LETTERE MINATORIE - Capitolo 3
Vista la distanza ed i mezzi di trasporto di allora, a Buja tornavamo solo il sabato sera in bicicletta, per passare la domenica con i genitori, che spesso all’arrivo mi consegnavano le lettere minatorie che ci erano state spedite: ne ricordo alcune che minacciavano di bruciarci la casa. In quelle notti spesso ricevetti visite da parte dei partigiani, era gente che non conoscevo, ma capivo che erano stati portati lì da quelli di Buja, che probabilmente per non farsi riconoscere restavano nascosti a pochi metri. Mi si rimproverava il fatto che lavorassi per i tedeschi. Avevo il mio daffare a far capire loro che, invece, spesso mi era capitato di aiutare o anche di far uscire di prigione delle persone, proprio grazie al lavoro che facevo. Diversi, infatti, erano stati i fortunati che grazie al mio intervento l’avevano passata liscia, dopo essere stati presi in orario di coprifuoco, magari mentre andavano a trovare la ragazza. Così era capitato a tre giovani che, alle cinque della mattina, vennero arrestati dai tedeschi mentre stavano uscendo da un campo di granoturco, ricordo che venni chiamato dal Comandante che voleva interrogarli. Dopo aver parlato con loro e saputo quanto era successo, cercai in ogni modo di convincere il Comandante che i tre giovani, che fra l’altro erano operai della Todt, erano andati a trovare le loro ragazze. Altri, invece, vennero arrestati perché trovati con le mani nel sacco a rubare nei cantieri, una volta ottenuta la libertà, questi si giustificavano dicendomi che in fondo era roba nostra, italiana, il che era vero. Era difficile far entrare loro nella zucca che, a ragione o a torto, in tempo di guerra per fatti del genere si rischiava di essere passati immediatamente per le armi. Un sabato sera a Buja alcuni partigiani volevano prelevarmi per processarmi, molto probabilmente il fatto di avere la moglie tedesca aveva messo loro una pulce molto grossa nell’orecchio. Cercai in tutti i modi di far capire che, con il mio lavoro, cercavo di aiutare quante più persone possibile... ma esasperato dalla loro ottusità fui costretto a minacciarli, a muso duro. Dissi loro che avevo già preparato una lista con su scritti i nomi di molti partigiani bujesi e che sarebbe stata consegnata al Comando tedesco. Capirono che non stavo scherzando. La lista di nomi esisteva veramente: l’avevo messa in una busta chiusa e consegnata da tempo ad un parente, con le istruzioni in caso ci fosse successo qualcosa. Da quel momento cambiarono atteggiamento e da aggressivi diventarono ragionevoli e se ne andarono poco dopo. In quel periodo, durante un rastrellamento, venne arrestato anche un ragazzo di Urbignacco, si chiamava Calligaro Nevio (poi missionario in Egitto, Togo e Congo), venne portato a Udine nelle carceri di via Spalato in attesa di essere deportato. Il treno diretto in Germania, nel tratto Gemona-Pontebba andava volutamente molto piano, su un vagone, oltre a quel ragazzo, c’erano altri buiesi fra cui Felice Celerino e Mario Bortolotti. Mario, appena fuori dalla stazione di Gemona, si mise subito al lavoro riuscendo ad aprire un foro nel vagone da dove molti scapparono prima ancora di arrivare a Pontebba. La fuga del ragazzo durò poco, perchè venne subito ripreso dai tedeschi in un posto di blocco e riportato in carcere, ma fortunatamente non capirono che si trattava di un prigioniero appena evaso. I suoi genitori, che conoscevo bene, vennero a cercarmi pregandomi di fare il possibile per liberarlo. Il tenente Hoffman, Comandante del campo di Risano, mi combinò un appuntamento con il Capo delle SS a Udine, Starnize, che aveva il suo Comando in via Treppo. Così il giorno dell’udienza, mia moglie ed io ci recammo a Udine. Entrati al Comando tedesco, vi trovai don Cautero, il Parroco di Madonna, che si trovava lì per gli stessi motivi e che inutilmente cercava di ottenere un colloquio. Alla fine il Comandante ci ascoltò, volle sapere della famiglia del giovane e ci disse che avrebbe acconsentito a liberare il giovane se fossimo stati disponibili a firmare un documento di garanzia sulla sua persona. Firmammo senza alcun timore e il giorno dopo il ragazzo fu liberato. |