CON COERENZA - Capitolo 13
Caposaldo “Buja” I tedeschi nel canalone non avevano effettuato alcuna fortificazione, quindi ci mettemmo subito al lavoro; creammo postazioni, rifugi e posizionammo i mortai in modo tale che fosse praticamente impossibile vederli. Li mettemmo in profonde buche, coperti con delle lamiere e del terriccio, ma pronte per essere aperte al momento di far fuoco. Viveri e patate non mancavano, col tempo scavammo anche una galleria lunga sessanta metri che ci portava al “Caposaldo Buja”; l’avamposto era munito di mitragliatrice pesante e tenuto dalla 69ª Compagnia. Fu un periodo di vera pacchia, il fiume che scorreva davanti a noi, per il momento rappresentava un limite invalicabile per i russi, inoltre avevamo viveri in abbondanza. L’unico problema era rappresentato dai tantissimi topi che infestavano le trincee ed i rifugi; così decidemmo di portare al fronte tre gatti del paese vicino, i quali ristabilirono subito l’ordine! Avevamo anche acquistato un porcellino che tenevamo chiuso in una buca fatta nel terreno, gli portavamo gli avanzi e, con occhio clinico, già pregustavamo i salami che più avanti avremmo potuto ricavare. Nella foga di vederlo crescere in fretta, però, commettemmo l’errore di dargli troppo da mangiare, così poco dopo si ammalò e morì, con nostro grande dispiacere ......... . Il mese di ottobre, insieme a Enore Viezzi e Angelo Forte, fui promosso sergente. I rapporti con la famiglia li tenevamo attraverso la posta: a portarcela a giorni alterni ci pensava Angelo Minisini di Madonna di Buia. I contatti con la popolazione locale russa erano, invece, scarsi, si limitavano a qualche baratto; ad esempio ricordo che una volta fummo avvicinati da alcune donne che pronunciavano insistentemente la parola «Sole..., sole…, sole… ». Noi non capivamo il senso, rispondevamo in friulano con il riso sulle labbra e indicavamo con il dito il sole. Finchè capimmo che si trattava del “sale”, così cercammo di accontentarle barattandolo con del burro. La gente non era ostile, potemmo constatarlo qualche tempo dopo, in circostanza per noi tragiche. Rimanemmo tranquilli in quelle postazioni fino al 18 dicembre, poi a malincuore, proprio quando il freddo cominciava a farsi sentire (28º sotto zero), dovemmo lasciarle alla Divisione Vicenza. I nuovi arrivati, erano disperati nel vedere ed occupare, le postazioni che noi, con tanto sforzo e buona volontà, avevamo costruito nei mesi precedenti e dove ci pareva di stare da signori. Raggiungemmo dapprima Saprina, quindi fummo subito mandati a tamponare la falla che si era aperta nello schieramento di difesa sul Don, in quei giorni le forze russe venivano momentaneamente bloccate dagli stukas tedeschi che passavano a decine sopra le nostre teste a bassissima quota. La sera in cui arrivammo a Seleni Jar, visto che eravamo senza olio per cucinare, sperimentammo l’uso del gasolio per cuocere del pesce; quando ci penso mi sembra di avere ancora in bocca quello sgradevole sapore! L'indomani partimmo, la nostra destinazione era la Val di Kulubaja, ma fummo attaccati da sette aerei russi che volavano a una quota così bassa che le bombe sganciate non avevano neppure lo spazio sufficiente per raddrizzarsi verticalmente, penetrare nel terreno ed esplodere. Quando raggiungevano terra, infatti, erano ancora in posizione orizzontale ed incominciavano a rimbalzare come fa un sasso lanciato radente sull’acqua di uno stagno. Il sergente Forabosco, per proteggersi si accucciò in un anfratto del terreno, una bomba rimbalzando andò a fermarsi a due metri da lui, quindi esplose. Uscì dalla buca nero come un calabrone gridando: «Papinutto i soi muart! I soi muart ! (Papinutto sono morto)», per fortuna a parte il grande spavento, non si era fatto neppure un graffio. Arrivammo quasi a contatto con i russi verso le due di mattina e ci posizionammo alla sinistra del Cividale, eravamo in una pianura che non presentava la benché minima possibilità di riparo, allora chiamai tutti e dissi: «Sentite, entro domani mattina dobbiamo riuscire a scavare delle fosse oppure saremo tutti carne da macello». Il terreno era come il cemento, durissimo e ghiacciato, ma passato il primo strato potemmo procedere in fretta. Rimanemmo immobili in quelle postazioni per tutta la giornata per poi riprendere gli scavi durante la notte. Ricordo che una sera ero stanchissimo, eravamo tutti sistemati all’addiaccio in ripari improvvisati. Nonostante il freddo intenso, ero riuscito comunque ad appisolarmi. Ad un certo punto cominciai a sognare, sentivo una rilassante e strana sensazione di calore, era così strana che mi svegliai di botto, accorgendomi che avevo cominciato a farmi la pipì addosso! Mi misi ad urlare e ad imprecare dalla rabbia, mentre dalle buche vicine qualcuno commentava a voce alta: «Papinutto è diventato matto !!!» . Il problema non era grave in sè, pensavo piuttosto che in breve tempo, il miei pantaloni si sarebbero trasformati in un crostone di ghiaccio! Per risolvere la cosa presi una scatoletta di lamiera, vi accesi un fuocherello e, tolte le mutande, le feci asciugare lentamente. |