.............  I TEDESCHI NON SCHERZANO   -     Capitolo 2

.............  I TEDESCHI NON SCHERZANO 

 

  La tessera   

Dopo lo scoppio della guerra incominciarono a circolare le “tessere” per comperare i cibi razionati, era così diventato necessario "arrangiarsi" ed essere un po' “furbi”. Per poter sopravvivere, ad esempio, non si portava tutto il latte in latteria, come la legge imponeva, oppure, si nascondeva parte del grano in un camino che non veniva usato, anziché portarlo all'ammasso. A far rispettare “le consegne” ogni frazione di Buja aveva un “Capo borgata” che teneva un registro su cui  riportava le proprietà e le disponibilità delle famiglie. C'era sempre il pericolo delle spiate, per cui, tutto doveva essere fatto di nascosto, guai ad esempio andare al mulino con un sacco di grano. La situazione, man mano che la guerra continuava, diventava sempre più pesante.

Dopo il ’43 noi contadini eravamo costretti a consegnare una mucca su tre. Gli animali dovevano essere portati all'ammasso a Tarcento, dove, come contropartita in denaro, veniva data una vera miseria. Lo stesso principio, ricordo, valeva per il grano, il formaggio, il lardo e per svariati altri prodotti.

Se il maiale che si allevava, superava il quintale di peso, alla spartizione si doveva far partecipare anche un’altra famiglia, se non si voleva andare incontro a guai!

Acquistavamo il caglio al mercato nero, per poter fare in proprio delle piccole forme di formaggio che chiamavamo "formadeut" (piccolo formaggio). Ricordo che le prime volte, a causa dell'inesperienza, i risultati furono scadenti, la pasta era troppo dura o al contrario troppo molle, perché la dose di caglio o la cottura non erano quelle giuste. Per evitare sgradite sorprese, ogni volta che in casa venivano fatti questi di lavori, una persona di fiducia doveva rimanere di guardia sul portone.

In latteria, dopo aver portato il latte, veniva riconsegnato un quarto di litro a persona. Noi nella stalla avevamo delle bellissime mucche, tutte di razza"pezzata rossa". Un giorno giunse l'ordine di portare una bestia all'ammasso. Avevamo anche un bel vitellino, che però non raggiungeva il peso minimo stabilito, mio padre decise comunque di tentare e, caricato l’animale su un carretto trainato da un cavallo, mi mandò speranzoso a Tarcento. Quando giunsi, vidi subito che la bestia aveva suscitato l'interesse degli addetti che, dopo averle fatto cerchio commentando positivamente le qualità della razza, non si posero neppure lontanamente la questione del peso mancante, anzi, mi rilasciarono un attestato che ci esentava per tre anni dal consegnare altri animali. Arrivata a casa, entusiasta raccontai tutto a mio padre, che mi disse:

«Mi raccomando non dire niente a nessuno

Quando i reduci rientrarono dall’Albania trovarono il mangiare misurato.

Ricordo che la sera alcuni amici di mio fratello Armando venivano da noi a bere un bicchiere di vino. Quando si mettevano a raccontare le esperienze fatte, dalle loro parole si capiva che erano stati costretti a combattere una guerra non "sentita" e condotta maldestramente, ……..  all’italiana.

Ogni sabato arrivava in paese un uomo ad acquistare pelli di coniglio e, dove non lo sapevano fare, faceva anche da macellaio. Finita la guerra un giorno mia madre gli offrì un bicchiere di vino, dopodiché cominciarono a  parlare delle vicende appena trascorse e della fame che molti avevano patita. Lui si mise a raccontare della sua famiglia e dei quattro o cinque figli che aveva. Allora mia madre gli disse:

«Ma come hai fatto a dar da mangiare a tutti?».

Dopo aver pensato se rispondere o meno, riprese:

«Quando ammazzavo un coniglio lasciavo sempre la testa attaccata alla pelle così, quando arrivavo a casa finivo il lavoro e mettevo tutte le teste a bollire, ricavandone un ottimo e sostanzioso brodo. Anche i vicini di casa mi chiedevano come facevo ad allevare dei figli così robusti ».

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