LA MIA GUERRA (Capitolo 3)
Attendente del tenente Grendene Quel giorno, nel pomeriggio, i tedeschi cominciarono a portare via gli ufficiali, lasciando a loro disposizione un attendente. Dante ed io eravamo inseparabili: avevamo condiviso tutte le vicende dell’ultimo anno ed era difficile pensare a dividerci. “Vado io o vai tu?” era il nostro dilemma, in previsione di partire come attendenti del tenente Grendene. Alla fine andai io. L'indomani partimmo con una colonna di camion tedeschi diretti ad Innsbruck che trasportava materiale prelevato dalle nostre caserme: vestiario, viveri, armi... A metà strada l’imprevisto: il nostro camion, a causa di un guasto, si staccò dalla colonna in marcia. Rimanemmo così soltanto con l’autista ed un vecchio tedesco di guardia. Aveva i calzoni corti ed un fucile più grande di lui. Duilio, afferrato uno scarpone, mi disse: «Io conosco queste montagne come i Pravis di Sottocolle. Do un colpo in testa a questo qui e via». Ma il Maggiore lo riportò alla calma, sostenendo che tutto si sarebbe risolto in qualche giorno. Così raggiungemmo Innsbruck alle ventidue. Era il 10 settembre. Che organizzazione i tedeschi! Appena arrivati sul piazzale della caserma, ci assegnarono una pagnotta di segale da dividere in dieci. Quella sera Duilio, che aveva dodici anni più di me (era nato nel 1911 ed era stato richiamato) tirò fuori una mantella e me la diede per dormire. Io avevo solo la divisa e l’elmetto, che avrei utilizzato per un mese come scodella per ricevere lo scarso rancio di bietole che ci davano da mangiare. Il giorno seguente Duilio divise con me la scorta di gallette e di scatolette che aveva nello zaino e mi disse: «Carie (è questo il soprannome della mia famiglia), il sole nasce da quella parte e tramonta da quest’altra» e indicandomi con la mano il sud continuò, «noi dobbiamo tornare a casa seguendo quella direzione». Dopo fummo divisi: la truppa da una parte, i graduati dall’altra. |