente, infatti poco dopo abbiamo visitato la campagna attigua, che viene coltivata da gente che vive all’interno della struttura e abita in costruzioni in cemento poco distanti. Più tardi siamo andati a fare un giro a Khammam che si trova a due chilometri circa dall’arcivescovado accompagnati da Victor, un simpaticissimo inserviente del Vescovo Jogi, che si spanciava dalle risate alle battute di Redento. Quando siamo scesi dall’auto sono andato ai bordi della strada per osservare meglio quanto stava facendo una donna che, scalza, con un cesto in equilibrio sulla testa frequentemente si inginocchiava, con la mano buttava qualcosa dentro il cesto, quindi si rialzava e proseguiva. Era sterco di vacca! A Khammam siamo andati da padre Melchiorre del PIME che guarda caso ha detto di aver conosciuto il padre Luigi Clarini parente di Redento missionario in Birmania, pure del PIME. Padre Melchiorre ci ha spiegato che i missionari del PIME, quando arrivavano ad evangelizzare, acquistavano un terreno, lo recintavano, quindi costruivano chiesa e scuole e coltivavano la terra rendendosi completamente autosufficienti all’interno della loro struttura. Mentre stavamo passeggiando per la cittadina è mancata improvvisamente la luce, ci hanno spiegato che la corrente, essendo scarsa, viene erogata a ore alterne nei vari villaggi. Stavamo camminando in una cittadina illuminata dalla luce delle candele tra una quantità enorme di gente che circolava per le strade buie e polverose. Siamo entrati in un negozio che, illuminato da un generatore, si presentava superiore aello standard medio, ci siamo fatti mostrare l’abito tipico indiano cioè il “Sari”, siamo stati condotti in una stanza con non meno di dieci commessi seduti sul pavimento. Redento ha preso un bellissimo Sari in seta per Indira. All’uscita Redento aveva cercato di fotografare un vecchietto, ma questi non era per niente d’accordo e si è messo rincorrerci. Ci hanno poi detto che se allungavamo dieci rupie probabilmente si sarebbe messo anche in posa. Comunque la passeggiata per il paese è stata interessantissima, per più di un ora siamo stati a vivo contatto di quello che è il vivere in un paese indiano. Avevo fatto notare a Redento lo stemma, falce e martello , che era posto all’inizio di un ponte, proprio vicino all’arcivescovado. Visto che non avevamo mai saputo che i comunisti fossero andati al potere in India, abbiamo chiesto spiegazioni a Gropplero. Lui ci ha detto che la regione dell’Andhra Pradesh, anni addietro, era stata retta da un governo comunista, che aveva fatto una cosa molta buona, per questi luoghi: aveva fatto la riforma agraria togliendo terreno ai latifondisti e dandolo alla povera gente. Infatti ci fu spiegato che in India una piccola minoranza di persone detiene la proprietà di una percentuale altissima di terreni, che vengono lavorati dalle classi più umili a salari bassissimi o dati in affitto, con percentuale sul raccolto. Rientrati nella diocesi siamo stati ospiti a cena dai seminaristi, sono circa una trentina, e il loro superiore è un giovane di 33 anni, una di quelle persone che capisci essere intelligenti solo guardandole negli occhi. Purtroppo noi non conosciamo l’inglese e così non abbiamo potuto scambiare che qualche monosillabo. Ero partito da casa con la certezza di fare cura dimagrante, e invece mi ritrovo ogni giorno più grasso. Ho notato inoltre che la quasi totalità degli indiani mangia servendosi esclusivamente della mano destra, facendo uso delle dita, alla richiesta di ulteriori spiegazioni, mi è stato detto che la mano sinistra non viene usata, in quanto adibita alle “pulizie corporali......”. Dopo mangiato, abbiamo preso con Gianandrea la “medicina”, dimenticavo di dire che stamattina è venuto a far colazione all’albergo il Ministro per salutarci e che quando è ripartito portava in mano un sacchetto che avrei scommesso fosse Whiscky (Gianandrea ci ha poi confermato la cosa): alla faccia del proibizionismo! Verso le 11 di sera avevo cominciato a chiudere gli occhi quando, a pochi metri da noi, si è messo in moto un generatore, probabilmente è mancata la corrente e il rumore era così fastidioso che ho riacceso la luce e mi sono rimesso a scrivere. La camera in cui ci avevano sistemati era veramente spartana, comunque molto pulita e il letto era fornito di zanzariera; a fianco inoltre c’era una scrivania con una lampada, che ho immediatamente utilizzato. |