CON COERENZA - Capitolo 8
L’affondamento del Galilea Il convoglio, formato da sei navi da trasporto e quattro cacciatorpediniere, era fermo nella rada di Corinto. Per quindici giorni ci furono ordini e contrordini di imbarco, finchè la sera del 27 marzo imbarcati su tre piroscafi (Galilea - Crispi - Viminale) partimmo alla volta di Patrasso. La sera del giorno seguente, completato l’imbarco, il convoglio puntò verso l’Italia, con un’ulteriore scorta aerea formata da due velivoli. La nave su cui noi del Battaglione Gemona eravamo imbarcati si chiamava Galilea, a bordo, c’erano anche sessanta prigionieri politici greci e numerosi bersaglieri che andavano in licenza, per un totale di circa 1600 uomini. Facevo il “caporale di servizio”, quando, verso le venti sentii delle potenti e sorde esplosioni, provocate dalle bombe di profondità lanciate dai nostri cacciatorpediniere, il frastuono fu tale che molti uomini, sistemati nelle stive della nave, si precipitarono in coperta spaventati. Il tenente Ferrante, che aveva già viaggiato con il Galilea al rientro da una licenza, ci disse di salire su una scialuppa per prelevare alcune scatole di latte condensato. Così Angelo Forte ed io, coperti di mantellina, effettuammo il prelievo ........ ci recammo quindi nella sua cabina e, dopo aver fatto sparire la cassetta di legno attraverso l’oblò, andammo al “forno” della nave ed acquistammo del pane, era caldo, appena fatto e così ci rimpinzammo. Verso le ventidue, un Sergente di Anduins prese il mio posto “di servizio”, lo salutai dicendo: «Sono proprio stanco, vado a buttarmi giù..., mi raccomando, se arriva il siluro, svegliatemi». Arrivato al mio cantuccio in coperta, che chiamavamo “passeggiata” proprio perchè normalmente era adibito a questo scopo, mi allungai fra il sergente Galante ed Angelo Forte che già si stavano appisolando. Stavo cercando di trovare la posizione migliore, quando ci fu un enorme boato che ci fece letteralmente fare un salto. La nave immediatamente cominciò a vacillare: prima si piegò da una parte e poi dall’altra inclinandosi di circa 45º sul fianco sinistro, era necessario aggrapparsi a qualche cosa per rimanere in piedi.. Le repentine inclinazioni, diedero a tutti la precisa sensazione che il Galilea sarebbe affondato subito. Le persone che si trovavano nella stiva, terrorizzate dall’oscurità in cui la nave era piombata, cominciarono a salire in massa in coperta per buttarsi in mare. Le guardavo con gli occhi sbarrati cadere le une sulle altre, molte finivano sbattute dalle onde contro i fianchi del piroscafo, che per una decina di minuti proseguì la sua corsa. Cosa fecero le eliche a quei poveretti non voglio neanche pensarlo. Riuscii a rimanere “freddo” quanto bastava per non fare l’errore di abbandonare la nave, mi ero, infatti accorto che, dopo lo sbandamento iniziale, si era stabilizzata, non sarebbe affondata subito. Mi portai, invece, in poppa. Da quel punto privilegiato di osservazione, vidi gente terrorizzata salire sulle scialuppe e, dopo inutili tentativi di calarle in acqua, tagliare con le baionette le corde che le sostenevano precipitando in mare. A causa delle grandi ondate che sbattevano sulle fiancate, far scendere le scialuppe era quasi impossibile. Forte ed io cominciammo a riflettere sul da farsi, dopo qualche tempo decidemmo di fare un giro in coperta. Giunti nel punto più basso, fortuna volle che scorgessi, nel chiarore della luna, Ferrante, che, “in pigiama”, stava per entrare in acqua, chiamai: «tenente Ferrante» «Chi è?» «Sono Papinutto» «Ah ! Aspetta che risalgo» disse. Assieme a lui mi riportai a poppa dove si era radunata una quindicina di soldati, fra cui ricordo Giovanni Buttazzoni di San Daniele e Vuaran di Codroipo. Vuaran, ad un certo punto, si mise a recitare il rosario, ma si fermò presto. Attraverso l’altoparlante, dal ponte di comando, ci venne raccomandato di mantenere la calma, l’SOS era stato lanciato via telegrafo e dai porti italiani sarebbero presto giunti rinforzi. Il tempo, che era stato brutto tutta la giornata, peggiorò, pioggia e vento cominciarono a farsi sentire, così indossammo le mantelle in nostro possesso. Cercavamo di guardarci in giro pensando al da farsi, quando, nell'oscurità, notammo una scialuppa ancora attaccata ai suoi sostegni, era occupata da due marinai dell’equipaggio un pochino alticci che stavano armeggiando nel tentativo di calarla in mare. Alla nostra richiesta di condividere quel provvidenziale mezzo, non ne vollero sapere tanto che dovemmo costringerli con la forza.
Gino Lostuzzo. - Deceduto nell’affondamento della “Galilea”
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