Renzo Vidoni |
"Tolmezzo.... Tolmezzo..., Bitte... dove Tolmezzo?" Queste parole, queste suppliche, rimasero incise nella mia mente come fossero state scolpite nel granito.
Erano i primi di maggio del 1945. Pioveva a dirotto. La guerra, già terminata per il resto dell'Italia, si protraeva ancora in Friuli. Ogni momento si sentivano notizie più o meno vere, distorte ed esagerate di eventi che si susseguivano ad eventi. Euforia, contentezza, pianto... "Finalmente questa guerra è alla fine", si diceva ancora increduli... Una colonna inglese di carri armati, proveniente da San Daniele, si dirigeva sulla Provinciale verso Osoppo; l'avanguardia era già al bivio della statale Pontebbana. Contemporaneamente una colonna di 'Panzer' tedesca passava più a est, per Buia. Qui donne, vecchi, giovani e bambini facevano ala sulla via, battendo le mani, inneggiando: "Evviva i liberatori!" e gettando fiori... Qualche ragazza si lanciava per portare un fiore e un bacio ai 'liberatori' e stringere le loro mani... Ben presto i battimani e gli evviva si afflosciarono. Qualcuno si accorse che la colonna inglese che si attendeva, non era altro che un'armatissima colonna di "S.S." tedesca. Sul primo carro armato c'erano due giovani di Avilla, che tutti conoscevano: "Fanno da guida", bisbigliò qualcuno, "vanno verso Gemona"... Alcuni giorni dopo questi due giovani vennero trovati trucidati vicino al bivio della Pontebbana (la Statale che porta in Austria). Pioveva a dirotto. Alcuni aerei a due code sortivano guizzando da ogni spiraglio delle nubi, si sentiva il lugubre "tra-tra-tra" delle loro micidiali mitragliatrici: sparavano ad ogni cosa che si muoveva. La Pontebbana era ridotta ad un lungo cimitero di rottami fumanti... Pure sulla Via Tarcentina un aereo a bassissima quota passava e ripassava mitragliando. Un anziano contadino che cercava ostinatamente, malgrado il tempo così inclemente, di portare a termine l'aratura, era lì supino tra due solchi... Le sue mucche che trainavano l'aratro una morta e l'altra con una gamba fracassata guardava con i suoi occhioni languidi il vecchio padrone che giaceva sull' "agàr" (solco) impregnato di fango, arrossato, senza respiro… Tra gli steccati , una sorta di scaffali per mettere ad essiccare le fresche tegole d'argilla, si vedeva qualcosa che si muoveva. Dal di fuori non si distingueva bene cosa fossero queste ombre in movimento. Eravamo sulla strada Tarcentina, al crocevia e a poca distanza dalla "fornassate" (fornace di laterizi). Dissi al mio compagno: "Andiamo a vedere". Superato lo steccato, ostacolo che ci separava dallo spazio antistante la fornace stessa, si presentò davanti ai nostri occhi una scena da film... del film "Balalaika"....: "Sono i cosacchi", sussurrai al mio compagno. Superato il primo momento d'indecisione, o più che altro di sorpresa, presi immediatamente l'iniziativa: "Tavarish, tavarish... Corashò, corashò... Niente paura, noi non avere pistol..., no parabellum... Non paura, guerra finita... Krieg fertig..." ed aprii, per convincerli, il lungo pastrano della "luftwaffe" inzuppato dalla pioggia che mi appesantiva la schiena, girai su me stesso e così fece il mio compagno, per assicurarli che non eravamo armati. Ci trovammo davanti un bell'uomo, apparentemente un comandante, dai modi decisi ed eleganti. Portava un bel pastrano, le bandoliere dorate, il colbacco di astracan e parebellum a tracolla. La mano, libera dalle briglie del cavallo, l'aveva sul grilletto. Il suo cavallo, nervoso, era in continuo movimento: ora a destra, ora a sinistra, avanti e indietro, le sue gambe inquiete sembravano non voler rispondere agli ordini del suo padrone... Un vapore bianco usciva ritmato dalle sue narici dilatate, sembrava il vapore sprigionato da una locomotiva... I suoi subalterni, tre a cavallo e due appiedati, tenevano le briglie strette fra le mani, perchè anche i loro cavalli erano nervosi: forse anche loro intuivano l'incalzare degli eventi, chissà! I cinque cosacchi rivolgevano poche parole in russo ai loro cavalli, ma la loro attenzione era tutta per il loro superiore, mentre supplicava verso di noi: "TOLMEZZO... TOLMEZZO, BITTE"... "Tavarish, tavarish, guerra finita" risposi, e additando la torre del campanile aggiunsi: "venire con noi... là colonnello tedesco e suoi soldati, prigionieri e salvi nella Villa... Bitte, prego, venire con vostri uomini con noi...". "Dover andare Tolmezzo, must gehe nach Tolmezzo", mi rispose; "Tolmezzo, dove essere strada?" mi chiese con insistenza e visibile nervosismo. Io, gesticolando e balbettando un poco in italiano e un poco in tedesco, feci capire che le vie per Tolmezzo erano bloccate, perché una colonna corazzata di carri armati inglese era già al bivio della Pontebbana e sicuramente ostacolava la via per Tolmezzo, e per di più i "partizan" controllavano tutta la zona a nord di dove ci trovavamo. Rinnovai l'invito a venire con noi alla Villa, ma lui mi fece capire che doveva arrivare a Tolmezzo ad ogni costo. Sulla terra battuta della "fornasate", tracciai con un ramoscello il punto dove ci trovavamo e le due possibili vie che conoscevo per raggiungere Tolmezzo. Gli chiesi da dove venissero: "Da Udine", mi rispose. Con mia sorpresa mi porse la mano e, dopo un attimo di esitazione, le nostre mani si strinsero. I suoi compagni ci fissavano. Con un cenno ci salutammo: "Dobro, buona fortuna". Ci incamminammo. Mi accorsi che le mie mani sudavano. Prima di dileguarci oltre la curva, ci voltammo: erano già montati a cavallo, con i cappottoni spioventi sul dorso dei loro animali, i colbacchi d'astracan, le bandoliere dorate ed i parabellum a tracolla procedevano in fila indiana al trotto, accompagnati da una costante e gelida pioggia, si diressero verso Gemona. Mancava solo la "balalaika"! Ricordi da film della nostra infanzia. Oltre quarant'anni dopo questo episodio, precisamente nel 1986, mi venne tra le mani il libro, allora appena pubblicato, "The Ministers and The Massacres" di Nikolay Tolstoj. Nikolay, nipote diretto del più noto scrittore russo, Lev. Egli vive in Inghilterra da quando, giovanetto con altri parenti, riuscì ad espatriare dalla natìa Russia. Alcuni fatti esposti in questo libro, impossibili da conoscere prima d'ora poichè archiviati nelle casseforti e protetti dal segreto di Stato, sono stati solo ora resi noti al pubblico. Lo scrittore si dedicò con molta costanza e metodicità alla ricerca sui fatti dell'Armata Cosacca, creando controversie, poiché rivelò i nomi di molte personalità politiche e militari inglesi, implicate nella tragica fine di questa armata. Fin dal '50, quando presi la via dell'emigrazione, spesso mi sono chiesto che fine avessero fatto questi cosacchi. Ad ogni mio ritorno in Friuli non facevo a meno di indagare, interpellando le persone che avrebbero potuto darmi qualche risposta soddisfacente sulla fine di questa gente, venuta in Friuli durante la guerra. Ma le risposte sono state sempre vaghe e, spesso, confuse. Molti di loro, per non tornare in patria, si gettarono nella Drava, altri si suicidarono in altro modo: i russi li avevano massacrati, perché traditori; i partigiani, prima ancora che avessero avuto modo di raggiungere il valico per l'Austria, li avevano decimati, ecc. Queste risposte, senza valide documentazioni, stuzzicavano la mia curiosità fino ad ossessionarmi. Finalmente mi capitò tra le mani i libro di Tolstoj. Di come e quando i cosacchi arrivarono in Friuli, si sa abbastanza: molti hanno scritto di loro, molti ci hanno descritto quello che hanno fatto nel periodo della loro permanenza, eppure moltissimi non hanno che una vaga idea di che cosa si tratti, quando si parla dei cosacchi. In questi quarant'anni in Canada, conversando con i nostri connazionali di vari ceti e professioni, non ho incontrato alcuna persona che fosse al corrente di questi fatti. Nemmeno certi friulani del "basso Friuli", parlando dei cosacchi, sanno di che cosa si tratti. Se dico: "al tempo dei cosacchi, così e così", vedo sorpresa nei loro volti. "Ah, sì si, i russi, i cavallerizzi, i ballerini", "Ma i russi sono arrivati fino in Friuli?", "Nell'ultima guerra, i russi non sono arrivati fino in Italia!": queste sono le risposte che più comunemente mi vengono date. Ma i friulani della zona collinare e della Carnia che parlano dei cosacchi, sanno bene di che cosa si tratta, eccome...! Ed è questo che mi invoglia a portare questa importante e tragica pagina della nostra storia, a conoscenza di coloro che nulla o poco sanno in merito. |