LA MIA GUERRA (Capitolo 11)
I russi Per un mese le truppe russe ebbero carta bianca. Come truppe d’occupazione vincitrici commisero ogni sorta di angherie sui vinti, per ira o per vendetta. Non dimenticherò mai una famiglia di profughi della Slesia che viveva nel borgo, a poca distanza da noi. Erano padre, madre e tre figlie, di cui una aveva la mia età, ventidue anni e le altre diciannove e quindici; un fratello era morto sul fronte russo. Avevamo fatto amicizia, ci sembrava di conoscerci da sempre. All’arrivo dei russi, le donne si erano nascoste in una baracca nel bosco, ma dopo alcuni giorni avevano pensato di ritornare a dormire a casa. Lì vicino abitava anche una polacca, deportata dai tedeschi ai lavori forzati. Questa, una sera, arrivò con un gruppo di russi che cercavano donne per divertirsi. Le tre ragazze allora scapparono per rifugiarsi nel nostro quartiere. Noi le consigliammo di fuggire in aperta campagna, perché sapevamo che non le avrebbero rispettate, ma loro ci supplicarono di lasciarle restare: «Diremo che siamo le vostre mogli» dicevano e si fermarono. Naturalmente i russi non ci cascarono e non ci fu nulla da fare. Le stavano portando via spingendole in malo modo come animali, quando una di loro riuscì a sottrarsi e, buttandosi contro di me, cominciò a gridare: «Olinto, salvami». Con la coda dell’occhio, feci appena in tempo a scorgere il gesto di uno dei russi che, tirato giù dalla spalla il mitragliatore, lo stava imbracciando. Un balzo verso la finestra e mi trovai fuori, a correre con quanto fiato avevo. Ho certamente battuto il record dei cento metri. Il russo cercò comunque di colpirmi con una sventagliata, ma per fortuna sono ancora qui a raccontarla. |