DIARIO DI UN VIAGGIO IN INDIA - Capitolo 5
Mercoledì 24 Gennaio 1996 Oggi siamo partiti alle ore nove per il golfo del Bengala. Il paesaggio che si presentava ai nostri occhi, man mano che ci si allontanava dalla città di Vijayawada, era sempre più bello: sembrava di vedere le foto stupende dei depliant che pubblicizzano le Maldive. Alle dodici circa abbiamo visto estendersi davanti a noi il Golfo del Bengala, ci siamo fermati presso un istituto cattolico e Gianandrea ci ha spiegato che questo di Manginapudu è stato il suo primo intervento in India. Vi sono ospitati centocinquanta bambini dai quattro ai dodici anni circa che studiano e frequentano tramite le adozioni a distanza. L’istituto è posto a circa duecento metri dalla spiaggia, in mezzo sorge un villaggio di pescatori che visiteremo nel pomeriggio e da cui proviene la maggior parte dei bambini. Dopo aver preso un tè siamo ripartiti, siamo usciti dalla strada asfaltata, e dopo circa un’ ora di viaggio, fra paesaggi da sogno, siamo giunti in un villaggio più a nord di Manginapudu. Al centro del villaggio c’era una chiesetta e molte persone ci stavano aspettando sul sagrato. Ci siamo diretti verso un gruppo di capanne in mezzo alle quali, in un piccolo spiazzo, erano sistemate alcune sedie, siamo stati fatti accomodare e ci è stato consegnato un cocco tagliato in testa e con una cannuccia: ho potuto così finalmente bere il famoso latte di cocco. Due indigeni hanno poi preso una corda e facendo perno al centro hanno tracciato un semicerchio dove sono stati posti due grossi sassi. Abbiamo quindi di nuovo, dopo Gianandrea, dovuto rompere in segno propiziatorio delle noci di cocco, quindi Gianandrea con un palo ha dato l’avvio ai lavori di scavo di quello che avrebbe dovuto diventare un nuovo pozzo. Le prime foto che ho scattato hanno suscitato qualche diffidenza tra gli indigeni, poi con il passare del tempo non ci facevano più caso e qualche volta pareva si mettessero in posa. Mi è rimasto impresso il ricordo di una bambina che, stando in braccio a suo padre, il quale cercava di farla girare, non voleva assolutamente farsi fotografare. L’impressione che ne ho tratto non è stata diversa da quella che avevo in questi giorni e cioè di gente buona e disponibile, il cui unico difetto, se così si può chiamare, è una visione talmente fatalista della vita che ne blocca qualsiasi iniziativa di miglioramento. Siamo quindi rientrati alla missione e, dopo esserci andati a bagnare i piedi nel Golfo del Bengala, siamo andati a visitare il villaggio dei pescatori posto a poche decine di metri dalla scuola. Lo spettacolo è stato veramente raccapricciante, da alcuni giorni mi ero abituato allo sporco e all’incuria, qui però tutti i limiti erano stati oltrepassati. Entrando nel villaggio dalla spiaggia, ci siamo incamminati per una stradina che, passando tra un tappeto di immondizie ed escrementi, portava alle capanne. Erano diverse da tutte quelle viste finora, erano simili a degli igloo fatti di rami di palma, ai lati del sentiero si ergevano decine di queste capanne attorniate da rifiuti, ogni tanto, fra i bordi di qualche capanna e i rifiuti, si vedeva del pesce posto al sole a disseccare. Le capanne erano molto piccole e non riesco ancora a capacitarmi di come famiglie così numerose potessero viverci. I bambini dell’istituto, posto ai limiti del villaggio, erano figli in gran parte dei pescatori di questo villaggio e quanto fanno le suore e gli insegnati in questi luoghi, ha veramente dell’eroico. Con i nostri occhi abbiamo visto come, oltre a leggere e scrivere, vengono insegnate loro le più semplici regole igieniche, come lavare il piatto dopo mangiato, lavarsi le mani, tenere in modo decoroso il banco ecc. cose che per noi possono sembrare scontate, ma la cui importanza non si comprende appieno, se non si vede quale realtà stia alle spalle di questi bambini. Il viaggio di ritorno è stato stressante e rischioso, a causa di file interminabili di carri carichi di canna da zucchero trainati da buoi, che occupavano tutta la carreggiata. In senso contrario transitavano inoltre i carri di ritorno già scarichi, il pericolo era dato dai camion che sorpassavano indifferentemente a destra o sinistra, dove c’era uno spiraglio. Più volte ho urlato all’autista di andare piano, lui, si girava verso di me, mi guardava, naturalmente sorrideva e continuava come prima. Redento dopo un pò si è messo a sghignazzare e ogni tanto, dando una pacca sulla schiena all’autista gli diceva “himmer gerade haus” (sempre avanti diritto!) Strada facendo avevamo più volte notato delle fornaci di mattoni a cielo aperto, Redento mi spiegava che, a parte la cottura, il resto era simile a come veniva fatto da noi qualche decina di anni fa. L’argilla veniva resa più lavorabile da due bufale, costrette a girare circolarmente da un giogo, in una vasca con l’argilla che arrivava loro fin quasi sotto la pancia. Donne e bambini lavoravano agli stampi; con il mattone asciugato venivano quindi formate delle cataste che variano in altezza dai tre ai cinque metri, dove a uno strato di mattoni seguiva uno strato di paglia di riso, venivano lasciati dei respiri per l’areazione, e quindi veniva appiccato il fuoco che bruciava per circa una settimana, Alla fine il mattone era cotto e pronto all’uso. Altre volte abbiamo trovato la strada ingombrata da sterpaglie, che poi abbiamo saputo essere cereali, che venivano allargati sulla strada in modo che i camion passandoci sopra, svolgessero l’opera che noi chiamiamo di “trebbiatura”. Lungo la strada ci siamo fermati, avevamo infatti visto fermi in prossimità di alcuni alberi da cocco, alcuni uomini addetti alla raccolta e riconoscibili da un attrezzo che tutti portano, fatto a forma di arco molto ricurvo ( a U ) che serve loro per l’arrampicata. Redento, dopo aver dato a tutti e quattro delle rupie, ha chiesto loro se ci facevano vedere un’arrampicata. Ho così avuto modo di scattare alcune foto e di notare la velocità e facilità nell’arrampicarsi, usando una corda che unisce i due piedi e fa leva sul tronco, e l’attrezzo che ho citato prima, che una volta chiuso forma un anello tenuto all’altezza delle braccia. Rientrati a Vijayawada, ci siamo recati presso un’agenzia a fare i biglietti aerei che ci servivano per andare a Calcutta e quindi a Bombay. La sera, accompagnati da Anny, siamo andati a fare shopping, abbiamo acquistato dei vestiti e delle camicie, i prezzi per noi sono molto buoni; ad esempio scegliere la tela e farsi fare una camicia su misura costava 220 rupie (una rupia è pari a 40 lire) e se era di seta costava circa 30.000 lire italiane. Sono rimasto molto male quando una bambina, commessa nel negozio, che avevo scelto quale modella poichè aveva la stessa altezza di mia figlia Sara, non ha voluto saperne di accettare 50 rupie di mancia che le stavo dando. Probabilmente c’era una direttiva che lo vietava e questo mi ha un po' scioccato, poichè ero stressato dalle continue richieste di mance negli alberghi anche per un nonnulla, e quando invece ero io che sceglievo a chi darla ....... Nel negozio lavoravano moltissime persone: ho notato che ognuna aveva il suo compito, ad esempio alla cassa c’era chi scriveva il conto, chi disponeva i sacchetti della merce e chi controllava. Il tutto avveniva naturalmente con una lentezza esasperante per il nostro modo di pensare, tant’è che alla cassa sono persino riuscito a perdere la pazienza e ad alzare la voce, naturalmente non è cambiato nulla e le operazioni hanno continuato al solito ritmo. Verso le dieci siamo andati a pranzo e quindi a dormire. Questa è stata la sera più brutta passata finora, infatti appena arrivati in camera, fra le risate di Redento, ho dovuto schiacciare uno scarafaggio, con due lunghissime antenne che si aggirava per la moquette. La quale moquette non veniva pulita con un aspirapolvere ma, come ho avuto modo di vedere in una camera dove degli inservienti stavano facendo le pulizie, con un comune scopino rotondo, lungo cinquanta centimetri, identico a quello che tutti avevamo una volta appeso allo “spolêr”. La moquette non era attaccata al pavimento ma solo posata; malauguratamente, mentre Redento era al bagno, ho avuto la malaugurata idea di sollevarla e così facendo mi sono rovinato la nottata......... Appena uscito dal bagno ho chiesto a Redento se potevamo cambiare letto, lui mi ha risposto di si ma voleva sapere il perchè, me la sono cavata dicendogli che preferivo rimanere vicino alla finestra, ma in verità volevo allontanarmi dal bordo della moquette che avevo sollevato poco prima .... per portarmi al centro della camera. (Quando verrai a saperlo leggendo queste righe, potrai farti tutte le risate che ho evitato quella sera, qualora ti avessi detto la verità!) Oltre agli scarafaggi la camera era piena di moscerini che mi hanno costretto ad avvolgere la testa nel mio asciugamani lasciando fuori solo la bocca, credo di aver dormito pochissimo.
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