AL FRONTE NON CI TORNO - Capitolo 7
Di nuovo in divisa. Passò finalmente il periodo di quarantena ed il 6 aprile ‘43 potemmo riprendere la strada di casa. Salimmo sul treno e in quattro ci sistemammo in uno scompartimento: uno di noi, a causa di una ferita al ginocchio, doveva tenere la gamba stesa, così l’appoggiò sulla panca di fronte. Ad una stazione, salirono quattro giovani bulletti i quali, appena entrati nel nostro scompartimento, guardarono la gamba di traverso, le diedero un colpetto pretendendo con modi sgarbati che liberassimo immediatamente il posto. Non ci intimidirono per niente, in pochi secondi si ritrovarono tranquilli e felicemente accomodati ........ nel corridoio. Tornato a Buja, trovai la casa vuota: non c’era più la mamma ad attendermi, questo fu per me un momento molto triste. Passato il mese di licenza dovetti rimettere la divisa e raggiungere il poligono dei Rizzi, a Udine. Appena arrivato (6-5-’43), il Comandante che aveva un occhio di riguardo verso i reduci dalla Russia, mi assegnò al maresciallo Ermellini di Gemona, responsabile del deposito della caserma. Questi, però, appena mi vide si mise subito le mani nei capelli: ero una sua vecchia conoscenza poichè, prima di partire per la Campagna di Russia, quando tornavo a casa e avevo intenzioni di andare a pescare ........ passavo sempre prima al deposito a recuperare qualche cicchetto di tritolo o altro ....... «Attendi qui» mi disse «e non lasciare entrare nessuno!» Sul momento non capii, ma mi riferirono che era andato immediatamente a protestare, non mi voleva assolutamente alle sue dipendenze. Dovette, però, rassegnarsi alla mia presenza. Da parte mia io cercavo di non recargli disturbo, anzi evitavo persino di farmi vedere, mi eclissavo e, per un certo periodo, rimanevo a dormire fino a mattino inoltrato, tanto sapevo che all'appello nessuno mi avrebbe chiamato. Quella pacchia durò fino a quando il Maresciallo mi propose di andare, con una stazione radio, a Pradamano assieme ad altri tre soldati ed un Caporale Maggiore. Non subodorando il trucco, accettai prontamente, così fece anche Mario. Anziché a Pradamano ci spedirono a San Vito di Vipacco sulla cima del monte Tabor, dove le uniche costruzioni erano una chiesetta ed una casera. Eravamo alle dipendenze del 3ºArtiglieria alpina e la zona era già allora infestata da formazioni partigiane jugoslave. Passata qualche settimana al 3º Artiglieria subentrò il 9º e ci trasferimmo sul monte Nanos. Eravamo in mezzo ai boschi e le sentinelle si appostavano a fare la guardia sui pini per avere una maggiore visuale. In questo modo, però, era difficile scappare, infatti una domenica i partigiani individuarono una sentinella e la fecero “secca”. Arrivati a Montenero d'Idria proseguimmo per Cracova Serravalle fermandoci in un borgo di montagna dove potei constatare personalmente che la gente del luogo sosteneva i partigiani, benchè quello fosse, allora, territorio italiano a tutti gli effetti. Una sera seguii con la coda dell'occhio i movimenti di un’anziana donna che, uscita dal bosco, si avvicinò ad una casa consegnando dei foglietti ad un’altra donna che era venuta ad aprire la porta. Subito dopo vidi quest’ultima uscire frettolosamente di casa. Il 7 settembre ci trovavamo nella zona di Bukova. Mentre i reparti si davano spesso il cambio, noi con la nostra stazione radio, eravamo sempre presenti, ma dentro di noi sentivamo fortissimo il desiderio di tornare per qualche giorno a casa. Visto che di licenze non si poteva neppure parlare, pensammo di ricorrere ad uno stratagemma: mettemmo in corto circuito le batterie della radio, dopodichè andammo dal Comandante a chiedergli di lasciarci partire immediatamente alla volta di Udine per sostituirle ....... Ottenuto l’assenso raggiungemmo Cracova Serravalle percorrendo un’impervia mulattiera ed arrivammo alla stazione quando il treno stava già partendo. Così cominciammo ad urlare con quanto fiato avevamo in gola, l'addetto alla stazione ci sentì, riuscì a fermarlo e a farci salire. L'addetto era Angelo Anzil di Buja che faceva allora parte della milizia ferroviaria. In giornata arrivammo a Udine nella caserma dei Rizzi. L'indomani era l’8 settembre: Mario ed io, scavalcato il reticolato della caserma, ci avviammo verso casa. Eravamo appena arrivati e non avevamo neppure fatto in tempo a salutare i familiari che cominciò a diffondersi la notizia dell'armistizio. Mario, che si trovava ancora a casa mia, mi disse: «Vista la situazione, per oggi stiamo a casa, domani vedremo se rientrare o cos’altro fare». Nel pomeriggio mi recai a Santo Stefano nella speranza di incontrare qualche amico; circolavano intanto voci che davano i tedeschi già a Gemona. Poco dopo Armida Tonino, che conoscevo, mi si avvicinò dicendomi di recarmi immediatamente al “Caffè Centrale” dove ero atteso al telefono. Andai subito, ma ero stupefatto, non potevo, infatti, immaginare chi mi stesse chiamando; all'altro capo del filo c'era il maggiore Plinio De Anna, Comandante della caserma, il quale, dopo avermi chiesto con chi mi trovassi a Buja, mi ordinò di rientrare immediatamente. Invano cercai di protrarre il rientro all'indomani dicendogli che la sera non c’era nessuna corriera diretta a Udine, mi interruppe subito dicendo: «Dovete raggiungere la caserma immediatamente, magari a piedi! ». A questo punto, pieno di rabbia, mi misi alla ricerca di Mario, lo trovai poco dopo ad Ursinins Piccolo assieme ad altri amici. Erano circa le 17 e Mario, che era appena uscito dal cinematografo di Avilla, sentita la notizia dapprima non ci volle credere, poi decise che in caserma saremmo andati l'indomani mattina, io mi trovai perfettamente d'accordo! L'indomani, arrivati a Udine, dopo aver depositato le biciclette presso la solita famiglia, entrammo in caserma attraverso il foro fatto nel reticolato dal quale eravamo anche usciti. Dopo pochi passi, notammo che le giovani reclute erano state appostate nei prati del poligono con tanto di mitragliatrice. Ero appena arrivato al caseggiato, che il furiere mi corse incontro dicendomi: «Ti vuole il Capitano». Entrato nel Comando, mi sentii immediatamente chiedere «Da dove vieni? » «Da Buja» «Che voci circolano là? » «Ieri delle voci davano i tedeschi a Gemona» «E come mai sei rientrato?» «Mi ha telefonato il Maggiore al bar del paese dicendomi di rientrare immediatamente! » Il Capitano sul momento non voleva credermi, poi si mise a pensare, ad un certo punto esclamò: «Ah !!!......ecco perchè ieri ha fatto tre appelli e ha preso nota di tutti gli assenti». Continuammo a parlare di quanto stava accadendo, ad un certo punto gli chiesi bruscamente: «Ma che cosa facciamo?» «Per ora gli ordini sono di rimanere qui e di non muoversi, comunque io non sono più responsabile di cosa succede» «Guardi», allora dissi, «Mario ed io, che per tanto tempo siamo stati fuori in servizio, ritorniamo per qualche giorno a casa! » Il Capitano, fortunatamente aveva altro per la testa e non si oppose. Così, avvertii Mario che naturalmente era felicissimo di ripartire e mi seguì subito verso la solita uscita ........ secondaria. Giunto, però, in prossimità dei reticolati, la sentinella che prima ci aveva tranquillamente lasciati entrare, ora non voleva assolutamente farci uscire. Mario, allora, si precipitò sulla recluta che aveva osato fermarlo e, dopo averlo preso per la giacca, gli disse con voce decisa: «Sai dove te la metto io quella mitraglia? Non ci hai forse visti entrare un’ora fa?» Lo mollò e, senza aggiungere parola, si avviò verso il foro nel reticolato seguito dal sottoscritto. Due ore dopo eravamo di nuovo a casa infischiandoci della raccomandazioni del Maggiore. Qualche tempo dopo, finita la guerra, incontrai il maggiore De Anna a Udine nel bar da lui gestito. Non mi riconobbe subito, ma quando gli dissi chi ero, parve illuminarsi e subito mi chiese: «Che cosa hai fatto dopo l'8 settembre?», «Sono rimasto a casa», risposi «Male ...... male ....... » disse fra sè e sè. Io lo salutai e me ne andai senza dirgli che, visto che sapevo dove abitava, durante il periodo partigiano mi era stato dato l'ordine di andare ad ucciderlo poichè era un “noto fascista". Per sua fortuna io mi ero rifiutato di farlo, anzi avevo detto a chi premeva perchè lo facessi, di lasciar perdere. Nel mese di novembre cominciarono a circolare le prime voci riguardo una ricostituzione delle Forze Armate, si diceva che cartoline di "chiamata” erano già state recapitate a diversi giovani e che presto tutti avremmo dovuto rientrare nei ranghi.
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