DIARIO DI UN VIAGGIO IN INDIA - Capitolo 9
Domenica 28 gennaio 1996 Siamo andati di nuovo a messa da Madre Teresa, finita la funzione lei si è posta all’uscita e, a ognuno dei presenti ha consegnato, dopo averla baciata, una medaglietta raffigurante la Madonna e un biglietto giallo che riporta in inglese le seguenti parole
Il frutto del SILENZIO è la preghiera Il frutto della PREGHIERA è la fede Il frutto della FEDE è l’amore Il frutto dell’AMORE è il servizio Il frutto del SERVIZIO è la pace
Madre Teresa Mirella e Carlo erano tornati all’orfanotrofio, mentre noi tre, guida alla mano, ci siamo recati negli uffici di un’agenzia che ci avrebbe portato ad una visita turistica della città con l’autobus. Raccontare quello che ho visto in questo ufficio è doveroso, poichè era qualcosa di talmente inusuale, da farmi dimenticare di scattare alcune foto, che sarebbero state sicuramente molto più esaustive delle parole. L’ufficio era posto al piano superiore di una palazzina che dava sulla strada, entrando si passavano alcune stanze dove erano accatastati diversi mobili, ripiani e divani, dalla polvere che vi era depositata si intuiva che erano lì da diverso tempo. Una scala abbastanza larga portava al piano superiore, sede dell’ufficio, lungo una ventina di metri, largo sette e alto circa tre. Una quindicina di scrivanie in legno vecchie e lorde, poste ad ala, a forma di “U”, lasciavano in mezzo un corridoio, alle spalle di ogni scrivania c’era un armadio in metallo forse grigio. Sopra gli armadi erano, alla rinfusa, accatastati dei libroni vecchi o almeno questa era l’impressione che davano. Avevano infatti lo stesso aspetto che prenderebbe un libro dopo essere stato sfogliato decine e decine di volte da un meccanico con le mani unte di grasso. Non mancava un dito di polvere e qualche macchina da scrivere, probabilmente non più funzionante che, se venduta in Italia come oggetto d’antiquariato, probabilmente avrebbe avuto il suo valore. I muri evidentemente erano stati dipinti una sola volta e i pavimenti, visti i volumi neri e carichi di polvere, che si trovavano accatastati anche fra un armadio e l’altro, era certamente da molto, ma molto tempo che non venivano puliti. All’ingresso della stanza c’erano poi tre piccole botti in plastica da trenta litri ciascuna circa, ognuna aveva il suo rubinetto e su uno sgabello posto sotto c’era un bicchiere abbastanza grande e dall’aspetto non molto invitante...... Lorenza ci ha spiegato che in India, è usanza che ogni ufficio pubblico sia fornito di acqua, ad uso dei cittadini, (probabilmente anche qua i tempi delle pratiche sono lunghi....) il guaio è che tutti bevono nello stesso bicchiere (ci indicò con il dito) e che nessuno pensa mai a lavarlo dopo l’uso! Un impiegato ci ha fatto i biglietti e siamo quindi partiti con un autobus il cui aspetto era abbastanza decente. Noi eravamo gli unici occidentali ed abbiamo avuto la sfortuna di andarci a sedere proprio sotto l’altoparlante che vomitava musica ad un volume assolutamente assordante. Questa è una caratteristica indiana, come ci ha spiegato Lorenza, ma il volume era così alto che alla fine abbiamo chiesto al “Cicerone” di essere spostati di sedia. Il giovane, che abbiamo saputo poi essere uno studente che arrotondava facendo quel lavoro per poter studiare, ha confabulato con i nostri vicini di sedia, che probabilmente erano meravigliati da una simile richiesta, ed è riuscito infine a farci traslocare in fondo alla corriera. Durante il giro abbiamo visitato un tempio Giansenista, piccolino ma molto ricco di pietre preziose, l’idolo centrale aveva un diamante in fronte grande come una mandorla. Giunti in un altro tempio ci è stato detto di togliere le scarpe e di lasciarle in corriera. Io però non ho seguito il consiglio, nella visita al tempio mi sono tenuto le scarpe in mano, il che è stato un po' fastidioso, ma non è stato niente a confronto di ciò che hanno provato Lorenza e Redento quando, usciti dal tempio, abbiamo dovuto ritornare alla corriera che era andata a parcheggiare duecento metri più avanti.................. Il tempio, o meglio, i vari templi che formavano questo complesso, era molto grande, bello e affollatissimo, non da turisti naturalmente, ma da fedeli che si recavano a pregare nelle varie cappelle dedicate a Siva, Visnù e molte altre divinità induiste. All’una ci siamo allontanati dalla comitiva che continuava il suo giro per tutta la giornata e, dopo esserci ricongiunti a Carlo e Mirella, nel pomeriggio siamo andati a visitare i giardini botanici. Abbiamo potuto vedere l’albero più grande del mondo (così dicono); è molto particolare perchè più che alto, è molto esteso, i rami dopo un po’ che si sono allontanati dal tronco, calano un ramoscello a terra, che a sua volta mette radice, e via avanti, di conseguenza si vedono decine e decine di tronchi a terra, che a loro volta hanno tutti un solo tronco di origine e i rami in comune. Purtroppo però il prato era letteralmente cosparso di cartacce. Guardacaso, il taxi che avevamo preso per il ritorno si è guastato mentre ci trovavamo in mezzo ad una piazza, siamo scesi pensando di saldare subito il conto e proseguire con un altro, ma l’autista tranquillamente ha fatto segno di aspettare e dal bagagliaio, che sembrava una piccola officina in miniatura, con chiavi e pezzi di ricambio buttati lì nel più assoluto disordine, ha prelevato quanto gli serviva. Nel tempo di pochissimi minuti ha sostituito la corda della frizione che si era rotta, ci ha quindi fatti risalire e portati a destinazione. Sul tardi ho telefonato a casa e ho avuto modo di salutare Sara e Betta; avrei voluto stringerle a me e raccontar loro quanto sono fortunate. A mezzogiorno siamo andati a mangiare in un ristorante, che la guida raccomandava sottolineandone il nome “Ristorante con cascata”, in realtà facevano correre dell’acqua fra alcuni sassi in un percorso obbligato e così ci abbiamo fatto sopra una risata. Ciò che maggiormente mi colpiva di questi ristoranti era il loro prezzo rapportato al tenore di vita del posto, ad esempio in questo abbiamo pagato circa trentacinquemila lire italiane che per noi sono una cifra normale o bassa per un pranzo, ma per un indiano rappresentano un mese e mezzo di lavoro di un operaio (è come se da noi ci fossero dei locali dove per un pranzo si spendono due, tre milioni....). Nel locale c’erano molti clienti che a me parevano tutti Indiani e questo mi meravigliava molto. Nel ristorante ci siamo presi tutti un bel raffreddore, non c’e stato verso di far spegnere il condizionatore, nonostante avessimo più volte protestato. La sera invece, siamo andati a bere il tè in un locale che ci era sempre raccomandato dalla guida con queste parole “Non potete partire da Calcutta, se prima non siete andati a prendere il tè nel vasto prato del ristorante ecc. ecc.” Il vasto prato era sì e nò di 30 mq, disseminato di moltissime piante, dove ci stavano a malapena tre panchine, in compenso migliaia di uccelli cinguettavano provocando un talerumore che sembrava impossibile pensare di trovarci nel centro di Calcutta. All’uscita dell’albergo dove ci eravamo sistemati stazionava una bambina che chiedeva l’elemosina ai clienti, aveva circa sette anni, capelli ed occhi nerissimi, aveva subito attirato la simpatia di Redento, che ne era contraccambiato. Appena uscivamo o rientravamo lo prendeva per mano e facevano qualche tratto di strada a piedi assieme, una sera è venuta con noi per un lungo tratto e con noi ha fatto una foto seduta sul “risciò”. E’ una bambina molto intelligente e a Redento gli si legge negli occhi che farebbe anche un debito per portarsela a casa, capisce al volo tutto quanto le dice in friulano. Domani mattina partiremo alle cinque per l'aeroporto, ci siamo fatti la doccia, sento Redento, che da qualche giorno ha qualche problema di stitichezza che chiuso nel bagno mi dice: “ Celso !!!!! tanta flautescenza e poca consistenza !!!!!!!" Più tardi Lorenza ci ha raggiunti in camera per salutarci, lei rimaneva a Calcutta ancora alcuni giorni. L’indomani infatti era attesa da una suora tedesca (dottoressa) che avevamo conosciuto all’orfanotrofio, e che l’avrebbe mandata in aiuto a qualche dottore che già lavorava in ambulatori mobili. |