CON COERENZA - Capitolo 10
Salvo Galleggiavo nel buio ed incominciavo ad avere un po' di freddo, ma ero ormai sicuro di avercela fatta, dovevo solo resistere, qualcuno mi avrebbe certamente soccorso. Mi guardavo attorno nel timore che qualche barca potesse passare senza vedermi. Dopo parecchie ore notai un punto scuro che si ingrandiva sempre più, qualcosa si stava avvicinando: mi misi a urlare con quanto fiato avevo in gola, per fortuna mi sentirono. «Dove sei ?» urlavano, io incominciai a guidarli: «Avanti, più a destra» e così via. Giunti a breve distanza, mi lanciarono una corda, che però non presi perchè un’onda particolarmente grande mi allontanò di nuovo di una cinquantina di metri. Si riavvicinarono, questa volta afferrai la corda, ma non avevo fatto in tempo a stringerla fra le mani che incominciarono ad urlarmi: «Attento ... attento....» Non capivo di che cosa dovessi stare attento, ma sentii un’ondata sollevarmi, capii all’istante, allora mollai lo zatterino e, tenendomi stretto alla corda mi immersi in acqua, evitando così di essere sbattuto contro il cacciatorpediniere che mi stava salvando. Alle ore 5.15 ero a bordo, fui subito calato in una botola a poppa dove mi trovai in compagnia di una quindicina di “scampati”, fra cui Angelo Forte. Dovetti poco dopo risalire in coperta, il pane caldo ed il latte condensato incominciavano a fare il loro effetto purgante; appena risalito, chiesi ad un marinaio se ci fossero anche degli ufficiali sopravvissuti e avutane conferma, chiesi dove si trovassero, lui mi indicò la sala macchine. La nave da guerra era lunga circa novanta metri, ma era molto stretta e spesso delle grosse ondate la scavalcavano, mi avviai, quindi, gattoni verso la sala macchine. Appena arrivato là notai Ferrante disteso su una brandina. Quando mi vide esclamò: «Papinutto cosa ci fai qui ??» «Visto che lei non è venuto a riprendermi sono venuto qua io !» gli risposi ridendo, poi visto il mio colorito, senza darmi il tempo di chiedergli nulla mi disse: «Il gabinetto è da quella parte». Mi raccontò, poi, che il marinaio che guidava la barca, quando aveva tentato di venirmi a riprendere, aveva dovuto desistere perchè aveva rimesso anche le budella in seguito ad un incontenibile mal di mare. Il cacciatorpediniere continuò a perlustrare la zona fino al pomeriggio. Sul luogo giunsero anche un veliero, che recuperò quarantotto salme e due aerei che, volando a bassa quota, indicavano alle unità di salvataggio dove portarsi per il recupero. Uno di questi due aerei, volò così basso che un’onda lo colpì trascinandolo in mare e dovette a sua volta essere soccorso. Verso le sedici sbarcammo a Prevesa, in Grecia, io portavo addosso solo una camicia e la giacca che mi aveva dato un marinaio. I feriti furono portati in ospedale, noi, invece, fummo acquartierati in una scuderia, i nostri giacigli erano fatti di paglia. L’indomani, vigilia di Pasqua, dopo aver assistito alla sepoltura di una cinquantina di vittime del naufragio, Ferrante che da sempre era ben introdotto negli alti gradi militari, partì per Atene. Al ritorno portava con sè una damigiana di vino ed una botte di cognàc.
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