A TRASAGHIS    -     Capitolo 4

NON POSSO DIMENTICARE

 

 

Nel ’45 a Urbignacco venne ucciso Calligaro Gino da un partigiano di..., non passarono tre giorni dal primo omicidio che, andando a lavorare, scorsi nella piazza di Madonna il cadavere dell’omicida. Seppi poi che i partigiani di Urbignacco si erano vendicati.

Un’altra donna di Urbignacco venne trovata uccisa sulle sponde del fiume Ledra. Era una brava ragazza che, conoscendo un po’ di tedesco, era colpevole di andare a lavorare come donna delle pulizie al Comando tedesco di Ospedaletto di Gemona.

Da parte mia avevo raccomandato a mia moglie di non  impicciarsi assolutamente di politica e di cercare di aiutare per quanto umanamente possibile tutti quelli che poteva, tenendo conto del fatto che noi saremmo rimasti comunque ad abitare in Italia, “Rapigiani” permettendo (era così che li chiamavo allora...).

Ricordo anche che un giorno fui chiamato al Comando delle S.S. a Udine, volevano sapere se conoscevo  tale... della frazione di...  Buja, che aveva perso la mano per lo scoppio di una “bomba” e si trovava ricoverato all’ospedale. Dai loro informatori avevano saputo che si trattava di un partigiano.

Raccontai loro quello che avevo saputo del fatto e cioè che non si trattava di una vera e propria bomba, ma di una penna esplosiva lanciata dagli aerei alleati ed inavvertitamente presa in mano. Dissi che non era vero che fosse un ribelle: faceva il contadino e non aveva nulla a che fare con i partigiani. Sapevo con certezza che era tutto falso!

Alla fine del ’44 il mio Comandante, tenente Hoffman, mi informò che era stato trasferito al campo Todt di Trasaghis.  Nel campo c’erano dei magazzini che contenevano ogni genere di materiale necessario al mantenimento delle truppe germaniche del luogo. Eravamo diventati amici e così mi chiese se volevo seguirlo, avvicinandomi a casa, cosa che accettai subito.

A Trasaghis c’era anche la Direzione dei vari lavori che la Todt aveva cominciato a svolgere nei comuni limitrofi, oltre che il punto di smistamento della manodopera. Qui era dislocato un gruppo armato di tedeschi comandati dal capitano Schulze, che avevano compito di sorveglianza e controllo affinchè i lavori venissero svolti regolarmente e con solerzia.

Per recarci al lavoro usavamo giornalmente la bicicletta ed è inutile dire che venivo spesso fermato da posti di blocco volanti, formati molto spesso da giovani partigiani. Ogni volta, con calma, era necessario spiegar loro che non era possibile vivere senza lavorare, che molti operai della Todt erano pure loro partigiani, che i miei genitori erano anziani e che, volente o nolente, era necessario che qualcuno portasse a casa la pagnotta. Messo in funzione il cervello, dopo un po’ ci lasciavano proseguire.

Venni più volte contattato dai partigiani buiesi che volevano ad ogni costo che sottraessi al campo materiale di vario genere, non si rendevano conto del pericolo che avrei corso poichè i tedeschi tenevano nota meticolosa di tutto quanto depositato.

I tedeschi punivano molto severamente coloro che rubavano materiale.

Ricordo che alcuni operai vennero presi con le mani nel sacco mentre cercavano di portare fuori dal campo un rotolo di filo di ferro da 20 chilogrammi circa, nascosto dentro una marmitta da campo che usavano per andare a prendere dell’acqua. Lo aveva chiesto un contadino che non riusciva a trovare in commercio il filo di ferro necessario per tendere i filari delle viti. Io avevo chiuso un occhio, sapevo del “prelievo”, ma subito dopo dovetti adoperarmi a  chiuderli entrambi anche con il soldato tedesco che puntigliosamente era andato a controllare l’interno della grossa (e pesante) pentola che stava uscendo dal campo. Qualche giorno dopo come ringraziamento mi fu recapitato a casa un sacco di grano.

 

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