CON COERENZA - Capitolo 15
Enore Viezzi (Medaglia d’Argento al valore) Quando tornai a casa, per diverso tempo, ovunque andassi mi sentivo rivolgere domande riguardo ai dispersi in Russia, molte persone anzi, più che fare domande chiedevano conferme ai loro sentimenti antitedeschi. «Ma è vero che i tedeschi tagliavano le mani agli alpini che si aggrappavano ai loro camion, durante la ritirata ?». Rimanevo molto perplesso e avevo la netta impressione che queste dicerie fossero state messe in giro ad arte. La mia risposta in questi casi era sempre la stessa, l’unica che potessi dare: «In tutto il mio peregrinare nella ritirata, nel viaggio di ritorno, nel periodo di contumacia, non ho mai sentito affermazioni del genere da nessun militare e non ho mai trovato un alpino senza mani per questo motivo». Certo i tedeschi erano prepotenti e quando si arrivava la sera in qualche villaggio, loro che marciavano sempre a ranghi compatti, sceglievano le isbe migliori, lo avevo visto con i miei occhi, ma non potevo affermare, cose che non avevo nè visto nè sentito. Trascorso il mese di licenza, ai primi di giugno del ‘43 rientrai al mio battaglione. Ci trovavamo a Santa Lucia di Tolmino quando ci raggiunse Viezzi, volle a tutti i costi rientrare al reparto nonostante la perdita dell’occhio. Viezzi lo conoscevo fin da ragazzo: era una delle persone più generose che avevo incontrato, da militare, poi, avevo avuto modo di apprezzarne il coraggio eccezionale. Aveva, però, difficoltà ad esprimersi e quando si metteva a discutere con qualcuno che, rendendosi conto di questa sua lacuna lo ridicolizzava, perdeva letteralmente le staffe e risolveva il tutto con un pugno. Questo difetto era fortunatamente compensato dalla sua grande bontà d’animo, pur di fare un favore ad una persona, sarebbe stato capace di qualsiasi sacrificio, mentre per sè non chiedeva mai assolutamente nulla. Quante sono state le persone che si sono salvate dai rastrellamenti e dalla deportazione per merito suo! Lui, infatti, sfidando ogni pericolo passava ad avvertire quelle famiglie in cui c’erano persone che si trovavano in situazioni di rischio; questo fatto è noto a tanta gente di Buja. Dopo oltre cinquant’anni, penso sia ora anche di scriverlo a chiare lettere, per rendere merito ad uno dei migliori uomini che io abbia conosciuto.
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