Capitolo 4  -  Partigiano

INDICE  "EVIDENTEMENTE  QUELLO NON ERA IL MIO DESTINO"

 

 

Partigiano 

In Collosomano, presso il Comando tedesco, lavoravano più di venti bujesi, tra di loro diversi erano autisti di camion che funzionavano a  gasogeno e che avevano bisogno di continua manutenzione. Molte persone venivano anche impiegate per tagliare la legna nelle dimensioni adatte per far funzionare questi particolari motori. Io, i motori a gasogeno, avevo avuto modo di conoscerli bene nel periodo in cui avevo lavorato a Udine. Il mio datore di lavoro Arrigo Barnaba, infatti, era proprietario di una “millecinquecento” che funzionava appunto a gasogeno ed io ero stato incaricato di studiarne il funzionamento per poterla controllare ogni giorno.

Ricordo che una volta mi fu ordinato di recarmi a Conegliano a prendere del vino. Ritornato a Buja staccai il rimorchio sulla piazza del mercato per poi salire in Collosomano a fare rifornimento all'automezzo. Appena arrivato alla pompa, visto il contenuto del carico, molti soldati si fecero avanti con dei secchi e prelevarono quanto poterono. Il giorno dopo, quando andai a consegnare le botti a Pontebba, mi accusarono della mancanza di molto vino, me la cavai dicendo che io non ero responsabile dei “prelievi” effettuati dai tedeschi! Nei giorni seguenti i lavori al Campo di Collosomano subirono una battuta d’arresto, i miei colleghi, infatti, erano costantemente alticci!

Lavoravo ancora a Buja quando una sera, verso le ventitré, partigiani di Treppo Grande appartenenti alla "Osoppo" vennero, per così dire, a farmi visita. Lanciarono un sasso contro la finestra, mia madre si affacciò e,  vedendo uomini armati nel cortile, chiese loro:

«Cosa volete?»

«Vogliamo parlare con Leo», rispose il loro Comandante.

Mia madre li fece entrare; il capo partigiano, parlando in italiano, mi disse:

 «Lei è Plos Leopoldo?»

«Sì»  risposi.

«Lavora con i tedeschi come meccanico, è vero?»

Risposi di nuovo affermativamente e lui continuò:

«Lei è sospettato di essere un collaborazionista ed io ho l'ordine di prelevarla, … ……  il nostro Comandante desidera parlarle».

«E dove intendete portarmi?» chiesi.

«Dalle parti di Faedis» mi rispose.

Allora cercai di far capire loro che, se io mi trovavo a lavorare con i tedeschi, era solamente perché l'alternativa era quella di andare a fare il militare oppure essere internato in Germania. Aggiunsi che, se volevano, sarei anche stato disposto ad andare a  fare il partigiano con loro, ma che, farmi passare per collaborazionista, era proprio un’assurdità!

A questo punto il partigiano, che probabilmente voleva solo sapere come la pensavo, mi disse:

«Bene, allora, rimaniamo d'accordo così, io riferirò quanto mi ha detto, ma mi rifarò vivo nel caso la sua presenza in montagna ci sia indispensabile».

Così se ne andarono.

Mi trovavo al lavoro il 13 settembre del 1944, quando molte decine di persone di Buja furono arrestate e portate in Collosomano. Era la rappresaglia seguita all’uccisione di cinque tedeschi, massacrati mentre si erano recati a portare il rancio ai loro commilitoni a Rivoli di Osoppo. In quell’occasione una trentina di Bujesi, dopo aver rischiato la fucilazione, furono deportati in Germania al lavoro coatto.

 

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