CON COERENZA - Capitolo 16
L’ 8 settembre In quel periodo, nella zona di confine nei pressi di Tolmino, già si era verificata qualche scaramuccia con le forze partigiane, probabilmente appartenenti al IX Corpus jugoslavo. L’8 settembre ero di pattuglia con altri due alpini, in prossimità del ponte che da Caporetto porta a Plezzo, eravamo rientrati verso le venti quando ci trovammo di fronte un alpino che, appena ci vide, tutto eccitato cominciò a gridare: «La guerra è finita! La guerra è finita!». Lo chiamai in disparte e dissi con calma: «Sei sicuro di quello che dici? Ti rendi conto di cosa potrebbe succederti se quello che dici fosse falso e ti sentisse un ufficiale?». Mi rispose ancora più eccitato: «Ma se laggiù, al bar, gli ufficiali si stanno ubriacando dalla gioia!». Scesi allora a Caporetto e mi recai nella trattoria che frequentavamo abitualmente, là constatai con i miei occhi che l’alpino aveva detto il vero. Chiesi ulteriori informazioni, ma siccome le libagioni proseguivano a gran ritmo riportai tutti alla ragione, dicendo: «Se domani troveremo davanti alle nostre postazioni un carro armato, che cosa faremo? Gli offriremo da bere?». Mi meravigliavo nel vedere tanti ufficiali esultare per quanto accaduto, mentre io, ero amareggiato nel vedere il mio paese tradire la parola data. Tornammo indietro. Trascorse un paio di ore venne dato l’allarme, con l’ordine di prendere posizione. Erano le cinque del mattino del 9 settembre. Gli ordini erano questi: sparare se i tedeschi avessero cercato di varcare il confine. Un’ora dopo arrivò il contrordine: avremmo dovuto “Salutarli e cantare ....”. La giornata trascorse fra ordini e contrordini, che si contraddicevano l’uno con l’altro, lasciando sconcertati noi graduati e abbattendo il morale della truppa, fortunatamente non ci furono scontri. In seguito ricevemmo l’ordine di appostarci a Sanguarzo, vicino Cividale, più tardi ci informarono che la Divisione Julia era stata adibita a funzioni di ordine pubblico. Durante la notte molti soldati abbandonarono i ranghi e l’indomani, con un camion, il tenente Pio Marelli ed io, partimmo alla ricerca dei fuggiaschi che conoscevo e sapevo dove abitavano. Quando li trovavamo facevamo loro un semplice discorso: «Guarda la situazione è quella che vedi e tu sei libero di fare quello che vuoi, non ti riporteremo certo a forza al battaglione, ma devi sapere che, così facendo, sei un disertore a tutti gli effetti, con tutto ciò che questo può comportare ….. ». Ricordavo bene che pochi mesi prima ero stato salvato da un uomo che aveva deciso di disobbedire agli ordini ......... Era sera, passato Colloredo di Montalbano stavamo per raggiungere Ara di Tricesimo, quando notammo un gruppo di alpini che camminava in senso opposto, solo quando ci furono vicini riconoscemmo, con non poco stupore, che erano i nostri compagni di reparto che, in massa, avevano rotto le righe ed ora stavano tornando tutti a casa ! Il tenente ed io ci guardammo negli occhi e decidemmo di fare altrettanto: facemmo dietrofront e in breve arrivammo a Buja. Ci preoccupammo innanzitutto di nascondere subito il camion e la mitragliatrice che avevamo sul pianale del veicolo, ma, passato qualche giorno, decidemmo di consegnarli nella caserma di Gemona. Fino a dicembre rimasi a casa, in quel periodo i tedeschi cercarono di tener occupati gli uomini facendo loro svolgere dei lavori: ripristinare strade, ponti o altro, con il chiaro scopo di poterli controllare ed evitare che andassero ad ingrossare le formazioni partigiane che stavano nascendo. Io stesso ricordo di aver prestato, in quel periodo, servizio di guardia alla linea telefonica dalla frazione di Sopramonte di Buja ad Osoppo.
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