LA MIA GUERRA     (Capitolo  7)

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Vertraunensmann, fiduciario del gruppo di lavoro

 Il padrone aveva già organizzato il nostro “quartiere” nella fattoria. In breve venni nominato “Vertraunensmann Komando”, cioè fiduciario del gruppo di lavoro. Nella fattoria si lavorava d’inverno dalle sette alle undici di mattina e dalle tredici fino alle sedici del pomeriggio, perché veniva presto buio. Nella bella stagione si andava dalle sei alle undici e dalle tredici alle diciotto. Ciascuno aveva un compito: tre lavoravano nella stalla dove c’erano centoventi mucche, altri due avevano un paio di buoi a testa per arare i campi, un altro era addetto ai trasporti con una coppia di cavalli; a me e ad un mio compagno di Perugia, che era un buon meccanico, fu consegnato un trattore ad un pistone, che funzionava ad olio pesante. (Foto 5)

Così cominciammo la nostra nuova occupazione, con lo stomaco pieno e di conseguenza con buona volontà. Il più vecchio del gruppo era un siciliano di nome Salvatore, che era stato fatto prigioniero in Croazia nell’autunno del ‘43. Si andava d’accordo ed in generale non ce la passavamo male. Al mattino si beveva caffellatte amaro, perché zucchero non ce n’era. Quando si lavorava nei campi, la guardia - un ferito di guerra sul fronte russo, messo lì apposta per controllarci - arrivava col carretto trainato da due cavalli e ci portava latte e pane.

Lo spostamento verso la nuova destinazione aveva, però, fermato la corrispondenza con le famiglie, perciò mi accordai con mio cugino - Fausto des Carìes - Diego Gallina, che già lavorava da anni a Winenden Stuttgart. Lui avrebbe girato ad una famiglia polacca che lavorava lì vicino le lettere che provenivano da Buia. Fu così che venni a sapere che mia sorella Rosina era mancata il mese di luglio.

Non ci sono parole per descrivere il dolore che mi diede quella notizia ed i pensieri che mi tormentarono a lungo nell’immaginare le condizioni dei miei genitori e la mia totale impossibilità di confortarli. In principio, la guardia che ci sorvegliava ci seguiva dappertutto, soprattutto quando andavamo al lavoro nei campi. Il poveretto, tuttavia, faticava a tirare avanti, tanto che un giorno mi disse:

«Quasi quasi mi arrischierei a lasciarvi da soli».

Io mi rivolsi ai miei compagni:

«Guardate che lui ci lascia da soli. Non facciamo stupidaggini» dissi.

«Tanto dove vuoi che andiamo?» mi risposero.

Dopo quel giorno, cominciammo ad andare anche in paese.

 

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