AL FRONTE NON CI TORNO   -     Capitolo 10

LASSU' CE N'E' PER TUTTI

 

 

I tedeschi attaccano

  Il tempo passava e lassù in montagna il morale stava scendendo, eravamo certi che l'arrivo delle truppe anglo-americane, sarebbe stato questione di pochi mesi, ma le cose andavano maledettamente per le lunghe. L'inverno era di nuovo alle porte, con tutti i problemi che ciò comportava, soprattutto le formazioni, diventate ormai numerose, erano costrette spesso a dormire al chiarore delle stelle.

L’8 settembre del ‘44 ebbe inizio l’offensiva tedesca sostenuta da ingenti forze di artiglieria e da carri armati, gli scontri si protrassero a lungo. Quel giorno ci svegliammo al rumore di un lontano e martellante bombardamento. La nebbia, che si era alzata, ci impedì di capire cosa stesse succedendo dalle parti del Cansiglio da dove ci sembrava provenissero i colpi e dove, una grossa formazione garibaldina, la “Nannetti” formata da tremila uomini circa, era ripiegata dalle zone di Valdobbiadene e Pieve di Soligo.

Decisi allora, d’accordo con “Tribuno”, prima di far muovere le nostre formazioni, di andare a dare un’occhiata. Avrei impiegato, fra andata e ritorno, una giornata.

Partii per il Cansiglio portando con me un compagno e, passando per il Passo del Tremoli, l’unico punto in cui l’accerchiamento tedesco non si era ancora chiuso, raggiunsi il Comando della formazione partigiana. Si erano resi conto di essere stati accerchiati, quando mi vide il Comandante mi disse che forse avrebbero ripiegato sulle nostre posizioni del Piancavallo.

Visto che le cose lì, si mettevano male, decisi di ritornare immediatamente sui miei passi. Nei boschi il terreno dove erano cadute le bombe era tutto pieno di buche e le piante presentavano squarci a causa delle esplosioni, lo spettacolo era veramente da inferno dantesco. Riattraversai il passo ed, arrivato in prossimità del monte Tremoli, mi stupii nel veder venirmi incontro gli uomini della mia formazione che, attaccata dai tedeschi sul Piancavallo, era stata costretta a ripiegare.

Le sentinelle, poste a guardia nella chiesetta subito dopo il paesino di Monte Reale, mi riferirono che la nebbia era così fitta che si erano accorti del passaggio dei tedeschi solo quando erano ormai alle loro spalle.

Feci dietro front e mi riportai con i miei uomini, una ventina circa, di nuovo verso il Cansiglio. Appena arrivato avvertii i Comandanti che la sperata via di fuga verso il Piancavallo era ormai saltata.

Fu subito indetta una riunione dei Comandanti delle formazioni a cui fui invitato anch’io. 

Si era ormai fatto buio, ragionammo su tutte le possibili soluzioni e, constatato che nessuno conosceva la Val Gallina, unica possibile via di ripiegamento nella notte, giungemmo alla conclusione che ci rimanevano due sole alternative: o attaccare frontalmente a ranghi compatti i tedeschi, magari vincendo il primo scontro, ma ben conoscendo l’esito finale, oppure formare dei gruppi di una decina di uomini cercando di passare fra le maglie nemiche per poi disperderci. Optammo per quest’ultima soluzione, così, con alcuni dei miei uomini, mi incamminai in un canalone dove, mimetizzandoci tra gli alberi, raggiungemmo senza essere visti il ponte sulla strada che porta al Cansiglio. In due giorni, a marce forzate, arrivammo vicino a Vittorio Veneto. Eravamo rimasti solo in due, in quanto gli altri sei partigiani che risiedevano nella zona erano tutti rientrati nelle loro famiglie. Un mattino, arrivato in un piccolo paese, chiesi dove potevo trovare un sarto, infatti avevo addosso una specie di divisa militare che mi impediva di circolare senza correre rischi. Lo trovai, così mi feci fare un vestito che fu pronto per quella sera stessa.

A Motta di Livenza incontrai per strada, per puro caso, una giovane che tempo addietro aveva svolto il compito di “corriere”, inizialmente fece finta di non riconoscermi, poi rimase un po' sulle sue. Questo fatto mi insospettì al punto che decisi immediatamente di lasciare la zona.

Proseguimmo la marcia fino a raggiungere le Paludi delle Sette Sorelle dove “Veneziano” (Fortunato Mozzon), a sua volta distaccatosi dalle formazioni in montagna, aveva organizzato dei nuclei di partigiani sulla costa.

Da “Veneziano”, rimanemmo circa dieci giorni, pernottando in casere e casoni, poi, munito di un Ausweis (lasciapassare) trafugato nei Comandi tedeschi della zona, con una bicicletta ripartimmo verso Claut, che raggiungemmo tranquillamente senza mai essere fermati, anche se io mi presi una tremenda bronchite.

A Claut trovai “Tribuno”, lo informai dell’accaduto e, visto che stavo malissimo, gli chiesi di poter andare a casa per qualche tempo per rimettermi in salute. Inforcai di nuovo la bicicletta e partii verso Buja; arrivato a Pinzano, deviai verso il greto del Tagliamento poichè il ponte era presidiato dai tedeschi ed il mio lasciapassare non era più valido. Stavo per raggiungere il fiume, quando mi trovai improvvisamente davanti un Maggiore tedesco che, appoggiato ad un albero, stava chiacchierando con una ragazza. Mi feci coraggio ed andai avanti, arrivato vicino a loro dissi che dovevo andare a casa, ma che essendo privo di Ausweis, se fossi passato per il ponte mi avrebbero arrestato ..........

La ragazza tradusse in tedesco quanto avevo detto ed il Maggiore, dopo aver fatto una risatina, mi indicò dove dovevo guadare il fiume. Raggiunsi così un paesino a sud di San Daniele e proseguii senza altri intralci verso Buja, dove rimasi per alcuni giorni a letto per riprendermi.

 

 

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