............. I TEDESCHI NON SCHERZANO - Capitolo 8
A Buchenwald Durante i rastrellamenti c'era sempre qualcuno che passava ad avvertire i renitenti alla leva perchè fuggissero nei campi. Una volta, mentre stavo uscendo dalla stalla con in mano il secchio del latte appena munto, vidi entrare dal portone un gruppo di soldati tedeschi. Spiegai loro che a casa eravamo solo mio padre, mia madre ed io. Ad un certo punto, uno di loro mi fece capire che voleva un po' di latte, andai così a prendere una scodella. Nel frattempo chiusero il portone per non farsi notare dagli altri commilitoni e poi, uno alla volta, incominciarono a bere fino a quando nel secchio non rimase più nulla. Mio fratello, dopo l’arresto, assieme ad altri bujesi fu mandato a lavorare prima a Tarvisio ed in seguito a Klagenfurt. Avevo conosciuto a quel tempo una signora austriaca che aveva accettato di recarsi nel campo di lavoro dove si trovava Armando, per portargli una valigia piena di ogni ben di Dio. Quando fu di ritorno, mi disse che mio fratello era fuggito e che anche lei aveva rischiato di essere arrestata. Purtroppo, Armando aveva fatto l'errore di non dare peso alle raccomandazioni del papà. Infatti aveva tentato la fuga durante i frequenti bombardamenti aerei, per aggregarsi ai partigiani titini che, si diceva, circolassero tra quelle montagne. I tedeschi, che avevano intensificato la sorveglianza, lo presero e lo spedirono nel campo di concentramento di Buchenwald, da dove purtroppo non fece più ritorno. Quando mio padre seppe che aveva tentato la fuga cominciò a urlare e a saltare dalla rabbia, Dio sa cosa gli avrebbe fatto se lo avesse avuto fra le mani in quel momento! Tentammo tutto il possibile per salvarlo, ma senza alcun risultato. Andai perfino a Fusine per chiedere al Comandante del campo di lavoro di Tarvisio, di intercedere presso le autorità tedesche in favore di mio fratello. Saputo dove il Comandante dormiva, al mattino presto mi misi ad aspettarlo, quando vidi l’automobile mi piazzai in mezzo alla strada, obbligandola a fermarsi o ad investirmi. Dopo aver abbassato il finestrino, l’interprete ascoltò la mia supplica e la tradusse al Comandante il quale gentilmente mi disse che avrebbe fatto quanto era in suo potere. Tentammo un approccio anche con il tenente Brondani, allora Comandante delle truppe dell’R.S.I. in quella zona, ma anche in questo caso non ci fu nulla da fare. Finita la guerra, dopo due mesi, un prigioniero del campo di Buchenwald venne a portarci la notizia della morte di Armando. Fu un dolore che si protrasse per molto tempo, a riaccendere la ferita ci pensavano anche le decine di vedove e di madri vestite di nero, che ogni giorno si incontravano per la strada. Soprattutto le mamme dei dispersi in Russia, ricordo, avevano gli occhi sempre arrossati dal pianto. La speranza è sempre l'ultima a morire. Infatti non del tutto convinti di quanto ci era stato riferito, spedimmo una lettera alla Croce Rossa Internazionale con sede a Ginevra, in Svizzera, chiedendo informazioni riguardo a mio fratello. Poco tempo dopo ci arrivò la risposta che confermava, purtroppo, quello che già sapevamo. Internato a Buchenwald nel novembre del ’44, Armando era deceduto in data 3 dicembre 1944 a causa di febbre tifoide. |