HO  FAME   -    Capitolo 3

HO  FAME

 

 

Prigionieri degli ex alleati

Dentro di me ero convinto che prima o poi ci sarebbe stato un generale rientro in Patria. Con questi pensieri ed apprensioni è arrivato il fatidico 8 settembre, la data forse più infausta per l’Italia e più tragica per il nostro esercito. Il generale Badoglio aveva firmato l'armistizio con gli alleati, così ci siamo trovati a combattere, in terra straniera, contro i tedeschi, nostri amici fino al giorno prima.

In tutti noi c'era grande preoccupazione, non sapevamo cosa fare, eravamo senza ordini, soltanto qualche sottufficiale di grado inferiore era rimasto con la truppa, gli altri erano tutti scappati in Italia. Ciascuno di noi dovette decidere per proprio conto, secondo coscienza. Per quanto mi riguardava non intendevo combattere contro i tedeschi, ma neppure passare sotto la loro bandiera.

Pochissimi erano fuggiti o avevano scelto di combattere al fianco delle brigate partigiane greche. Contrariamente a quanto successo in Italia, noi, in terra straniera, nonostante fossimo rimasti senza ordini nè comandanti, siamo rimasti uniti, l'unità era, infatti, la nostra unica possibilità di salvezza.

Il giorno dopo l'armistizio, il mio amico Vittorio, che era falegname, mi ha chiesto di dargli una mano per costruire in fretta e furia, due bauli in legno, che avrebbero dovuto servire a un generale ................ Mentre stavo lavorando, sfortuna volle che un chiodo mi entrasse nella pianta del piede sinistro, dovetti ricoverarmi. Il chiodo aveva fatto infezione ed il piede mi faceva molto male. Il giorno dopo, è giunto all’ospedale un sidecar con a bordo tre ex alleati. Con modi rozzi e prepotenti, nonostante non intendessimo reagire in alcun modo, ci hanno fatto deporre le armi in mezzo al cortile e consegnare le munizioni.

Il 13 settembre, la mia Compagnia al completo, scortata dai tedeschi, ha raggiunto la stazione ferroviaria. Io invece, ricoverato in ospedale, ho atteso ancora quindici giorni prima di partire. In quel tragico momento sono rimasto solo, senza un amico, in preda a grande sconforto.

Domenica 26 settembre alle ore otto siamo partiti in camion per raggiungere Giannina e completare l'autocolonna. L'indomani siamo arrivati a Florina, dopo aver percorso 300 chilometri circa.

Il pomeriggio del 29 settembre, inquadrati e scortati dalle sentinelle tedesche, abbiamo raggiunto la stazione ferroviaria, dove siamo stati fatti salire su delle carrozze aperte, cioè senza tetto. All'inizio del viaggio ci avevano consegnato mezza pagnotta ed una scatoletta di carne. Viaggiavamo senza alcuna scorta, così abbiamo pensato che, se eravamo liberi di salire e scendere dal convoglio, giunti in Italia avremmo potuto scappare e raggiungere i nostri paesi.

In una stazioncina della Macedonia, dove il treno era fermo da circa un’ora, ho visto a una distanza di circa ottanta metri, un albero colmo di prugne. Assieme ad un compagno che neppure conoscevo, ho deciso di andare a fare un pò di rifornimento. Raggiunto l’albero mi sono arrampicato ed ho incominciato a riempirmi le tasche. Eravamo tutti presi dalla raccolta, quando ci siamo accorti che il treno stava ripartendo. Il mio compagno, che stava a terra, si è messo subito a correre raggiungendo facilmente il convoglio, mentre io, che mi trovavo sull’albero, mi sono lasciato prendere dal panico, ho perso parecchio tempo per scendere, alla fine con il cuore in gola, sono riuscito a stento ad aggrapparmi e a salire sull’ultimo vagone.

Il 2 ottobre siamo arrivati a Skopie, città macedone, lì ci è stata consegnata una razione di galletta ed una scatola di carne da dividere in venti persone.

Il 4 ottobre, a Belgrado abbiamo trovato di nuovo i tedeschi, i quali a furia di calci e spintoni ci hanno fatto salire su dei vagoni bestiame, che poi hanno chiuso con dei chiavistelli. In quel preciso momento la speranza ha lasciato posto alla rassegnazione. La sera, dopo aver consumato un po' di zuppa, una scatoletta di carne, un filone di pane da un chilogrammo e mezzo da dividere in venti persone, siamo partiti per l'Ungheria e non verso l'Italia.

Ognuno di noi è stato preso da gran malinconia e forte preoccupazione, nessuno poteva sapere quello che ci aspettava.

Il viaggio è stato massacrante, eravamo in sessanta persone ammassate in ogni vagone. Non era possibile nè muoversi nè coricarsi. A turno, uno su tre, si sedeva a terra, cercando di dormire o riposare, per quanto possibile. La situazione è diventata, poi, allucinante a causa dei bisogni fisiologici. Soprattutto nei primi giorni il fetore era indescrivibile, poichè eravamo tutti a stomaco pieno. Negli ultimi giorni, invece, l’odore era quasi scomparso, visto che non ci davano da mangiare….

Quando ci fermavamo in qualche stazione chiedevamo un pò d’acqua, infatti più i giorni passavano, minori erano i viveri che ci venivano dati. Negli ultimi cinque giorni di viaggio siamo stati lasciati completamente a digiuno e, se non fosse stato per il buon cuore ed il coraggio di alcune persone che trovavamo in qualche stazione dove il treno faceva sosta di notte, non avremmo avuto neppure un goccio d’acqua!

Il 6 ottobre, alle prime luci dell’alba, siamo entrati in territorio tedesco, chiusi nei vagoni come bestie da macello, senza poter scendere a terra, senza nè mangiare nè bere. Soffrivamo terribilmente la fame e la sete, ma bisognava resistere ad ogni costo.

 

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