CON COERENZA - Capitolo 11
Nella foto .................... Luciano Papinutto. Registrazione effettuata da Armando Ursella il 28-3-1997 presso la sede A.N.A. di S. Daniele - in occasione della annuale Commemorazione dei caduti del Galilea.
Forse ci sarà la corte Marziale…. al diavolo gli ordini Vennero sbarcate poco dopo anche le quarantotto salme recuperate in mare e tutti dovemmo recarci all’obitorio per il riconoscimento. Buja in questa tragedia contò ben sei caduti, del Battaglione Gemona si salvò il 20 % della truppa, del nostro plotone ci salvammo poco più di una decina, in totale i morti furono 1200 circa. Il Comandante del cacciatorpediniere, Gerolamo Delfino, subì in seguito inchieste ed indagini rischiando la Corte Marziale, perchè, invece di proseguire a difesa del convoglio, disobbedendo agli ordini, si era fermato a raccogliere i superstiti. Comunque sia, la sua disubbidienza (premiata in seguito con una Medaglia di Bronzo) salvò circa duecento persone e molti anni dopo, quei duecento superstiti, si ritrovarono al suo paese, Varazze, in Liguria, per ringraziarlo per quanto aveva fatto. Intanto ci portarono vestiti nuovi e, per qualche giorno, debbo riconoscere che ci comportammo da gradassi: ci recavamo nelle osterie e, dopo aver consumato, visto che non disponevamo di soldi, consegnavamo un buono con su indicato l’importo e la scritta: “Paga Benito Mussolini”, lasciando agli osti il compito di recarsi poi al Comando, per farsi pagare il debito. Pensarono di rispedirci in Italia via mare; noi accettammo solo a patto che il trasporto fosse effettuato da un “veloce” cacciatorpediniere, il che equivaleva a dire di no! I superstiti del nostro battaglione furono quindi trasferiti a Nauplia sede del Comando di Divisione della Julia, dove per alcuni giorni ci fu permesso di fare i turisti. Prendemmo quindi il treno e incominciammo ad avvicinarci alla meta: prima Atene, Salonicco e poi su fino a Zagabria. A Postumia, inspiegabilmente, ci fermarono, ci fecero scendere e raggiungere a piedi una località posta a circa cinque chilometri dalla città per passare sei giorni di contumacia. Ferrante, che non aveva paura neanche del diavolo, ripartì immediatamente per Postumia, e dopo aver fatto le telefonate opportune, rientrò dicendoci: «Ragazzi, zaino in spalla si riparte». Tornammo alla stazione di Postumia, risalimmo sul treno e partimmo. Alle nove eravamo a Udine. Con alcuni alpini della mia zona presi il treno Udine-Gemona, ma arrivati a Tarcento ci trovammo attorniati da decine di mamme e papà che ci chiedevano con le lacrime agli occhi: «Dov’è mio figlio?». Fu un momento terribile e angosciante, non sapevamo cosa rispondere, quasi ci vergognavamo di essere sopravvissuti, mentre tanti giovani avevano perso la vita laggiù. Andammo a noleggiare le biciclette e alle undici del mattino eravamo al bar Tabeacco: quel giorno è terminata la mia avventurosa campagna di Grecia. |