AL FRONTE NON CI TORNO     -       Capitolo 9

LASSU' CE N'E' PER TUTTI

 

 

Tribuno

  Passata qualche settimana, assieme ad un altro partigiano, mi fu ordinato di staccarmi dalla formazione per andare a formarne un’altra, nella zona di Piancavallo.

A Castelnuovo del Friuli, durante la marcia di trasferimento, a noi si unirono altri tre partigiani appartenenti al 2º Battaglione “Mazzini”, erano “Trevisan” (Fortunato Mozzon), “Riccardo” (Giulio Contin, poi Commissario) e “Tribuno” (Mario Modotti), che in seguito divenne il Comandante della formazione. Dapprima ci spostammo presso il Cansiglio, ma visto che la zona non ci sembrava adatta a causa delle troppe strade che c’erano in zona, ci trasferimmo presso il rifugio Policreti sul Piancavallo. Questo era un luogo molto più sicuro perchè privo di vie di comunicazione e qui in poco tempo, con il sopraggiungere continuo di uomini che fuggivano in montagna, formammo il Battaglione “Nino Bixio”.     

Ricordo che in quel periodo i tedeschi effettuarono grandi rastrellanti nei paesi di Aviano, di Polcenigo e in parecchi altri. Molti giovani allora, per evitare la cattura, scapparono in montagna, da noi ne arrivarono un’ottantina circa.

Dopo due giorni, passato il pericolo, visto che non disponevamo di armi e che moltissimi di loro erano così giovani da non aver neppure fatto il servizio militare, li rimandai a casa a piccoli gruppi. Era molto pericoloso, infatti, tenere dei giovanissimi con noi, c’era sempre il pericolo di infiltrazioni di spie perchè, da che mondo è mondo, un giovane è facilmente manovrabile.

Quando giunse “Tribuno” e vide che ne avevo mandati via già moltissimi, mi investì:

«Ma cosa fai, non sai che abbiamo bisogno di uomini?» Si calmò, però, subito quando lo misi di fronte alla nostra amara realtà, dicendogli:

«Ma se non abbiamo neppure da mangiare a sufficienza per noi, come facciamo a tenerli e poi, con che cosa li armiamo .... con dei bastoni? ».

Restarono solo in dodici, fortunatamente, pochi giorni dopo ci fu il primo lancio alleato che ci permise di mettere da parte gli antiquati fucili di cui disponevamo.

Con quel lancio arrivarono molti Sten e sedici Bren, armi con silenziatori, bombe, esplosivo e munizioni di ogni genere.

Fra i mesi di giugno e luglio “Tribuno” partecipò a numerosi incontri con le formazioni della “Osoppo” in Valcellina, che portarono infine alla unificazione dei Comandi, lasciando i singoli reparti come stavano.

Nacque, così, la Brigata mista “Ippolito Nievo A” che comprendeva tre Battaglioni della “Garibaldi”, (“Bixio”, “Mazzini ” e ”Gramsci”) e tre della “Osoppo”, (“Piave”,”Cellina” e “Vittoria”). Al comando fu posto “Tribuno”, vicecomandante “Cecco”, commissario di Brigata “Riccardo” (Giulio Contin), Capo di Stato Maggiore il capitano degli alpini “Maso” (Piero Maset) un buon uomo, calmo e responsabile, pure lui reduce dalla Russia.

Allora, quale Aiutante Maggiore di battaglione furono poste ai miei ordini due squadre della formazione “Nino Bixio” , fino all’arrivo del tenente De Faveri, a causa delle continue assenze di “Tribuno” che si incontrava con le formazioni della “Osoppo” sul Piancavallo ed i Comandi della “Garibaldi”. Si trattava di una cinquantina di uomini circa, dislocati in punti diversi del territorio; un gruppo era attendato nei boschi vicino alla malga Policreti dove io mi trovavo, il secondo, il più avanzato, era stanziato nella bassa Val Cellina, nei pressi del monte Ciscjelat.

I campi militari dove alloggiavamo, erano formati da tende che avevamo montato dove la boscaglia era più fitta ed erano mimetizzati in modo da renderne molto difficile l’avvistamento persino dagli aerei ricognitori.

Col passare dei giorni, cominciai a diradare prima e a disertare poi le giornaliere “ore politiche”, che mi erano veramente indigeste, questa avversione per la politica è una cosa che mi ha accompagnato per tutto il resto della vita. Il giovane Commissario, la cui sola vista mi infastidiva anche perché portava i capelli lunghi fino alle spalle e aveva il vizio di pettinarsi continuamente, andò a fare le sue rimostranze, per le mie continue assenze, a “Tribuno”. Così un giorno mi chiamò in disparte e mi chiese:

«Dario” perchè non frequenti l’ora politica?»

«Tribuno», gli risposi, «ho sulle spalle la responsabilità di tanti uomini, ho altro da fare e soprattutto non sono venuto qui per fare politica».

Lui, da persona ragionevole e seria qual era, lasciò subito cadere il discorso senza ritornarci mai più.

Le azioni che compivano le squadre che mandavo in pianura, avevano lo scopo di tenere i tedeschi in continua apprensione. Bloccavano le vie di comunicazione e, all’arrivo del nemico, sparavano una sventagliata di mitra, poi si dileguavano, poichè non avrebbero mai potuto reggere uno scontro aperto contro forze molto meglio armate.

Queste azioni, anche se di poco conto, costringevano i tedeschi a muoversi sempre in formazioni, limitando di conseguenza la loro presenza sul territorio.

Ricordo, ad esempio, un’azione al campo di aviazione di Aviano dove, accecammo due potenti fari che, assieme a delle mitragliatrici pesanti, rendevano pericolosi durante la notte i nostri spostamenti sul versante del Piancavallo, posto di fronte al campo.

Rischiai più volte la vita. Ricordo un’azione nei pressi di Dardago dove fummo avvistati dai tedeschi mentre scendevamo dalla montagna.

Faceva quasi buio quando, arrivati in prossimità della caserma dei Carabinieri, fermai la colonna. Mi avevano insospettito dei rumori che avevo sentito giungere dall’edificio, così mandai due squadre in perlustrazione lungo il tratto di strada che dovevamo oltrepassare. Nessuno si accorse che in un angolo c’erano dei tedeschi piazzati che ci stavano aspettando, quando salii sulla strada seguito da tutti gli altri, fummo accolti da una raffica che ci passò di poco sopra la testa. Io mi buttai immediatamente a terra, rotolando finii dentro un canale di irrigazione, solo la grande fortuna fece sì che nessuno di noi venisse colpito. Rientrammo immediatamente nel bosco dove rispondemmo al fuoco dei tedeschi che contarono un morto ed un ferito.

Il loro Comandante, ci riferirono giorni dopo, era così furioso che voleva incendiare il paese, cosa che poi non fece, in fondo, in questo caso noi ci eravamo solamente difesi.

Verso il 10 agosto, un carro armato tedesco si inoltrò per la strada che da Barcis porta in Val Cellina; il capocarro avanzava con metà busto fuori dalla torretta e venne colpito dai partigiani, ricadendo all’interno. Il carro subito sbandò precipitando nel fiume. Il cannone, posto sulla torretta con oltre quaranta proiettili, rimasto intatto con l’eccezione del sistema di puntamento, fu da noi smontato, poi gli furono costruiti dei treppiedi in modo da renderlo stabile.

Ricordo bene il giorno in cui i tedeschi attaccarono Barcis; ricevemmo l’ordine di intervenire, io mi affrettai a distribuire le armi e le munizioni che tempo prima ci erano state paracadutate. Consegnai a tutti gli uomini uno Sten ed un mitragliatore pesante Bren ad ogni gruppo di cinque, indipendentemente dal fatto che fossero “Osovani” o “Garibaldini”.

Quando Tribuno venne a sapere della distribuzione dei mitra anche agli “Osovani” poco mancò che mi mangiasse vivo. Cercai di tranquillizzarlo dicendogli che finito il combattimento le armi ci sarebbero sicuramente state restituite, ma non volle sentire ragione:

 "Figurati se ce le restituiscono ………...... e con che cosa armeremo ora i giovani che verranno in montagna!", continuava ad urlarmi.

Effettivamente non ci vennero restituite, ma dal momento che combattevamo insieme per la stessa causa, non riuscivo a comprendere il perché di tanto astio verso gli “Osovani”. Questo fatto incrinò i rapporti tra me e “Tribuno” che, fino ad allora, erano stati molto buoni.

Ad Aviano, presso un ospedale militare tedesco, si trovavano al lavoro coatto trenta prigionieri russi, un giorno, presero la strada dei monti giungendo fino da noi.

Anche loro volevano partecipare alle azioni di sabotaggio che facevamo, ma la lingua era un problema che rendeva difficile l'operare assieme. Pensammo così di accompagnarli dal mio amico “Silos”, che mesi prima avevo lasciato nella formazione partigiana “Matteotti” a Monte Prât. Anche questa formazione, con l’apporto di nuovi uomini si era ingrandita ed aveva a sua volta dato vita ad altre formazioni. “Silos” (Valentino Bobcov) ora si trovava al Battaglione “Stalin” in qualità di Commissario, il Comandante era un altro russo “Daniel” (Danijl Advev).

Poco dopo arrivò un gruppo di sodati guidati da “Marcello”, (Severino De Faveri), futuro comandante del Battaglione “Bixio”, che, armati di tutto punto, avevano disertato le postazioni di Aviano, dove erano dislocati.

Tribuno”, che ormai era conosciuto dai tedeschi, fece arrivare in montagna anche la sua famiglia, moglie e figlio, per paura di ritorsioni. L’anno dopo, però, fu tradito ed arrestato. Venne fucilato a Udine nelle carceri di via Spalato. Pur sapendo di essere stato condannato a morte, fece sostituire, sui mandati di scarcerazione, per ben quattro volte il suo nome con quello di altri compagni carcerati.

Il pericolo delle spiate era costante tant’è che ad un certo punto vietai tassativamente il continuo andirivieni di gente presso le nostre formazioni.

Ricordo quando ci informarono che i tedeschi avevano arrestato alcuni partigiani, ci ponemmo subito il problema di come liberarli e decidemmo di compiere delle azioni che avevano il preciso scopo di fare dei prigionieri. Giunti al numero necessario, contattammo il Comando tedesco nella persona del maggiore Schnaider, e proponemmo lo scambio dei tre prigionieri.

La proposta fu accettata, come garante fu messo un sacerdote della zona di cui non ricordo il nome. Ricordo, invece, che “Tribuno” mi vietò di andare sul posto poichè temeva che qualcuno, prima o poi, mi potesse riconoscere. Mandai, così, un partigiano di un’altra regione, tutto filò liscio, i patti furono rispettati da entrambe le parti. Ci furono altri due scambi che andarono in porto, ricordo in particolare la trattativa che portò allo scambio di due partigiani che si trovavano in nostre mani, con altrettanti tedeschi, di cui un Colonnello.

Forse, ingenuamente, non capimmo che avremmo anche potuto alzare il prezzo, infatti un anziano graduato tedesco che partecipava alla trattativa, ci disse stupito:

«Ma voi non tenete conto del “grado”?»

Uno di noi rispose immediatamente:

«Per noi un uomo vale come un altro».

La guerra in certi casi è molto strana, infatti avevamo un corriere, un ragazzo molto giovane, che era munito di un salvacondotto sia nostro che tedesco. Quando dovevamo stabilire delle trattative usavamo questo ragazzo come intermediario in quanto lui aveva accesso ad entrambi i Comandi.

In quel breve periodo, infatti, ci furono altri due scambi di prigionieri.

Gli americani effettuarono in quei giorni diversi lanci di materiale bellico, ricordo che era arrivato anche un grosso rotolo di corda da mina. Pensai allora di tagliarne un pezzetto per provarlo, presi il coltello e stavo per iniziare l’operazione, quando “Maso”, visto quello che stavo facendo, incominciò a urlare:

«Dario” fermatiiiiiiiiiiiiii !!!!!!!»

Si avvicinò ed aggiunse:

«Con la corda dovrebbe esserci una tronchesina, ... dov’è?», io gliela porsi insieme con un foglio che ci stava attaccato, erano le “istruzioni per l’uso”, scritte in inglese ......, poi mi disse:

«Guarda cosa stavi per fare» e con le tronchesi al berillio, (materiale che non provoca scintille) tagliò un piccolo pezzo di corda a cui unì una miccia a lenta combustione e, dopo averla accesa, gettò il tutto dietro un muretto.

L’esplosione che ne seguì fu così forte da sconquassare parte del muro.

“Maso” continuò:

«Se per sbaglio, tagliando la corda con il coltello avessi provocato una scintilla saremmo saltati tutti in aria, rifugio Policreti compreso».

 

 

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