CON COERENZA - Capitolo 18
Prigionieri Ci spedirono poi oltre Gorizia a presidiare la zona di confine, precisamente a Montespino, se non ricordo male eravamo in quindici fra cui Enore Viezzi e Brondani. Non avevamo fatto in tempo ancora a preparare alcuna postazione che subimmo un imprevisto attacco da parte di una formazione di partigiani delle brigate garibaldine triestine. L’intero plotone venne fatto prigioniero. Mentre marciavamo in direzione del Carso pensavo che, sicuramente, noi sottufficiali non avremmo visto spuntare il sole della giornata seguente. Fortuna volle che, il giorno prima, Brondani avesse raggiunto il paese di Montespino con dei sacchi di sale, merce rara a quei tempi e lo avesse distribuito fra la popolazione. La gente non poteva accusarci di nulla, in quanto l’avevamo aiutata per quanto possibile. Ciò, sicuramente, giocò un peso determinante sul nostro destino. Il giorno dopo iniziammo una marcia che ci portò di nuovo a Montespino, quindi passata Val Vipacco, raggiungemmo Selva di Tarnova. Fu una dura marcia, specialmente per Viezzi, che durante lo scontro era stato ferito da una scheggia al fianco e che continuava a venirci appresso nonostante il forte dolore. I partigiani, durante la marcia, ci raccontavano che a Selva di Tarnova, disponevano di depositi di munizioni e persino di un ospedale da campo, ma quando arrivammo constatammo con i nostri occhi che l’unica cosa di cui disponevano in abbondanza era la miseria. Noi li ripagammo con la stessa moneta, dicendo loro che eravamo entrati nell’R.S.I. solo perchè costretti a scegliere fra divisa e deportazione. Proseguimmo, così, fino a raggiungere le montagne che circondano Santa Lucia di Tolmino. Qui ogni giorno dovevamo sorbirci un’ora di indottrinamento politico, poi effettuavamo delle esercitazioni. Nell’ora di “dottrina” ci veniva spiegato il “paradiso” che il comunismo avrebbe portato nelle nostre terre. Tra di noi c’erano anche alcuni giovani che avevano studiato e che spesso chiedevano la parola per delucidazioni. Ricordo benissimo quando ci spiegarono il “Principio di eguaglianza”, al termine un nostro collega chiese la parola dicendo: «Mi scusi, le faccio un esempio per spiegarmi meglio: io e lei lavoriamo assieme, alla fine della settimana, ricevuto la stipendio, lei se ne va al bar, si ubriaca e spende tutti i soldi. Io, invece, vado a casa, me li metto da parte, dopo un mese sono in possesso di una cifra che mi permette di acquistare una bicicletta, o altro. Ovviamente lei non potrà farlo in quanto i soldi se li è bevuti. Quindi vede che realizzare il “Principio di eguaglianza” è impossibile? » In questi casi, quando non riuscivano proprio a trovare una risposta plausibile, preferivano cambiare discorso. Noi anziani, però, meno istruiti ma più saggi, cercavamo per quanto possibile di far tacere i più giovani, avevamo paura di compromettere la nostra situazione. In quel periodo, infatti, assistemmo alla fucilazione di due giovani triestini di 19 e 29 anni. Un sera ci condussero, mortai in spalla, sopra un cucuzzolo in prossimità di una postazione tedesca. Ci ordinarono di sparare alcune granate, ma i tedeschi risposero immediatamente al fuoco usando delle mitragliatrici pesanti antiaeree, i partigiani, allora, fuggirono lasciandoci soli sul campo di battaglia. L’indomani, il comandante dopo aver radunato tutti, redarguì pesantemente coloro che erano fuggiti ai primi colpi, portando noi come esempio di disciplina e coraggio. Cominciammo ad insinuare, fra un discorso e l’altro, che noi in Friuli, avevamo nascosto in abbondanza sia viveri che armi, cose che lassù scarseggiavano. La pulce nell’orecchio, con il passare dei giorni fece il suo effetto; fummo avvertiti di tenerci pronti alla partenza, lo spostamento sarebbe stato seguito da un Commissario Politico. Iniziammo, così, l’ennesima marcia che ci avrebbe riportati dalle nostre parti, percorrendo sentieri e mulattiere passammo nei pressi di Santa Lucia di Tolmino, quindi ci dirigemmo verso Pan di Zucchero, Monte Nero e lì vicino attraversammo l’Isonzo a guado, poichè il ponte era presidiato dalle truppe della “R.S.I.” del nostro battaglione. Viezzi, invece, approfittando del buio, si sganciò dalla colonna e, presa la strada normale, rientrò in caserma a Tolmino. (Documento 5) Proseguimmo con il Commissario sempre appresso, raggiungemmo Luico e da qui scendemmo verso San Leonardo; in questo tratto di sentiero, non so che cosa successe, ma il Commissario, che normalmente ci seguiva stando in coda alla colonna, scomparve. Seppi poi che era stato ucciso. |