DIARIO DI UN VIAGGIO IN INDIA    -     Capitolo 6

FOTO CAPITOLO

INDICE

 

   

Giovedì 25 gennaio 1996

Ci siamo svegliati in anticipo, per causa mia, infatti abbiamo atteso il Taxi fuori dall’albergo per circa un’ora, un’ora che però ci ha fatto conoscere appieno la realtà in cui vive molta gente. A dieci metri da noi c’era un contenitore di immondizie, che nel giro di venti minuti è stato visitato da quattro persone, le quali dopo averci frugato buttavano quello che avevano raccolto in un sacco. 

Sull’altro lato della strada, qualcuno dormiva sul marciapiede, sotto le inferriate chiuse di un negozio, avvolto completamente in una coperta verde scuro; a un certo punto la coperta si è aperta e ne è uscita una donna molto anziana che, dopo essersi guardata un po' attorno, con calma ha raccolto le sue cose ed è partita. 

Una ragazza invece, aveva il compito di pulire gli ingressi dei negozi, con il solito scopino di segala (la scopa non viene usata o non è conosciuta); prima puliva e poi, con un gesso, faceva a terra dei disegni ornamentali. Passava da un negozio all’altro della strada, quando era passata davanti a quello in cui c’era la donna che dormiva, era andata diritta ed era poi tornata quando non c’era nessuno. 

Guardando in alto non si poteva non osservare esterrefatti certi pali della luce a cui erano attaccati decine di fili che andavano in ogni direzione, una vera ragnatela, che un colpo d’aria più forte del solito avrebbe probabilmente mandato in corto circuito. 

Siamo partiti alle otto e siamo giunti verso le nove a Eluru, ci siamo fermati all’Arcivescovado dove siamo stati accolti dall’arcivescovo John. Siamo ripartiti e ci siamo poi fermati in un paesino presso un distributore di benzina. 

Nel frattempo, sapendo che ogni lavoro in India aveva dei tempi lunghi, sono sceso dalla macchina e ho potuto osservare che a pochi metri da me, un bambino che non raggiungeva l’età di cinque anni, con una paletta stava allineando delle ciambelle rotonde e scure sul terreno; non capivo cosa fossero, solo guardando e annusando meglio, con uno sforzo di fantasia l’ho capito! 

Fatta colazione siamo ripartiti in direzione nord e, dopo due ore circa, siamo giunti in una località chiamata Chintalpudi. L'ultimo tratto di strada non era asfaltato, prima di entrare in un paesino abbiamo visto in lontananza della gente ferma sulla carreggiata, sulle loro teste c’era uno striscione con su scritto “Welcome Gianandrea Gropplero”. Ad attenderci inoltre c’era la banda, che ci ha accompagnato lungo il tragitto per circa 500 metri. Intervallati c’erano gli striscioni con il benvenuto per ognuno di noi. 

Siamo passati nel mezzo del villaggio fra capanne ben tenute, lo zoccolo rialzato del pavimento fatto di terra battuta era abbellito con dei disegni, di colore bianco, che ne seguivano il perimetro. Siamo quindi arrivati presso un edificio scolastico lungo una quindicina di metri composto da diversi stanzoni, tutto era pronto per l’inaugurazione: c’era molta gente sul terreno antistante la scuola, seduta sotto una grande tenda a forma di balaustra.  

Gli uomini erano posti tutti alla nostra sinistra e le donne a destra. Ho ancora davanti agli occhi una donna molto giovane che, seduta, stava tranquillamente ascoltando predicare il sacerdote e nel contempo allattava un bambino che teneva in braccio; la scena era di una tenerezza incredibile. Davanti a noi c’era un centinaio di ragazzi, tutti sorridenti, seduti a terra.

Il parroco, un indiano molto giovane, ha inizialmente tenuto un discorso in telogu quindi Gianandrea dopo aver pronunciato un breve saluto, sempre in telogu, ha tagliato il nastro inaugurale posto fra due colonne del porticato. 

E' quindi toccato a noi tagliare il nastro steso all’ingresso di ogni aula, dove poi sono entrati una miriade di bambini a cui abbiamo dato le caramelle. Anche qui Gianandrea lo chiamano “papà” e quello che sta facendo da queste parti sarà sicuramente ricordato a lungo. Mi ha colpito in modo particolare vedere il foglio con il discorso, che Gianandrea aveva poco prima pronunciato. Ai nostri occhi erano geroglifici, eppure lui, da pochi anni in India e alla bell’età di 74 anni stava cominciando, ci ha detto, a studiare quella lingua.  

Ci siamo quindi recati a pranzo e, percorso qualche chilometro di strada sterrata, siamo giunti presso una costruzione recintata che al solo vedere abbiamo capito essere stata costruita dai missionari del PIME, ricalcava infatti quanto padre Melchiorre di Kammam ci aveva raccontato.

La scuola era ancora piena di bambini che stavano seguendo le lezioni e diverse persone al nostro arrivo si sono avvicinate salutandoci prima com’è loro usanza a mani giunte, e quindi dandoci la mano.

Qui è successo un episodio che Redento penso non scorderà finchè vivrà, infatti fra tanta gente che ci salutava era giunto nei pressi di una vecchietta e ha allungato la mano per stringergliela; lei però si è immediatamente ritratta, mostrandogli con le mani dei segni che dipingevano il suo braccio. 

Redento ha subito capito che si trattava di un’intoccabile e, senza pensaci due volte, le ha preso la mano stringendogliela con forza fra le sue. Una delle cose che fanno dell’India un paese a dir poco anacronistico per il nostro modo di pensare è proprio questa, ossia la divisione della società in caste. 

Benché siano state abolite da Gandhi ormai decine di anni fa, resistono indisturbate al tempo e alle leggi. Le caste sono quattro, e rappresentano, in pratica, la divisione sociale del lavoro nel tempo in cui sono nate.   

Si dice abbiano inizio nel periodo che va dal 500 al 300 AC, partendo dalla più alta, quella dei Bramini, che in origine erano preti o insegnanti, quindi viene quella dei Chattrya (Guerrieri, .........una volta), i Vaisha (Mercanti), e i Sudra (Contadini). Dopo queste quattro viene la grande marea del popolo senza casta, Paria o altrimenti detti “Intoccabili”. 

I matrimoni naturalmente avvengono all’interno delle rispettive caste (che a loro volta sono divise in svariate ramificazioni) per cui un morto di fame (intoccabile) rimarrà tale non solo lui, ma le generazioni a seguire come quelle che lo hanno preceduto.

Come questo venga accettato non si capisce, se non si conosce un altro concetto sempre intimamente legato alla religione Induista e cioè la reincarnazione. L’induismo vuole che un uomo dopo morto rinasca più volte, superando vari stadi e anche caste fino a raggiungere la liberazione (moksha). 

A sentirlo così può lasciare indifferenti, ma in realtà condiziona tutto il modo di vivere indiano. Riporto un esempio che mi ha fatto Lorenza e che mi ha molto colpito, diceva:

 “......... Ho fatto quindi un po' di confidenza con i Medici che lavoravano all’ospedale, laureati bravi e preparati che con pochi mezzi e attrezzature fanno cose per noi impensabili. Comunque un giorno chiesi loro come mai ci fosse quell'indifferenza degli indiani anche verso i bambini, vestiti di stracci, denutriti che vivono ai bordi delle strade, come mai veniva accettato tutto questo con tanta indifferenza ? 

Mi fu risposto che in fondo erano i bambini stessi la causa di tutto ciò, in quanto se ora si trovavano in quelle condizioni era a causa della loro precedente vita in cui probabilmente erano stati dei criminali o altro ................

In poche parole per la religione induista l’inferno, come noi lo intendiamo, si sconta su questa terra. 

E andando avanti per sillogismi, si può aggiungere che non è colpa dei politici, se ad esempio si danno poco da fare per mutare le condizioni di questi poveretti, facendo più ospedali ecc. in quanto è comunque colpa loro della situazione in cui si trovano ......... e via dicendo.

L’istituto in cui eravamo rispecchiava quanto avevamo già visto negli altri istituti gestiti dai sacerdoti cattolici. Ci siamo seduti a tavola verso le tredici, come al solito il pranzo era fatto di “cose” che probabilmente sarebbero buonissime se non fossero così ricolme di peperoncino. 

Ad un certo punto ci hanno fatto assaggiare il contenuto di un intingolo fatto in casa, nè più nè meno di come facciamo noi la marmellata, che conteneva una sostanza così piccante, ma così piccante che non capisco che gusto ci trovassero oltre a questo.

Siamo andati quindi a fare un giro dell’istituto: passando sul marciapiede esterno alle classi, abbiamo potuto vedere tanti ragazzi di varie età che, seduti a terra in posizione joga, separati da una distanza di un metro l’uno dall’altro, stavano scrivendo su un bloc. 

Non erano meno di 50 per classe, ma il silenzio era tombale, stavano infatti facendo gli esami. Abbiamo quindi vistato l’orto, che naturalmente è coltivato dai giovani e non ci siamo affatto stupiti nel vedere che, se non la metà ....... quasi, era coltivata a peperoncino! I bambini che frequentano la scuola naturalmente sono tutti mantenuti con adozioni a distanza e la gran parte proviene da famiglie di intoccabili.

Qui imparano praticamente tutto quello che poi servirà loro nella vita: da come si coltiva in modo efficace la terra, a come si lavano le stoviglie, ecc. , cose che a noi sembrano scontate, ma non qui, dove una visione troppa fatalistica della vita porta all’accettazione del proprio destino (Karma) come conseguenza (o condanna) di quello che si è fatto nelle vite precedenti, unito alla speranza che così facendo ciò permetterà di rinascere sotto una migliore stella (Casta). 

La religione cattolica, diversamente, insegna a non rassegnarsi alla loro condizione e i risultati si vedono. Infatti i cattolici andando a scuola, imparano per prima cosa la lingua inglese, importantissima in India per qualsiasi tipo di impiego o lavoro, se a questo aggiungiamo che solo il 20 per cento dei bambini indiani frequenta una scuola, si capisce come mai i cattolici, che sono circa sedici milioni, il 4 per cento di tutta la popolazione, hanno di fatto un peso economico enormemente più grande.

Lorenza mi diceva che la quarta potenza economica indiana è rappresentata dalla chiesa cattolica, e devo dire che aver visto con i miei occhi come utilizzano i soldi che giungono loro dall’occidente, sarebbe da augurarsi che fossero la prima. Gianandrea mi spiegava oggi che in India non esiste l’invidia (sempre per il ragionamento che facevo prima .....) anzi, ad esempio, il ricco è benvoluto perchè vuol dire che si è comportato bene nella sua vita precedente ..... 

Riflettendoci su però penso che, se da un lato la mancanza di invidia sotto certi aspetti può essere positiva, è certamente molto deleteria sotto altri. Infatti una normale invidia (ad esempio vedere la casa del vicino ben tenuta), può essere positiva e servire da stimolo per portare ad un cambiamento, ad un miglioramento delle proprie condizioni.

Alle sette siamo arrivati a Vijayawada, Gianandrea dopo tante ore di macchina era molto stanco. Accompagnati da Anny siamo andati di nuovo a fare schopping e quindi siamo rientrati in albergo. La camera era piena di piccoli e fastidiosi moscerini e neanche lo spray che Mirella mi aveva abbondantemente spruzzato li faceva desistere; mi hanno fatto passare un altra nottata terribile.

 

 

FOTO CAPITOLO

AL  PROSSIMO  CAPITOLO