BUCHENWALDT - Capitolo 1
La chiamata Quando nell’estate del 1944, assieme a mio fratello Mario, venni chiamato per il servizio militare, il lavoro dell’impresa per conto del comando tedesco sembrava rappresentare una garanzia di esonero. Ero talmente sicuro di questo che, assieme ai documenti necessari a provare il mio impiego in servizi di utilità militare, avevo con me anche le buste paga che quella sera stessa contavo di consegnare agli operai. Ma la leva delle classi tra il 1915 e il 1926 dei giovani residenti sul litorale adriatico rappresentava la risposta del Comando Tedesco al sorgere dei primi nuclei partigiani nella regione. Fu così che, contrariamente a ogni aspettativa, da Gemona venni trasferito alla caserma di via Cividale a Udine mentre mio fratello Mario veniva inviato ad Aurisina, presso Trieste, a lavorare in una cava di pietra. Fu quasi un’ironia della sorte ma proprio in caserma potei dispone, per la prima volta, di tempo libero e ne approfittai per dedicarmi agli Hobby preferiti. Da mia sorella Maria, che veniva a farmi visita nei giorni consentiti, mi feci portare carta da disegno e carboncini e con questo materiale, alla sera, di dedicavo a riprodurre ingrandimenti di fotografie dei commilitoni. Questa mia attività attirò ben presto l'attenzione dei sottufficiali prima e degli ufficiali poi. Da questi ultimi, in cambio del mio lavoro, ottenni l’esonero dall’addestramento e tabacco che facevo regolarmente pervenire a mio padre Ermenegildo, fumatore incallito. Tale situazione si protrasse sino all’ottobre di quell’anno, quando ai militari della caserma che lo desideravano, era stata prospettata la possibilità di tornare a lavorare nei propri paesi. Ufficialmente questo era dovuto al fatto che la maggior parte dei giovani che abitavano in montagna, trovandosi al sicuro dalle rappresaglie, disertavano il servizio. Con un’ingenuità della quale, in seguito, mi sarei pentito amaramente feci il mio nome. Nell’impossibilità di fuggire, ritenevo che così mi sarei potuto sottrarre all’ambiente della caserma anche perchè, a motivo del lavoro paterno per conto del Comando Tedesco, correvo il rischio di essere considerato un collaborazionista. Fu così che pochi giorni dopo, assieme a chi aveva fatto la mia stessa scelta e con gli inabili al servizio, venni trasferito nella caserma contumaciale di Gradisca d’Isonzo e di lì, due giorni dopo, assieme a tanti altri, con una marcia forzata, raggiunsi Gorizia. Qui fummo associati alle carceri locali. Inizialmente considerai umoristica o comunque dovuta ai “tempi difficili” quella sistemazione; Non potei però fare a meno di allarmarmi quando, chiamato in fureria per la compilazione della scheda anagrafica, notai che questa portava 1’intestazione “il detenuto”. I successivi otto giorni di soggiorno fummo alloggiati in uno stanzone in condizioni quanto mai precarie e con una trentina di altre persone. C’erano anche alcuni slavi e questo non fece che aumentare le mie ansie. Mi chiedevo come poteva essere che fossi considerato alla stregua di un delinquente comune. Pur non riuscendo a trovare una risposta, dovetti rassegnarmi all’idea di condividere quella sorte quando, evacuate le carceri, alla stazione ferroviaria venimmo tutti quanti caricati sui vagoni merci senza che una parola fosse stata spesa in spiegazioni.
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