AL FRONTE NON CI TORNO    -     Capitolo 5

LASSU' CE N'E' PER TUTTI

 

Dalla voce di Mattia

 

 

Per noi non c’era posto  

Una sera arrivammo stanchissimi in un villaggio e ci mettemmo subito alla ricerca di un’isba in cui poter riposare per alcune ore. Tutte erano stracolme di soldati, finchè entrammo in una occupata da tedeschi dove c’era ancora un pò di posto, ma appena fatto qualche passo oltre la porta ci bloccarono e cacciarono fuori come dei cani rognosi. Ci allontanammo per non destare sospetti, ma dopo qualche minuto, ritornai sui miei passi. Giunto sul retro della casupola presi un fiammifero e diedi fuoco alla paglia del tetto, poi mi allontanai quel tanto che bastava per vedere i tedeschi che scappavano precipitosamente.

Durante la ritirata, per fortuna, a differenza di molti, non ho mai patito la fame. Quando la colonna passava al limite di un villaggio senza fermarsi, uscivo dal gruppo e mi recavo nelle case a chiedere se avevano qualcosa da darmi da mangiare.

Ero convinto che, se ci andavamo in pochi, gli abitanti ci avrebbero certamente aiutati, se invece ci fosse entrato un reparto ...........

Un mattino, all'alba, tirava un vento fortissimo, stava sorgendo il sole. In quelle grandi distese, non so per quale effetto visivo, si passa dal buio notturno alla luce del giorno in brevissimo tempo. Dissi a Mario di aspettarmi perché avevo dei bisogni fisiologici; uscii fuori dall'isba e, fatti alcuni passi nel campo vicino, mi calai i pantaloni. Poco dopo cominciai a sentire dei grugniti, mi guardai in giro, ma non vidi nulla, passò qualche istante e di nuovo sentii dei versi che sembravano provenire dall'oltretomba.

Mentre ero in quella scomoda posizione, mi misi a riflettere su che cosa poteva essere. Ancora accucciato, affondai la mano nella neve e subito comparve un’asse, parallela al terreno, che con un pò di fatica cominciai a sollevare.

Appena tolta la prima trave, un maiale, che avrà pesato circa 80 chilogrammi, uscì fuori di gran carriera scoperchiando del tutto il nascondiglio.

Presi il fucile e lo stesi al primo colpo, poi, tolta la baionetta dal fodero, tagliai subito una coscia dell’animale, mentre altri soldati velocemente uscivano dalle isbe per vedere che cos’era successo.

Non altrettanto fortunata fu quella povera famiglia che aveva cercato in quel modo di salvare forse l'unica fonte di sussistenza che le era rimasta ......

Purtroppo queste riflessioni si possono fare ora a pancia piena e, ancora meglio se seduti su di una comoda poltrona, mentre allora si trattava di risolvere il bisogno principale, cioè quello di nutrirsi.

Su quel povero maiale incominciarono a lavorare di baionetta molti soldati, forse troppi; infatti, ad un certo punto, un urlo disumano li fermò per un attimo: un alpino si era tagliato di netto un dito per un colpo sferrato con troppa fretta.

Ripartimmo incolonnati e subito dopo, mi si avvicinò un Tenente, con cui avevo avuto spesso dei contrasti. Vedendomi con la coscia di maiale in spalla, mi disse:

«Mattia ricordati di me, quando la cuoci!», Mario, che conosceva i nostri precedenti, commentò sottovoce:

«Chissà perchè, ho la sensazione che quello di carne non ne prenderà neppure un pezzetto! »,

«Mago! » gli risposi.

Cuocemmo la coscia usando come griglia una lamiera; il risultato fu molto scadente per quanto riguardava il sapore, ma ci fornì le energie necessarie per poter proseguire la marcia.

In un’isba incontrai un alpino di Buja ………… era disperato perchè il giorno prima, dopo aver tolto gli scarponi, i piedi gli si erano gonfiati, mentre gli scarponi, raffreddandosi, si erano ristretti tanto da non riuscire più a rimetterli. Lo tranquillizzai mostrandogli una coperta e dicendogli:

«Domani mattina la facciamo a strisce, fasciamo i piedi e li leghiamo con filo di ferro», lo avevo visto fare da molti che avevano avuto gli scarponi sfasciati.

Quando al mattino mi svegliai, l'amico buiese non c’era più, con lui non c’erano i miei scarponi e neppure un cavallo che la sera era stata legato ad un palo e che trasportava un ufficiale ferito.

Allora tagliai la coperta a strisce e, dopo essermi fasciato i piedi, fissai il tutto con del filo di ferro. Più avanti, in un isba, trovai uno scarpone russo (valenki) ancora in buono stato, che sostituì le fasce in un piede, mentre all’altro misi uno zoccolo di legno rifasciando poi il tutto. Lo zoccolo era uno di quelli che noi usavamo al fronte quando andavamo di guardia e riuscivano a trattenere il calore meglio degli scarponi.

Iniziai così a camminare zoppicando perchè lo zoccolo con la fasciatura era molto più alto dello scarpone, continuai a camminare in questo modo per diverso tempo, anche dopo la ritirata, quando misi ai piedi un paio di scarpe normali.

L’amico ……... bujese lo ritrovai il giorno dopo, teneva per la briglia un cavallo e portava ai piedi i miei scarponi, potei facilmente riconoscerli da un profondo graffio che aveva uno di essi, tanto da renderlo inconfondibile.

Lui mi assicurò che quegli scarponi li aveva trovati in un’isba, ma la giustizia divina volle che, dal momento che gli andavano molto stretti, subisse un principio di congelamento………… .

Giunti in un villaggio, notai alcuni uomini, che stavano parlando vicino a dei feriti, Mario ed io ci avvicinammo per vedere se c’era qualcuno che conoscevamo, con stupore riconoscemmo fra di loro Franco Peres di Fagagna, l’amico …….... a cui avevo mollato il pugno in Grecia. Era rimasto accecato dallo scoppio di una bomba; inutile descrivere lo stato d’animo in cui si trovava il poveretto, ci facemmo subito riconoscere e, senza pensarci due volte, lo portammo con noi (1*) .

In un altro villaggio, una sera, incontrai per caso anche Celso Gallina; ci eravamo persi di vista il giorno dell’improvvisa partenza. L’indomani mattina partimmo assieme e, ad un certo punto, gli dissi:

«Andiamo da quella parte!»

Una decina di persone, infatti, era uscita dalla grande colonna per prendere un viottolo che portava in cima ad una collinetta. Eravamo in tredici alpini, ma, passato qualche tempo mi girai e non lo trovai più, chissà, forse avrà pensato che era meglio proseguire con il grosso della colonna. Questa fu l’ultima volta che lo vidi, lui purtroppo non ebbe la fortuna di ritornare a casa come me.

Il fatto di muoverci da soli ci permise di arrivare a Nikolajevka prima del grosso delle truppe che marciavano incolonnate. Ricordo che con noi avevamo un cavallo, pensammo ad un certo punto di salirci in groppa a turno per riposare un poco, ma appena qualcuno ci provava, si bloccava e non c'era più verso di farlo ripartire.

Franco Peres, che inizialmente ci seguiva attaccandosi al braccio ora di uno ora dell’altro, incominciò a stare meglio, prima riuscì a distinguere delle ombre, poi migliorò al punto da marciare tranquillamente da solo. 

Non riesco a ricordare come mai decidemmo di allontanarci dalla colonna per proseguire su quel sentiero, ma è certo che questo fatto ci ha permesso di precedere, nelle ultime fasi della ritirata il grosso delle truppe, evitando di passare per dove i russi misero a dura prova il grado di sopportazione degli alpini e inflissero Valuiki loro ingenti perdite.

Raggiunta Nikolajevka, passammo tranquillamente sotto il tristemente famoso “ponte della ferrovia”, questo significa che i russi non erano ancora arrivati in quella zona della città, oppure ci hanno lasciati passare attendendo il grosso della colonna le cui avanguardie arrivarono pochissimo tempo dopo.

A differenza di molti che durante la ritirata, rimasti senza mangiare sono caduti esausti sulla neve, io debbo dire di essere stato fortunato, perchè in un modo o nell’altro sono riuscito sempre a cavarmela e a trovare qualcosa da mettere sotto i denti. L'unica paura era quella di rimanere ferito: vedevo con i miei occhi che solo in rare occasioni si poteva essere in qualche modo soccorsi. I più fortunati venivano lasciati in un’isba sperando nel buon cuore dei russi; conosco a riguardo il caso straziante di un bujese mai ritornato a casa, Ennio Calligaro che, rimasto ferito e non più in grado di muoversi, obbligò il fratello Rino a proseguire. Non posso neppure lontanamente immaginare lo strazio che hanno provato quando si sono detti addio!

Ricordo dei tedeschi che, mitra in mano, impedirono a noi italiani di avvicinarci ad un loro aliante carico di viveri, ma anche due tedeschi che, assieme ai nostri soldati, caddero da eroi continuando a sparare contro un carro armato russo fino ad esserne travolti.

Mi capitò più volte di avere la netta sensazione che i nostri Comandi dipendessero troppo da quelli tedeschi. Diverse volte era successo che fossero mandati gli italiani a riconquistare postazioni da loro perse (Quota Siegel, poi denominata “Cividale”). È luogo comune dire che i tedeschi erano combattenti eccezionali, a mio parere lo furono solo quando erano coscienti di essere superiori in forze e armamento, ma nel caso in cui queste condizioni non si verificavano erano "cagabraga" come tutti.

(CADUTI  BUJESI  IN RUSSIA).

Nella pianura la neve superava raramente i trenta, quaranta centimetri, ad eccezione degli avvallamenti dove il vento l’accumulava, in compenso, però, era poco compatta. Marciare nella steppa, fuori dalle piste battute, era difficoltoso e faticosissimo, perchè sotto lo strato di neve c’era la sterpaglia che non veniva tagliata, quando il piede sprofondava si poteva sentire uno strano e sordo risucchio prima che toccasse terra.

Quando si alzava il vento quella neve farinosa incominciava a volare come se nevicasse, mentre il cielo era sgombro di nubi tanto che si poteva vedere la luna.

La neve colpiva le parti scoperte del viso dando l’impressione di essere sabbia.

Passata Nikolajevka marciammo ancora alcuni giorni prima di ritrovare le nostre nuove linee di difesa.

Venni a sapere che per i feriti venivano messi a disposizione dei camion e che a stabilire chi doveva salire, c’era un Tenente veterinario, mia vecchia conoscenza. Andai da lui accentuando un poco il mio “zoppicare” e gli chiesi se era possibile salire su un camion per essere trasportato nelle retrovie . Lui rispose che avrei dovuto proseguire a piedi poichè non avevo ferite di sorta, ma io replicai che una gamba mi faceva male, inoltre ero talmente stanco che se non mi aiutava non mi sarei mosso da lì a nessun costo.

«Non sarai mica matto!» replicò.

Dopo varie insistenze mi diede il visto ed io credetti di essere finalmente fuori da quella immane catastrofe, ma non era così............

 

 

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