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7.3 Antonio Vallisneri. Le scienze della terra in Italia nel XVIII secolo.

Nel terzo decennio del XVIII secolo, il medico emiliano Antonio Vallisneri assume un ruolo di primo piano in Italia tanto nella ricerca scientifica in campo medico biologico che in quello delle scienze della terra. Studia a Bologna, Venezia, Padova e Parma e ottiene la cattedra straordinaria di Medicina Pratica (nel 1700) e successivamente quella di Medicina Teorica (nel 1709) all'Università di Padova. Egli è spinto dal desiderio di riscattare la cultura italiana, le cui potenzialità vengono soffocate dalla mancanza di una solida realtà istituzionale e nazionale che ne promuova lo sviluppo, diffondendo tra gli studiosi il metodo sperimentale, rafforzando la comunicazione e la divulgazione scientifica nella penisola e promuovendo la creazione di un lessico univoco e standardizzato. Vallisneri si impegna nel confronto e nella divulgazione del proprio pensiero, attraverso una rete di studiosi di fama internazionale, con cui coltiva stretti legami epistolari, e presso le principali accademie scientifiche europee, ad esempio la Royal Society di Londra, o l’Accademia di Lipsia. I suoi sforzi non sono vani: diversi contributi dello scienziato vengono in più occasioni recepiti e apprezzati, permettendo alle sue idee di raggiungere i circuiti del dibattito scientifico europeo[1].

Ma uno scienziato come Vallisneri, che non rinuncerebbe mai alla propria posizione accademica e al suo rango sociale, è consapevole della necessità di evitare contrapposizioni frontali con le autorità ecclesiastiche per non incappare nella censura. Per questo, nel dare alle stampe le sue opere di carattere naturalistico, evita accuratamente di esporre in maniera esplicita teorie che siano nettamente in contrasto con quelle accettate dall’ortodossia cattolica, e in molti casi un’attenta dissimulazione consente la diffusione di concetti che altrimenti difficilmente oltrepasserebbero le maglie della censura, non univoca e statica nei suoi criteri, ma proprio per questo insidiosa e difficilmente interpretabile[2]. Ammissioni molto più esplicite possono essere ritrovate nel carteggio, in particolare nelle lettere indirizzate al naturalista svizzero Louis Bourguet, nelle quali parla tra l’altro del problema dell’effettiva età della terra[3].

La cerchia di studiosi con cui il Vallisneri è in contatto, ha forte interesse per il collezionismo naturalistico: i reperti sono oggetto di scambio, e tra questi i fossilia ricoprono un ruolo molto importante. Vallisneri se ne occupa fin dai primi anni della sua ricerca, ed è tra coloro che ne riconoscono da subito l’origine organica. A proposito di questi, egli esprime un’opinione che lo distanzia non solo dalle posizioni di molti altri studiosi, ma anche dalle teorie diluvialistiche comunemente accettate. Non soltanto, sostiene il medico, i fossili sono veri e propri resti di organismi viventi, ma le epoche in cui tali organismi sono vissuti sono antecedenti al Diluvio universale, e proprio nell’estrema antichità di questi reperti va ricercata la causa del loro ritrovamento in sedimenti consolidati. La conseguenza di questa supposizione è chiara: il mondo è ben più antico di quanto sostengono le cronologie desunte dal racconto biblico.

Interlocutore privilegiato di Vallisneri intorno al dibattito sul tema del Diluvio e dell’origine dei fossili, è Louis Bourguet, convinto sostenitore della teoria diluvialista. A costui, in particolare in una lettera inviata il 23 novembre 1718, il Vallisneri enuncia la teoria di cui si occuperà nel trattato De’ corpi marini[4].

“ Sig.r Ludovico mio stimatissimo, il mondo è antico più di quello che si crede.  Veggiamo nel giro di pochi secoli quante mutazioni si fanno sopra la terra, mutandosi gli alvei de’ fiumi, calando i vecchi monti e alzandosene de’ nuovi, essendo ora valli e mare dove era una volta la terra, o terra e campi dove era una volta acqua e mare.

(…) I terremoti, i vesuvii, le copie di pioggie alle volte smisurate, le gonfiezze e tempeste del mare, l’impeto de’ venti e simili fanno stravagantissime mutazioni.  (…) Tolta la fede che si deve alla Sagra Scrittura (…) chi ci assicura di questo universale Diluvio? I chinesi lo pongono in dubbio, e molte ragioni, ch’io adesso non voglio, né ho tempo d’esporre[5].”

“Le accennerò solamente ch’io tengo essere stato il mare naturalmente su’ monti, i quali una volta furono scogli, ne’ quali lasciò, fino dove giunse, le di lui spoglie e recrementi, ma che poi si ritrasse  per qualche terremoto, che aprì nuove vie e fece che colasse altrove, o per qualche diluvio particolare, che anch’esso abbia potuto mutare l’alveo antico in gran parte e rovesciare le antiche strade, facendone delle nuove. Sentirà un giorno le mie ragioni, colle quali farò almeno vedere essere più probabile e più naturale la mia maniera di spiegare gli antichi fenomeni, (…) che ricorrere al Diluvio universale (…). Questa è in generale la mia idea[6].”

A differenza della pressoché totalità dei suoi interlocutori in questo campo di indagine, Vallisneri non avverte la necessità di integrare la storia naturale con gli eventi narrati dal racconto biblico per spiegarne l’evoluzione. Lo scetticismo nei confronti del diluvialismo è motivato innanzitutto dalla priorità che riconosce al dato sperimentale: un sistema interpretativo deve innanzi tutto essere coerente con i fenomeni naturali osservati. Questa convinzione, che non esclude a priori lo sforzo di rendere le proprie teorie compatibili con l’ortodossia religiosa, caratterizza l’intera ricerca scientifica vallisneriana.

L’aspetto più delicato del suo sistema interpretativo consiste nell’individuazione delle cause naturali che hanno portato il mare sui monti e viceversa: per “fare che adesso arino i buoi, dove guizzavano i pesci, e guizzino i pesci, dove aravano i buoi[7]”, “io vorrei una cagion naturale, per non far metter mano a Iddio alla sua onnipotenza[8]”.

Intorno ai temi dell’origine dei fossili e del diluvio Vallisneri si professa scettico nei confronti della verità storica del racconto biblico, e questo atteggiamento trova la sua causa non soltanto nell’adesione al sistema leibniziano del migliore dei mondi possibili, ovvero all’idea di un creato perfetto e programmato fin dalla sua origine, non a caso accolto anche da altri scienziati (tra cui Bourguet) che sostengono il diluvialismo, ma per il peso esercitato dal dato sperimentale, che l’autore ritiene incompatibile con l’idea di un solo, universale cataclisma.

Consapevole dell’impossibilità di esporre un pensiero tanto esplicito in un testo pubblico senza incappare nella censura ecclesiastica[9], Vallisneri si sforza di adattare almeno superficialmente le proprie teorie  ad un messaggio compatibile con l’ortodossia religiosa. Da questo tentativo nasce negli anni successivi il trattato De’ corpi marini[10].

Nel proporre un modello alternativo che sia allo stesso tempo coerente e dimostrabile Vallisneri vuole evitare il continuo e a suo dire forzoso ricorso all’intervento diretto del Creatore per spiegare il corso degli eventi naturali. La soluzione scelta è quella di insistere nell’esposizione dei dati sperimentali, evitando di entrare nel merito delle controversie sulla verità storica Diluvio, e allo stesso tempo lasciando trasparire tra le righe le proprie supposizioni. Inoltre, rimarcare la natura miracolosa del Diluvio permette a Vallisneri di relegare l’evento nella sfera dell’imponderabile: pur risultando ambiguo nell’esposizione, è questa strategia che gli permette di esporre implicitamente le sue reali opinioni[11]. Se il mare ha ricoperto in passato le cime dei monti dove si trovano i corpi marini (i fossili), ciò non può essere spiegato che invocando due eventi fra loro opposti: o gli oceani si sono abbassati, o i rilievi si sono innalzati al di sopra di essi, o sono avvenute entrambe le cose[12]. Vulcani, terremoti e frane sono le forze che sono intervenute e intervengono tuttora sulla crosta terrestre, modellandola in superficie, ma lasciandola sostanzialmente inalterata nelle strutture fondamentali e nelle leggi che la governano. Conseguenza di ciò è che nei processi che determinano il mutamento della superficie terrestre, un ruolo fondamentale è svolto dal fattore temporale, non sarebbe concepibile una simile interpretazione qualora ci si dovesse attenere a una scala cronologica che non superi le poche migliaia di anni. Variazioni in apparenza insignificanti possono rendersi responsabili di sconvolgimenti enormi se le si osserva dalla giusta distanza, una simile interpretazione naturalmente ha bisogno di dispiegarsi attraverso una scala temporale infinitamente più ampia di quella desunta dal Genesi. Secondo la prospettiva vallisneriana dunque, gli sconvolgimenti provocati dal Diluvio non hanno influito sull’ordine della natura tanto profondamente quanto suppongono gli altri studiosi, anzi il Diluvio universale è al massimo una delle molte inondazioni che hanno colpito a più riprese la crosta terrestre[13].


[1] Luzzini F., Calando i vecchi monti, e alzandosene de’ nuovi. Le scienze della terra nel pensiero di Antonio Vallisneri, Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia della scienza, Università degli studi di Bari, 2009, pp. 181-183.

[2] Il censore nel Settecento è quasi sempre designato tra i dotti di più sicuro prestigio, e in particolare tra i bibliotecari. Nell’ispezionare i libri che vengono dall’estero trattiene quelli che definisce pericolosi o proibiti, e li ripone in una sezione riservata della biblioteca pubblica, senza che ci siano interventi o conseguenze da parte della polizia. Sia che il censore abbia ritenuto di respingere o correggere un manoscritto propostogli per la stampa, sia che abbia confiscato un libro, autore e destinatario non vengono inseriti in una lista di persone sospette. L’intervento della censura in questo secolo è circoscritto specificatamente al compito istituzionale di vagliare volta per volta quali libri far circolare o meno. Lasciando quindi margini di discrezionalità al censore anche in relazione alla sua preparazione culturale.

Con la Restaurazione i margini di discrezionalità si restringeranno rapidamente. L’esame dei libri da pubblicare si farà più rigoroso e per i libri già stampati saranno compilati liste e cataloghi di leciti e illeciti. A dirigere l’ufficio di censura verrà preposto un funzionario formatosi nella carriera di polizia, e per le valutazioni di opere particolari o in lingua straniera si ricorrerà a revisori esperti, preventivamente selezionati. Francesco Brembilla a Venezia, Bartolomeo Zanatta a Milano saranno per lunghi anni i responsabili della censura lombardo-veneta, ma non sono né si atteggiano a essere uomini di cultura. In Berengo M., Cultura e istituzioni nell’Ottocento italiano, pp. 74-75.

[3] Ibid., p. 176.

[4] Ibid., pp. 135-139.

[5] Vallisneri A., Epistolario, vol. III (1714-1729), a cura di D. Generali, volume su cd-rom, Olschki, Firenze, 2006, pp. 352-353.

[6] Id., Epistolario, vol. I, 1991, pp. 545-546.

[7] Ibid., pp. 583.

[8] Id., Epistolario, vol. III, 2006, pp. 126.

[9] La posizione mantenuta ufficialmente dalla Chiesa in merito alle controversie sull’effettiva età della terra non è comunque univoca, dipende in molti casi di volta in volta dalle personali convinzioni del censore preposto alla revisione delle opere a stampa e dal tono utilizzato dagli autori nell’esprimere le proprie idee, così come dal contesto culturale e sociale in cui tali idee vengono espresse.

[10] Il trattato intitolato De' corpi marini, che su' monti si trovano, sarà pubblicato a Venezia nel 1721. Luzzini F., Calando i vecchi monti, e alzandosene de’ nuovi, pp. 141-145.

[11] Ibid., pp. 148-149.

[12] Ibid., p. 161.

[13] Ibid., pp. 168-169.